foto di Elena Luvisio
foto di Elena Luvisio

Fino al 17 aprile rimane aperta, ed è da non perdere, la Mostra al Maxxi Letizia Battaglia. Per pura passione, su un’artista poliedrica «che non è solo una Fotografa della mafia ma anche una testimone della vita e della società del nostro Paese, riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per i suoi scatti saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma anche per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia» come affermano i curatori (Paolo Falcone, Margherita Guccione e Bartolomeo Pietromarchi) che l’hanno concepita come «un unicum polifonico dove amore e dolore, sangue e compassione, tragedia e sogno si mescolano in un percorso dal forte impatto emotivo, riflettendo il suo coraggio e la sua grandezza.»

Quella Mostra ha fatto da sfondo e da continuo rimando, con le sue pagine di «album ininterrotto» all’intenso incontro dell’11 marzo alla Casa internazionale delle donne, Letizia Battaglia. Legalità e militanza, nella sede dell’Udi nazionale: momento raro, alto e profondo di conoscenza e di scambio, intellettuale, politico, culturale ed empatico con una donna che nel coraggio e nell’audacia di una vita privata e professionale – le due cose inscindibili come ha chiarito – ha coinvolto l’uditorio in un racconto confidenziale quanto sconvolgente, forte e delicato, poetico e drammatico quale è la sua vita, coerente e fedele a se stessa, intessuta di relazioni le più varie, alimentata da emozioni e sentimenti.

Invitando la folla a gremire la sala, per non lasciare nessun* fuori dalla porta, ha stupefatto con frasi tronche, un racconto spiegazzato dall’emersione dei ricordi, i progetti dell’oggi e le speranze del futuro.

Rivolta alle giovani: «Non solo voi avete un futuro, anche io ho ce l’ho…. e ho molte cose ancora da fare, altre che non so».

Fallito subito il tentativo d’impostare domande/risposte, si è ascoltato un monologo degno di una pièce teatrale in cui il dirsi, con la voce, con i gesti, con gli sguardi, teneva l’uditorio in un silenzio sospeso, empatico, quasi incredulo che tanta vita e tanto spesa bene, con passione, arte e coerenza, fosse da lei ricondotta a scelte definite «semplici, necessarie, dettate dall’occasione».

Moglie e madre giovanissima, emigrata a Milano dopo le prime collaborazioni (1969) con il quotidiano palermitano L’Ora e il divorzio, aveva affrontato con le figlie piccole la collaborazione con varie testate tra le quali “Maison de Femme” «ed è lì che comincio ad avvicinarmi alla fotografia», l’impatto con il mestiere di fotoreporter, tutto al maschile e all’epoca solo di maschi, senza orari, senza soste, denigrato dai giornalisti  che in una fotografia vedevano solo l’aggiunta ad un articolo.

«Il vero incontro con la fotografia l’ho avuto quando dopo quattro anni sono tornata a Palermo (1974), sempre per per L’Ora e ho cominciato a fotografare i morti di mafia. In una Palermo che amo, che è una città malata e che mi fa arrabbiare.»

In un crescendo d’impegno civile e politico «sono comunista, per quei valori, quelle idee..» affrontò la disperazione, il degrado e l’umiliazione di una Palermo in mano alla mafia e ai Corleonesi: «…quanto abbiamo sofferto, quanto ci ha fatto soffrire l’Italia, i governi. Per noi Falcone e Borsellino erano il riscatto, gli eroi della nostra dignità.»

Richiesta di nominare il suo scatto preferito: «L’unico che salverei è quella di Falcone che attraversa la piazza per andare al funerale…era bello Falcone, un paladino…lo sapeva, lo sapevamo il pericolo». Un pericolo nel quale viveva anche lei ogni giorno e che non si poteva affrontare «senza paura, ma convivendo con la paura.» Una città insanguinata, di morti ammazzati, di urla di donne in abiti neri, di feriti e di pianti:

«…non potevo fotografare la bellezza della città… quale bellezza si può raccontare davanti a tanto sangue…». Suo il celeberrimo scatto su Andreotti con i Salvo, all’hotel Zagarella; sue le fotografie all’interno della macchina in cui moriva Piersanti Mattarella. Di quelle e di altre ha ricordato, con rabbia e intatto sgomento, i momenti salienti, più volte tornando su cruccio, personale e politico, fondamentale: cosa farne del suo archivio «non so se bruciarlo, dove metterlo…è un problema grande di tutti i fotografi.»

Avendo da poco descritto i due anni che aveva scelto di trascorrere nell’allora ‘manicomio’ palermitano (rimasto aperto nonostante la legge Basaglia), per entrare in contatto diretto con chi vi soffriva la vita, non potendo altrimenti «fotografare quelle donne, i sentimenti…», dalla sala si è alzata una voce chiara e implorante, anonima: «Sono la figlia di una di quelle donne, ti conosco da quando ero piccola…lascialo a Palermo… Tu sei noi.» Le sue foto rimarranno a Palermo, alla parte amata, onesta, lavorativa della sua città o, come alcun* commentavano sul momeno, il farlo significherebbe “consegnarle a Riina?”

Letizia Battaglia è Palermo, antica e moderna, immaginifica e creativa, utopica e positiva, madre e figlia di una città che le è madre amorevole e matrigna, da cui fuggì, piena di orrore per le stragi, per le mancate risposte, non resistendo allo strazio che la circondava. Qualche anno a Parigi e di nuovo il ritorno, negli anni ’80, con fondazione, insieme a Franco Zecchin, dell’agenzia Informazione Fotografica in cui si formarono anche una delle figlie, Shobha, Mike Palazzotto e Salvo Fundarotto.

Con brevi e folgoranti frasi, Letizia Battaglia descrive il suo modo di fotografare «d’istinto» perché da un punto di vista tecnico sono sempre stata una schiappa… si fotografa con gli occhi e il cuore…perché è qualcosa che nasce dentro, non dalla macchina.» Seguono ricordi sparsi sulle relazioni con le sue macchine fotografiche, «quella digitale me l’ha regalata mia figlia Shobha e ho cominciato a lavorare le immagini sovrapponendole”. Soggetti preferiti: il corpo femminile «che è bello» e le bambine di dieci anni, l’età in cui, giunta da Trieste a Palermo con i genitori, «ho perso la mia libertà…là andavo in bicicletta, uscivo, giravo da sola…a Palermo no, ero graziosa, c’erano uomini che mi guardavano e mio padre mi ha chiuso in casa. Ho sposato il primo che me l’ha chiesto, ho avuto tre figlie..» Figlie di cui parla con commozione e orgoglio e così delle nipotine e pronipoti: «sono bisnonna!»

Con uguale forza ed entusiasmo Letizia Battaglia parla dei tanti suoi trascorsi impegni: la co-fondazione del Centro di Documentazione “Giuseppe Impastato” (1979), e le varie cariche istituzionali ricoperte tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90: consigliere comunale con i Verdi, assessore comunale a Palermo con la giunta di Leoluca Orlando; la carica di vice presidente della Commissione Cultura dell’Assemblea Regionale Siciliana in cui entrò con La Rete (XI Legislatura, 1991). Nel 1996 non si ricandidò.

Tra le sue creature, una casa editrice che pubblicò «… anche libricini piccolissimi, molto curati e che nessuno comprava…quando i debiti sono stati troppi, ho chiuso…ma è stato bello.» Altra esperienza, la direzione, dal 2000 al 2003, del bimestrale femminista Mezzocielo di cui lanciò l’idea nel 1991.

Antesignana, controcorrente, capace di difendere le sue idee e i suoi sogni, Letizia Battaglia ha sottolineato anche il disagio del detrimento che le fotografie subiscono, specie quelle di maggiore impegno civile e politico, durante le mostre che le trasformano «… in ‘icone’, perdendo il contatto il contatto con la realtà rappresentata…nella mostra al Maxxi avrei voluto togliere tutto il materiale in cui c’era il mare….», il suo mare, la libertà, la fertilità e la forza delle onde, tuttavia neppure l’ufficialità del Maxxi ha potuto limitare l’effetto che fanno i suoi scatti, non solo sulla mafia, come nessun riassunto può limitare il vagare del suo racconto tra poesia, teatro, cinematografia, un’esistenza da funanbola sul filo teso tra percezione e intuizione; una vita «combattente» come si è autodefinita.

Dal 2015, il suo nome è legato al Centro internazionale di fotografia nei Cantieri culturali alla Zisa, nel padiglione 18 degli ex capannoni industriali delle Officine Ducrot, trasformati ma non troppo «per non perdere ciò che è stato, le tracce sui muri di chi vi ha sognato.»

Idee lungimiranti e generose, fuochi di artificio che la sua carissima amica, l’architetta Iolanda Lima ha tradotto in un Progetto donato a lei e all’intera città.

Nel corso dell’incontro alla Casa Internazionale delle donne, sono stati proiettati due brevi ed emozionanti videos: Amore amaro di Gigi Finizio; La fotografia di Letizia Battaglia, Legalità e militanza con intervista di Elena Luviso accompagnata, nella regia, da Rosaria Judice Annamaria Liberatore.

In essi, aperti a mille spunti, al suo impegno contro ogni violenza, contro la mafia «da combattere con la cultura», esplodono l’arte, il pensiero e il potere comunicativo di Letizia Battaglia. In alcune emozionanti sequenze, ella s’aggira, ispirata, nel padiglione prescelto e tanto amato ma non ancora assegnato né restaurato, in attesa della risposta del Comune, guidato da Orlando «… se mi dicono di no, muoio!» Sgrana desideri: «Vorrei che questa bella capacità che hanno i Siciliani di essere intellettualmente bravi, se sostenuti e curati, fosse supportata. Vorrei che fotografi da ogni parte del mondo possano trovare in questo luogo un ambiente confortevole e internazionale. Vorrei ospitare tante belle mostre di artisti importanti e talenti emergenti. Non le mie mostre! Da parte mia, ci sono l’impegno e l’esperienza, per la collettività.» Descrive l’invisibile: «ci sarà un’area dedicata alla formazione, una agli incontri, una ai laboratori; una biblioteca e un grande archivio.» Anticipa il lavoro: «Per l’inaugurazione, abbiamo in cantiere una grande mostra collettiva, Donne fotografe per PalermoAmerican Women photographers for Palermo, curata da Melissa Harris, direttrice della rivista “Aperture”, a tema vario. Subito dopo, un’altra mostra curata da Giovanna Calvenzi.»

Spiega, in altra occasione, l’architetta: «L’idea è quella di realizzare un luogo che possa diventare punto di riferimento del panorama fotografico e che convogli i fermenti creativi in ambito nazionale. La scelta dell’area dei Cantieri non è causale, dato che lì è sedimentata la memoria culturale di una città. (…) Nel Progetto del Centro c’è una grande cura per la luce, per gli arredi essenziali ed economici e per i materiali di riciclo.» (in merito, su questa testata: Un centro internazionale della fotografia a Palermo capitale della cultura un sogno che può diventare realtà, M. Pivetta,14.4.2016; A Palermo-Antologia di Letizia Battaglia, I. Iorno, 14.4.2016; i due documentari Battaglia – una donna contro la mafia, di Daniela Zanzotto e Letizia Battaglia – Amoreamaro di Francesco Raganato).

 

Un lungo, indimenticabile pomeriggio, ben definito “una festa dell’intelligenza e del cuore”.

All’incontro in oggetto, aperto da Marina del Vecchio (Casa internazionale delle donne – Archivia) e partecipato da Giuliana Misserville (della Società italiana letterate che conta tra le socie onorarie Letizia Battaglia) e da Raffaella Perna (
storica della fotografia), è intervenuta Elena Luviso (presidente dell’Associazione Diritti e Culture Organizzare Comunicando e ideatrice di Donne in Gioco) che il giorno  precedente, 10 marzo – giornata che celebra l’esordio del voto (amministrativo) delle Italiane in alcune zone dell’Italia liberata (1946) – ha consegnato alla cara amica Letizia Battaglia il Premio Rosa dei Venti durante il convegno Ieri/oggi i volti della violenza. Le Madri della Repubblica raccontano promosso dall’Adecoc nella Sala della Regina (Campidoglio).

Nelle motivazioni, oltre alla straordinaria volontà e coraggio di vita «…l’essere Letizia Battaglia un’eccezionale interprete della lotta alla mafia; (…) unica nella passione con cui ritrasse la sua città martoriata dagli omicidi di mafia e preziosissime le testimonianze rese del dolore e dell’angoscia dei/delle superstiti tra le quali la fotografia che ritrae i fratelli Salvo con Giulio Andreotti, entrata negli Atti del maxi processo anti–mafia. Nei giorni in cui, purtroppo, cominciarono a cadere a Palermo anche esponenti della società civile, Letizia Battaglia fu testimone dell’omicidio di Piersanti Mattarella (fratello del nostro odierno Presidente della Repubblica), di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici, di don Pino Puglisi, di Falcone e Borsellino. Provata dalle emozioni legate alla sua professione e distrutta dal dolore, si rifiutò di fotografare i morti, i parenti, gli amici. Lontano da Palermo, a Parigi, lottò contro la depressione e la solitudine. Tornata nella sua città ed eletta Assessora nella giunta Orlando, dichiarò di sentirsi ‘cittadina al servizio degli altri’ oltre che Fotografa.

Il nostro premio – consistente in una targa di marmo con incisa la rosa dei venti, metafora delle vicende della vita (Tramontana, Grecale, Levante, Scirocco, Mezzogiorno, Libeccio, Ponente, Maestrale) – è stato assegnato, nelle tre precedenti edizioni, sempre a personagg* che hanno onorato la vita della Repubblica: la Senatrice Elena Marinucci, cui si deve la nascita degli organismi istituzionali di parità; Ginevra Conti Odorisio che ha tentato di attivare nell’Università i gender studies; il Presidente del Senato Piero Grasso anch’egli protagonista nella lotta alla mafia.»