Articolo di Emilia De Rienzo*

Inizia la scuola e come sempre ogni giornale celebra questo giorno. C’è molto malcontento tra gli e le insegnanti, c’è preoccupazione tra i genitori, e tra insegnanti e genitori sembra essere diventato sempre più difficile il dialogo, prevale la diffidenza e a volte lo scontro.  Leggiamo la fatica di ogni insegnante a rimettersi in cammino per affrontare un nuovo anno scolastico, tocchiamo con mano la paura dei genitori di essere essi stessi inadeguati.

Ad aggravare questo senso diffuso di sfiducia, delusione, questo  senso di impotenza è una politica non solo latitante, ma deleteria, che nulla ormai da tanti anni sa pensare per una scuola che sia di tutt* e per tutt*, che ha appesantito la scuola con una burocrazia sempre più vuota che ostacola, invece che favorire il lavoro già difficile degli e delle insegnanti.

Dispiace, però, che la disillusione abbia oscurato negli e nelle insegnanti l’importanza che ess* hanno e la consapevolezza che la nostra presenza e attenzione verso i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze può fare la differenza.  Il nostro lavoro è essenziale quando è capace di trasformarsi in ricerca continua, quando siamo capaci di tenere il timone anche nella tempesta, perché nella barca portiamo dei ragazzi e delle ragazze che si affidano a noi anche quando sembrano rifiutarci. Di loro siamo responsabili in prima persona, siamo responsabili anche del nostro agire “morale” al di là di quello che succede intorno a noi.

Noi siamo portatori delle storie dei nostri alunni e delle nostre alunne, siamo i loro portavoce, solo noi possiamo costruire la scuola di cui hanno bisogno.

Bisogna aver ben chiaro che il nostro compito non è tanto e solo seguire i programmi ministeriali, le linee predisposte da espert* più o meno competenti, siano ess* di destra o di sinistra, ma quello di andare sempre “oltre” avendo sempre in mente l’interesse del bambino o della bambina e del ragazzo o della ragazza nella sua unicità e individualità, come diceva il titolo di un film: “Non uno(a) di meno”.

Questo lo possiamo fare noi, attraverso la nostra azione quotidiana e il nostro pensiero e la nostra riflessione. Ha scritto Maria Zambrano in Persona e democrazia: “L’uomo o la donna possono avere un posto nella storia in varie maniere: passivamente o in forma attiva. Il che si realizza pienamente solo quando si accetta la responsabilità o quando la si vive moralmente”.

Ho sempre creduto nella scuola, ma soprattutto ho sempre creduto in quel particolare rapporto che si può creare tra maestr* e alliev*. Si dice che è difficile comunicare con i o le giovani  e non ci chiediamo abbastanza se non sia invece difficile per i o le giovani comunicare con gli / le adult*, trovare quegli spazi in cui sia ancora possibile quel dialogo che sa trasformare sia l’un* che l’altr*. Fin da piccol* hanno tante sollecitazioni e pochi momenti in cui indugiare sulla vita e contemplarla. Sembra quasi che gli adulti  le persone adulte siano oggi mute di fronte alle generazioni più giovani e alle loro domande che così non trovano la strada della parola. La scuola viaggia lontano dalla loro realtà e, se hanno tant* insegnanti di matematica, italiano, inglese…, sono sempre più rari quell* che sanno intrecciare la cultura con la vita in modo da vivificarla.

Secondo lo scrittore e saggista francesce George Steiner “insegnare seriamente è toccare ciò che vi è di più vitale in un essere umano. È creare un accesso all’integrità più viva e intima di un bambino, di una bambina o di una persona adulta”.


Nota di redazione – abbiamo modificato alcune parole del testo (indicandole con colore diverso) perché riteniamo importante l’uso del linguaggio di genere. Utilizzare un neutro maschile significa  cancellare la presenza del femminile.