Sembra impossibile ma già sei mesi sono trascorsi dalla scomparsa di Lucia Mastrodomenico e Angela Putino. Una coppia di donne che ha tanto pensato e ideato in comune, che la morte ha reso tragicamente, e forse non per caso, nei ricordi “definitiva”. Per la redazione di “Ada teoria femminista”, la rivista online, desiderata e progettata da queste due splendide donne è un lutto gigantesco.
Purtroppo entrambe le genitrici sono andate via… A noi, che restiamo e caparbiamente vogliamo continuare (e ancora avere un punto di contatto con il loro “infinito” pensiero) non resta che elaborare il lutto, anche pensando al terzo numero della rivista “{Essere sante oggi}”, titolo lasciato in eredità dalle due genitrici.

{{Diotima: parlare liberamente di Angela}}

Angela scrive nel suo ultimo e prezioso libro {Simone Weil. Un’intima estraneità}, Roma, Città Aperta, 2006, che il lutto non è: “confluenza nella morte comune o nel sentimento accomunante della morte […] Se si è attenti al lutto, si sa che non va alle malinconie della mancanza, riferite alle dipendenze e ai bisogni non più soddisfatti a causa della perdita dell’amico, e che neppure va a quell’intreccio di seduzioni reciproche che sono l’altro tessuto dei piaceri dell’amicizia. Si varca il bordo non della frustrazione, ma della separazione entro cui noi siamo […] E ci troviamo ad avere intimo chi annuncia continuamente la partenza”.
_ La comunità amorosa si dà non solo nell’incontro di desiderio con altro desiderio, ma anche nell’incontro che si sospende.

Proprio per vivere un po’ d’intima estraneità, forse, {{Wanda Tommasi}} e {{Chiara Zamboni}} hanno chiesto a tante, che hanno conosciuto Angela, di parlare liberamente di lei portando una riflessione a partire da un’idea regalataci dalla stessa, attraverso un brano.
_ Il 24 maggio all’Università di Verona molte della Comunità di Diotima si sono incontrate, anche con alcune donne che vivevano una dimensione un po’ più vicina ad Angela (più quotidiana), fosse solo per il fatto che, essendo napoletane come lei, spesso condividevano lo stesso “panorama”.

All’incontro a Verona c’era anche {{Laura Boella}} che ha ricordato che, da Angela, è stata trattata “meglio di quanto mi meritassi” e quindi ha avuto con lei un impatto inaspettato.
_ {{Diana Sartori}}, inoltre, ha raccontato che per lei è “viva voce”. I suoi incontri con il pensiero di Angela erano l’incontro diretto, una lotta corpo a corpo con le parole, un saper ritornare sempre al punto e poi ripartire per inimmaginabili rotte.
In tutta la giornata, nell’aula 1 del Polo didattico Zanotto,{{ il pensiero della Putino è apparso complesso e originale}}, sembrava carne ed ossa, presente, speculare, attento e tagliente, tanto che {{Luisa Muraro}} ha detto che, forse per la lontananza geografica, Angela per lei continua a vivere, il conflitto resta aperto e aperta resta la sua voglia di capire e studiare il suo pensiero.
_ Quando si parla dell’amica morta si dischiude il “segno del doloroso”, questa soglia è toccata a {{Giovanna Borrello}}, filosofa napoletana, che per molti anni ha intrattenuto una relazione con Angela. Ha ricordato del parlare “estenuante” che avevano insieme: era una reale posizione d’ascolto, lo stare l’una di fronte all’altra. Oggi sente il dolore della perdita.
_ {{Per me e Tristana Dini}}, della redazione di “{[Ada teoria femminista->http://www.adateoriafemminista.it/]}” è sembrato “bello” interloquire sul senso di comunità (o collettivo) che ha a che fare con la Putino e pertanto con l’infinito; lì dove si segnano tracciati diversi, ma non dissimili, quando si va dalla politica ai piaceri (o ai dispiaceri) dell’amicizia o dell’amore.

{{Fare comunità}}

Come ha risuonato dentro di me la parola comunità, io che ho avuto il privilegio di fare con Lucia ed Angela l’esperienza della redazione di due riviste: “{Madrigale}” e “{Ada teoria femminista}”? Ho cercato di restituire la mia idea attraverso l’articolo scritto a quattro mani da Putino e Mastrodomenico, {Maggio: bevendo un tè al mango}, editoriale del settimo numero di “Madrigale” del luglio 1991.

Il fare comunità ha avuto a che fare con lo sperimentare, che significa provare ad affermare ciò che si è provato e contemporaneamente dare assenso alle altre che si cimentano con il proprio desiderio di affermazione, e quindi si esercita direttamente con le affezioni che si provano tra i vari soggetti appena si relazionano tra loro. {{L’autorità di pensiero}} che loro avevano, per noi era visibile ed era “cibo di cui ognuna si alimentava”. Il loro relazionarsi era fortemente immanente al gruppo, in un riferimento contestuale. Scrivevano in quell’articolo: {“Nell’esplicitazione dei passaggi noi poniamo una pratica, quella della trasparenza […] strettamente collegata è quella di considerare un gruppo come centro entro cui educarsi a pensare. Noi possiamo credere a molte illuminazioni, c’è una vasta corrente intuitiva che gira tra noi, ma riteniamo di prendere in considerazione solo quando è insegnabile […] Noi desideriamo insegnare l’ininsegnabile”}.

{{Curare la Terra di mezzo}}

È riuscita Angela ad insegnare l’ininsegnabile, spostando lo sguardo, scoprendo altri punti d’avvistamento, avendo un fecondo scambio con tante e tanti, come ha ricordato a Verona anche {{Giannina Longobardi}}: concetti di “arte di polemizzare tra donne”, “inaddomesticato”, “la signora del cielo stellato”; il mito di “Themis” – la dea della vita comune che presiede all’assemblee, “la terra di mezzo” – luogo che è sintesi di relazioni; per finire con “ogni donna pensa”: Si, ogni donna è capace di pensiero, e nel pronunciare ciò, direttamente si coglie che, dalla politica, si è iniziato (dalla relazione per il seminario di Diotima nel 2006: Impersonale della politica).

Angela ha tanto pensato con altre, e con Lucia ha mantenuto sempre viva e ben curata quella terra di mezzo, donando energia a tante altre. _ Loro hanno desiderato avere {{una finestra aperta sul pensare}}, pensare a ciò che accade oggi. Per questo è stata fatta una rivista che cerca di precisare punti di avvistamento nelle teorie femministe: “{Solo quando parliamo di teoria sappiamo cosa sa fare la libertà […] Una teoria è una teoria quando irresistibilmente ci spinge e ci attrae per farne venir fuori ancora un’altra}” (dal n. 1 di “Ada teoria femminista”).
_ Si tratta sempre di un pensiero incarnato, tuttavia questo pensiero si è imposto in una condizione collettiva.

Angela e Lucia dando assenso a tanti e tante hanno resa viva e comunicativa la loro relazione e pertanto anche le nostre (il collettivo). La loro continua trasparenza è stata una rendita per alcune di noi, pensiero vivo, che partendo dal proprio corpo, si predispone alla parola con l’altra/o e tiene sempre aperto il punto d’incontro, senza mai stasi e fusionalità.

Così scriveva Lucia, poco prima di iniziare l’ultima avventura terrestre con Angela, la rivista di teoria femminista, in un pezzo inedito: “{Ho bisogno di sapere ancora chi sono io, ma anche che senza di lei, di lui non sono più io, e forse non so neppure che cosa farmene di me […] vorrei darmi più possibilità}”. Forse anche noi stesse (e non solo) non abbiamo offerto molte possibilità a queste due donne? Sicuramente: “{sulla linea della verità si presenta la giustizia, dal momento che l’amore anonimo […] percorso che non si appaga né nelle perdite rovinose e simbiotiche, né nelle barriere delle costruzioni […] stretta, ravvicinata come segno indelebile dell’incarnazione, è per Simone Weil la bellezza. L’indefinibile del bello si accompagna alle sorti semi mute della verità e della giustizia. Come un fulgore, più che come una luce}” (dall’ultimo libro su S. Weil di Angela).

Come un fulgore appaiono Lucia ed Angela, bellezza con voce per chiamare: ancora parlano e polemizzano, polemizzano e parlano. Dall’esperienza della loro perdita, ora, sappiamo per vero che ciò che annichila è anche ciò che produce vertigine della stessa perdita, e così sorge in chi è folgorato/a il mutamento del “comune”.
_ In un’impotenza si illumina l’infinito e con un niente si potrà affrontare il passaggio, in una forma ascetica, al loro ascolto.
_ In una relazione di un nascere e di un rinascere, a loro due le si lascia fuori dal conto, nella loro per noi intima estraneità: “ciò di cui siamo fatti è un’intima estraneità”.