In/per ricordo di Mabruka
L’anniversario della morte di Mabruka, una “clandestina” (secondo il linguaggio razzista al quale in tante/i sembrano oramai essersi assuefatti), suicida nel Cie di Ponte Galeria a Roma l’anno scorso.
Si impiccò nella notte tra il 6 e il 7 maggio 2009 per evitare il rimpatrio forzato. In Vivre libre ou mourir scrivevo che il suo era un gesto politico. E questo non significava volerne fare un’eroina. Gravissimo (dal punto di vista politico e non solo) sarebbe ridefinire (o/e proiettare sul ) il gesto di un’altra a partire da una nostra esigenza, immagine o necessità (gli eroi che non riusciamo a trovare tra noi, scriveva giustamente qualcuna nei commenti). Non, non era questo.
Il gesto di Mabruka era (è) politico perché {{tutta la sua storia, dall’inizio alla fine, è “politica}}”: “Non la rappresentazione della politica, ma la dimensione politica dei nostri modi di vivere e morire. E’ politico nascere in un paese o in un altro, sono politici i rapporti umani e sociali in cui ci si trova, è politico rischiare, affrontare disagi, spesso a rischio della vita, per uscire da una condizione invivibile. E’ politico come si viene accolti o respinti, discriminati, braccati o reclusi, inferiorizzati più o meno e come: reddito, lavoro, qualifica, diritti. E’ politico un sistema che può rinchiuderti per rispedirti d’autorità nel paese che hai lasciato, dove magari non ti attendono certo per festeggiarti, è politico che una non ne possa più, non ce la faccia più, non ci stia più. Che, oggi, non ci sia più”.
Ed {{è stato (è) politico non tacere}}, cercare di far sì che la morte di Mabruka (e le responsabilità) non vengano sepolti con il corpo di questa donna. E’ per questo che ne scrivo ancora. Scrivo per lei, per Joy e per tutte quelle (e quelli) di cui non conosciamo (e non conosceremo, se non purtroppo in certi finali atroci) neanche il nome (scriveva Benjamin che è più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella di chi è conosciuto). Qualcuna/a penserà che è poca cosa. Ma qui pensiamo ancora che anche le parole sono pietre.
{da “marginalia”, dove è possibile trovare altri articoli di riferimento}
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