Vi segnalo quanto scritto su Riforma.it e che ho ripreso anche sul mio blog la Bottega del barbieri

— Milioni di donne stanno protestando nello Stato di Kerala a sostegno della sentenza che ha cancellato il divieto di accesso alle donne al tempio indù di Sabarimala (*) 

 

Più di 3,5 milioni di donne indiane hanno formato una catena umana lunga 620 chilometri per affermare il loro diritto all’uguaglianza e alla preghiera nel tempio sacro agli indù di Sabarimala, storicamente chiuso alle donne «in età fertile».

Il 1 gennaio, per la prima volta nella storia dell’India, alle prime luci dell’alba, Bindu Ammini, 40 anni, e Kanaka Durga, 39, scortate da alcuni agenti hanno superato il muro di cinta e hanno pregato nel sancta sanctorum, la parte più interna del tempio in passato inaccessibile alle fedeli.

L’ingresso delle due donne ha scatenato diverse proteste fuori dal tempio e la polizia ha usato lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Il tempio è rimasto chiuso per alcune ore per poter eseguire un rituale di «purificazione» reso necessario dai «custodi» del tempio dopo l’incursione delle due signore.

La vicenda del tempio di Sabarimala nel Kerala – Stato del sud dell’India – è al centro dell’attenzione da mesi. Lo scorso settembre la Corte suprema indiana ha stabilito l’illegalità del bando che per centinaia di anni ha impedito alle donne in età fertile (dai 10 ai 50 anni) l’accesso al tempio. Ad impedire l’applicazione della sentenza, finora, sono stati gli integralisti, ancora convinti che la divinità celebrata nel tempio, il Signore Ayyappa, che è celibe, possa essere «tentata» dalle donne sotto i 50 anni.

Le donne hanno raccolto solidarietà da milioni di simpatizzanti in tutto il Paese, maschi e femmine. Nello stato di Kerala, migliaia di uomini hanno affiancato una seconda catena a quella creata dalle fedeli.

Il gesto di Bindu e Kanaka ha spaccato in due l’India anche politicamente. Il Partito popolare indiano (BJP), che guida il paese, si è opposto al loro ingresso. Lo stesso primo ministro, Narendra Mori, in un’intervista rilasciata martedì, ha sostenuto che il divieto «è un credo religioso, non una questione di parità di genere», come riporta il Guardian. Favorevole all’ingresso, invece, il Partito comunista, che guida lo stesso stato di Kerala, da sempre sostenitore dell’uguaglianza tra uomini e donne nei luoghi di culto.

(*) ripreso da Riforma/it (quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia) – 3 gennaio 2019