Molte di noi hanno sentito parlare in molteplici contesti dell’intelligenza artificiale, artificial intelligence (AI). Si tratta di una struttura variegata e complessa costituita da sistemi software e hardware in grado di apprendere dalla realtà circostante e reagire ad essa sulla base di strategie predefinite. La definizione sembra particolarmente difficile ma la sua realizzazione pratica corrisponde alla creazione di modelli e schemi che copiano una realtà semplice e ripetitiva e alla creazione di un software che possa reagire secondo il suddetto schema ripetitivo. In questo modo il computer con i suoi software, purché sia sufficientemente grande e potente, può virtualmente “imparare” tutte le possibili mosse di una partita a scacchi, richiamarle in tempi brevissimi, e giocare una vera e propria partita con un essere umano avendo discrete probabilità di vittoria. Non c’è, a dire il vero, niente di propriamente intelligente in questo, ma vi è certamente la capacità di calcolo e la capacità di apprendimento rese possibili dall’attuale livello di sviluppo tecnologico.

AI è uno strumento, e per quanto ci è dato sapere adesso, uno strumento in grado di svilupparsi molto rapidamente e di creare strutture, sistemi, interazioni con la società che hanno e avranno sempre di più delle forti ricadute sulla nostra esistenza. AI significa applicazioni nei più svariati settori e livelli, significa per esempio, e molto comunemente, un sistema di assistenza vocale quali un navigatore per muoversi nel traffico, un sistema come “SIRI” che interagisce e fornisce informazioni, una piattaforma come “Alexa” echo. Sono più diffusi di quanto ognuno di noi possa pensare e condizionano le nostre vite quotidiane più di quanto si possa essere consapevoli. Letteralmente ci assistono, nella realtà interferiscono. Ma sono un dato di fatto acquisito, uno di quelli dai quali non è possibile né prescindere tantomeno tornare indietro. La questione passa rapidamente da essere un mero elemento di progresso tecnologico ad incarnare un tema di cui dovranno occuparsi legislatori e legislatrici, scienziati e scienziate, filosofi e filosofe, professori e professoresse, tecnologi e tecnologhe. La politica e la scienza dovranno definire ambiti e linee guida, dovranno formulare indirizzi per consentire ad un mezzo tanto potente di portare beneficio alla maggior parte delle persone possibile senza creare disuguaglianze, disparità di ricchezze e disparità di genere. Se questo è l’obiettivo siamo già partiti molto male. Per definizione AI è un sistema che COPIA, copia la realtà ed impara da essa per poi riprodurla, copia la realtà in quanto essa è nel momento in cui l’educazione della nostra personale AI prende inizio. Guardiamo la società per come essa è oggi perché questo è il modello che AI si appresta a riprodurre e perpetrare.

Il tema è attuale, lo dimostra il fatto che è posto al centro di conferenze e dibattiti in ogni parte del globo. La discriminazione di genere e la sua relazione con AI sono anch’esse dibattute ed analizzate per le poderose conseguenze che una mancanza di policy in questo ambito potrebbe avere. In realtà ogni strumento può essere di per sé portatore o meno di discriminazione, la differenza la fanno il creatore e l’utilizzatore finale, per cui guardiamo i numeri: nell’ambito dell’intelligenza artificiale il 22% della forza lavoro è femminile ed il restante 78% è maschile. L’immediata conseguenza di questa asimmetria di distribuzione è che la più comune AI di cui oggi siamo fruitori trasferisce il pregiudizio dalla società alla sua trasfigurazione digitale in modo più o meno integrale.

Continuiamo con l’esempio degli assistenti vocali: navigatore, SIRI, ALEXA. Qualcuno di voi ha certamente già capito cosa hanno in comune questi tre assistenti: tutti e tre hanno una voce femminile. Li cito non solo perché fanno parte della nostra vita quotidiana, perché sono di facile utilizzo, perché sono vicini, ma perché si prestano bene a definire come il pregiudizio di genere viene trasferito dal mondo reale a quello digitale dell’intelligenza artificiale. Queste voci sono tutte e tre femminili perché incarnano l’assistenza, l’aiuto domestico (“digital domesticity” – Woods, 2018: 335, also see West, Kraut and Chew, 2019), l’accoglienza, la benevolenza. La società comunemente associa l’aiuto, domestico o meno, ad una donna, in un ruolo servile o meno, in un modo che può essere realizzato sulla base di una richiesta, autoritaria o meno.

Ecco fatto che abbiamo preso un bellissimo stereotipo e l’abbiamo eletto al grado di intelligenza artificiale sulla base della comune interpretazione del ruolo materno.

Possiamo investigare e trovare esempi meno prossimi ma il risultato non cambia e non cambierà se la proporzione tra donne e uomini nelle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) non verrà equilibrata.

Il rischio è chiaro, AI non solo copia i comportamenti e gli stereotipi di una società ma li rende immortali, li trasforma in qualcosa di estraneo agli esseri umani e pertanto indiscutibile, ineluttabile, non modificabile. Trasfigura la soggettività in oggettività, l’opinione in fatto assodato, l’ipotesi nella reiterazione di se stessa e quindi nell’asserzione.

Abbiamo bisogno di molte donne nei ruoli strategici dell’industria digitale e dell’intelligenza artificiale, più donne informatiche e scienziate, più donne capaci di redistribuire equità.

https://events.cri-paris.org/e/617/one-day-workshop-on-artificial-intelligence-and-women-empowerment

http://lcfi.ac.uk/media/uploads/files/AI_and_Gender___4_Proposals_for_Future_Research.pdf

https://www.bizcommunity.com/Article/196/712/196142.html