Intervista a Ola Alaghbary, della Sheba Youth Organisation for Development, operante in Yemen
Nell’ambito del progetto della Wilpf-International per il ventennale della Risoluzione 1325, la Wilpf-Italia ha creato un network tra le donne mediatrici del conflitto in Yemen, la Wilpf-Italia (particolarmente impegnata sulla questione della vendita di bombe d’aereo italiane alla Repubblica di Yemen) ed ecopacifisti/e sardi impegnat* nel blocco delle vendite delle bombe prodotte dalla RWM e della riconversione di quella fabbrica.
Il pezzo seguente e altri che ne seguiranno, sono nell’alveo del network.
Per uno sguardo generale sulla storia dello Yemen e la Risoluzione, vedi articoli del 17 febbraio, con contributo dell’ex ambasciatore in Yemen, Mario Bozzo per la Wilpf-Italia.
Segue l’intervista a Ola Alaghbary, della Sheba Youth Organisation for Development, operante in Yemen. È il primo di una serie di contributi inerenti il Progetto Italian and Yemenite women working against war. Intervista effettuata e tradotta da Patrizia Sterpetti ed Enrica Lomazzi (14.01.2021)
D. – P. Sterpetti (presidente Wilpf-Italia): Questo incontro è nato nell’ambito di un progetto legato alla Risoluzione 1325 in cui abbiamo scelto lo Yemen per concentrarci sulle responsabilità del Governo italiano riguardo alla guerra in corso. Recentemente, il 22 dicembre 2020, grazie alle pressioni della società civile, la Commissione parlamentare esteri ha rinnovato il blocco della vendita di bombe prodotte dall’Italia all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, Wilpf Italia sta facendo pressioni insieme ad associazioni sarde per la riconversione della fabbrica di bombe vendute all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti in una fabbrica di formaggi, da impiantare anche in Yemen.
R. – Grazie per l’occasione che mi date di presentare Sheba Youth Organisation for Developement, che dal 2008 si occupa di giovani donne nel Nord dello Yemen e che, dal 2009, ha esteso l’attività all’intero Paese. Fino al 2011, prima dell’inizio della Rivoluzione, la partecipazione politica di giovani, donne e uomini, era forte. Poi nel 2014 – e con la guerra nel 2016 – le cose sono cambiate. Il Paese si è diviso: al Nord, gli Ansara sostenuti dall’Iran; al Sud la sharia, il Presidente, sostenuto dall’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. La società civile si è parcellizzata. Al Nord, la condivisione della partecipazione politica tra uomini e donne è tabù; al Sud è possibile fare interventi politici ed economici. È stata stabilita un’agenzia delle Nazioni Unite al Nord.
D. (P. S.) – In generale, secondo te, in cosa vi si può sostenere?
R. – Abbiamo bisogno di programmi di capacity building, di conflict resolution in base alle Risoluzioni UNSC 1325 e 2250. Ci manca l’esperienza. Sfortunatamente, chi ci viene ad aiutare ha già una sua agenda. I donatori arrivano senza tenere conto della situazione e impongono le loro priorità.
D. (E. L.) – Com’è la situazione ora, in generale?
R. – Noi non abbiamo fiducia nei nostri politici. Non hanno fatto niente in sei anni. Crediamo piuttosto nelle autorità locali e nella coesione sociale.
D. (E. L.) –Dal punto di vista della sicurezza, com’è la situazione?
R. – In Yemen abbiamo 24 check point. All’inizio della guerra, la distruzione è stata massiva adesso lo è di meno. Io mi muovo molto e a volte m’interrogano sulle nostre attività: non credono nel nostro lavoro…
D. (E. L.) – Sappiamo che nelle società islamizzate le condizioni delle donne non sono sempre facili, com’è la situazione?
R. – La vita è cambiata da prima a dopo la guerra in senso negativo e positivo. Ora centinaia di donne lavorano fuori casa e, paradossalmente, gli uomini sono i soggetti più fermati ai posti di blocco.
Al Nord un tempo uomini e donne stavano insieme nei caffè e negli uffici, ora sono separati, stanno stabilendo nuove regole. Le donne subiscono la perdita dei loro congiunti maschi e quindi ci sono centri di supporto psicologico.
D. (P. S.) – Il sistema scolastico come procede? Ci sono scuole o università aperte?
R. – Molte scuole sono state distrutte, specie nella zona di Taiz, ma adesso vi sono scuole e università aperte.
D. (P. S.) – Secondo te, quando finirà la guerra?
R. Pochi giorni fa, dopo aver visto quello che è successo negli U.S.A., la situazione al Nord era complessa. Il nostro Governo è tornato dall’Arabia Saudita in Yemen. È importante che ci mettiate in contatto con gli attivisti sardi. Stiamo aspettando di vedere cosa succede. Ci sono stati dei bombardamenti all’aeroporto.
D. (P. S.) –Hai detto che gli aiuti che arrivano in Yemen sono soprattutto di tipo umanitario e non a sostegno di una mediazione del conflitto. A noi interessa proprio questo: il livello diplomatico e il cambiamento di mentalità. Sei a conoscenza dell’incontro mondiale, del 25 gennaio, “Stop the War Coalition” per protestare contro la guerra in Yemen, promosso da organizzazioni della società civile di Paesi che sono stati in prima linea alleati all’Arabia Saudita, come gli U.S.A. e U.K?
R. – No.
D. (P.S.) – Allora ti inviamo il link per partecipare.
R. – In effetti inoccasione di un incontro con un diplomatico inglese, ho chiesto: “Ma se volete aiutarci, perché continuate a bombardarci?” Lui mi ha risposto: “Ma sono bombardamenti fatti con accortezza, con attenzione al diritto umanitario!”
D. (E. L.) – Lo stesso accade in Italia, quando i politici difendono l’attività della fabbrica RWM che produce bombe appellandosi agli interessi nazionali. Ma quali sono gli interessi nazionali? E’ importante il contatto con gli attivisti sardi. Io sono stata a San’ā’, è una città bellissima…. è stata completamente distrutta?
R. – Direi di sì, nei primi due anni, i bombardamenti dell’Arabia Saudita sono stati massicci su San’ā’ e Taiz.
D. (P. S.) –Occorre continuare a confrontarci e ad aggiornarci sulle situazioni nei nostri Paesi e tessere contatti anche con gli attivisti sardi.
R. – In Yemen, le OSC non hanno la stessa forza vostra di mediare a livello diplomatico con le autorità politiche. Per questo i donatori stanno fornendo cibo ma anche possibilità di formazione di/delle giovani secondo la Risoluzione UNSC 2250.
D. (P. S.) – Non credi che riuscire ad affrontare l’antico dissidio fra sciiti e sunniti, in questo conflitto, potrebbe essere un passo avanti per tutte le contrapposizioni in altri Paesi?
R. – Al Nord ci sono gli Houthi sostenuti dall’Iran e al Sud i sunniti sostenuti da Arabia Saudita, U.S.A., U.K.; non è una questione religiosa ma politica.
D. (E. L.) – Cosa pensi dell’arrivo di Baiden alla presidenza USA?
R. – Il Sud non è organizzato, è acefalo, quindi qualunque potenza arrivi è facile condizionarlo….
L’incontro on line si è concluso con l’auspicio di un approfondimento delle relazioni e di un aggiornamento regolare; Ola Alaghbary ha ribadito il piacere dell’incontro e i ringraziamenti: “…è importante rimanere in contatto perché in questa situazione a volte ci si sente distanti da tutto e non si capisce bene cosa stia succedendo nel mondo.”