Irigaray: La condivisione dell’amore
Luce Irigaray ha presentato a Napoli, lo scorso 11 ottobre, il suo ultimo libro, “Oltre i propri confini” nel corso di una conferenza dal titolo: “La condivisione dell’amore”. Irigaray ha intrecciato ogni passaggio del suo discorso con il racconto dell’amicizia con Lucia Matrodomenico, scomparsa il 1° gennaio di quest’anno. A Lucia ha dedicato sia la conferenza che il primo capitolo del libro, “Imparare ad amare”, una dedica “non in memoria”, ha detto Irigaray, ma per “celebrare qualcosa che con lei ho condiviso, qualcosa di raro e prezioso, l’amore”.
_ Il libro si apre con il testo “Imparare ad amare”, e con l’intervista/dialogo tra Luce Irigaray e Lucia Mastrodomenico sullo stesso tema.
Tutto il libro è costruito secondo lo stesso schema: ai testi della filosofa e psicoanalista francese seguono interviste/dialoghi con le persone che, nel corso del 2005, l’hanno invitata in Italia, in diverse occasioni. I temi sono: l’amore, la democrazia, la violenza esercitata dalle donne, il divenire del cristianesimo in un’epoca postmoderna e multiculturale. L’ultimo testo è una conferenza sulla condivisione della felicità tenuta a Modena nell’ambito del Festival di Filosofia, a pochi giorni dall’attentato alle Torri Gemelle di New York.
Nel nuovo libro di Irigaray tornano tutti i temi delle sue precedenti opere, eppure, grazie al dialogo che l’autrice ha intrecciato con le sue interlocutrici e i suoi interlocutori, si presentano in una luce nuova. Anche qui, come nella poesia, alla quale negli ultimi tempi Irigaray sempre di più si affida, si assottiglia la pellicola tra la teoria e l’esperienza di vita concreta.
_ Nell’incipit di una delle conferenze – “Ai confini della terra, ai confini di noi stessi” tenuta all’eremo camaldolese di Monte Giove a Fano – Irigaray spiega: “Le mie parole non pretendono di essere certezze né dogmi. Corrispondono piuttosto a una testimonianza rispetto a esperienze e meditazioni che fanno parte del mio proprio cammino. Questo cammino, da anni, va da un incrocio all’altro. Ciò potrebbe essere considerato come infedeltà o dispersione. Per me, corrisponde piuttosto a certe esigenze imposte dalla nostra epoca a cui cerco di essere attenta.”
{{Attenzione e dialogo}} sono forse le due parole chiave di questo libro: attenzione soprattutto alla differenza e alle differenze, e al loro incrocio nella croce del presente; dialogo, come metodo di ricerca della verità. Il dialogo è un metodo valido, dice Irigaray, se è condotto “in modo che nessuno né nessuna creda di detenere la verità perché questa sta insieme in ciascuno dei due e fra i due.”
Rivolgersi ad un’altra persona “nel mutuo rispetto dell’altra/o, senza rinunciare alla propria differenza”: questo si può fare se si è disposte/i a varcare i propri confini, come suggerisce il titolo del libro: “Mi pare che sia un nostro compito oggi essere capaci di {{varcare tutte le frontiere, senza tuttavia perdere la nostra identità né nuocere a quella dell’altro}}. Questo non può dipendere solamente da un lavoro di politici o di esperti a livello internazionale. È un incarico che spetta a ognuno di noi. Il modo di compierlo è dialogare in ogni momento e in ogni luogo con la persona che incontriamo.”
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Oltre i propri confini}}, però, si può andare se si sta attenti a non perdere quella “chiave non sostituibile” che è la differenza fra i sessi, “il più indispensabile passaporto per attraversare i propri confini, senza smarrirsi né ridurre l’altro a se stessi.”
_ {{La differenza fra i sessi resta un’irriducibile e basilare}} struttura in ciascuna delle differenze tra le culture, è il presupposto di ogni dialogo e di ogni incontro anche in un’epoca che si dice multiculturale. Perché? Perché per entrare in relazione con l’altro e per costruire una cultura dell’intersoggettività bisogna mantenere la dualità tra i soggetti.
Luce Irigaray torna spesso, nel libro, sul metodo, e ci dà indicazioni preziose su che {{cosa fare, nella vita quotidiana, per essere in relazione con l’altro senza nessuna violenza}}. Ad esempio, educare il desiderio, “la fonte più feconda di energia”; ma anche “condividere un progetto o un’opera d’arte che piace all’altro e a noi stessi tenendo conto della differenza fra di noi”; nel lavoro educativo con le ragazze e i ragazzi, poi, dar vita a “piccoli esercizi linguistici” per porre l’accento sull’aspetto relazionale ed aiutare i ragazzi e le ragazze “a scoprire da sé a che cosa corrispondono la soggettività maschile e la soggettività femminile, e come sia possibile metterle in comunicazione senza sottomissione dell’una all’altra”; soprattutto, “imparare a condividere il rispetto del mistero dell’altro”.
Anche {{il silenzio}} (che permette di mantenere la dualità dei soggetti e dei mondi), il rispetto del respiro (che dà vita alle parole) e la contemplazione della natura sono “vie” per raggiungere la felicità.
Anche nella vita civile c’è bisogno che cresca una cultura del desiderio: “la scoperta del divenire umano come relazione all’altro in cui si mantiene il due e che diventa così fonte di una nuova cultura e di un supplemento di vita per l’umanità.”
E’ ancora forte l’attenzione che Irigaray dedica a {{come far crescere la cultura del due nella politica e nella vita civile}}, il tema di altri suoi libri. Con “Oltre i propri confini”, però, il tema perde ogni traccia di “discorso generale”, e si accosta alla concreta esperienza di ognuna/o. Il metodo, la via, esperimenti nella vita quotidiana.
_ E’ come se la critica che la filosofa fa alla filosofia (“La nostra filosofia è troppo mentale. Non corrisponde a sufficienza a una sapienza del corpo, del cuore, dell’intera persona”) si fosse ancora di più radicalizzata. Via le separazioni, via gli specialismi, Irigaray ci suggerisce che non c’è nulla che valga la pena di essere pensato che non passi attraverso la vita. E che non c’è nulla che valga la pena di essere vissuto che non passi attraverso il pensiero.
Forse è per questo che il discorso sull’amore tenuto a Napoli ha rimandato passo per passo all’amicizia, capace di mutuo rispetto, con Lucia. La garanzia perché l’amore non diventi fusionalità e/o possesso, annullamento e cancellazione dell’altra/o, è nel saper rispettare il mistero che l’altra/o è, e rimane, per noi: “L’amore è umile, perché non sa mai chi è l’altro/a. L’amore non sa nulla. E’ apertura a qualcosa che ancora deve venire, in questo senso è trascendenza. L’amore desidera la presenza dell’altro/a, ma non ne ha bisogno. Si può coltivare l’amore senza il possesso e la dipendenza.”
_ {{Si può. Non “si deve”}}: non si tratta cioè di un imperativo astratto, morale. Non è neanche una possibilità posta accanto ad un’altra: si può fare questo e si può fare altro. Si può, sembra voler dire Irigaray, significa che è possibile, che si può fare. E’ per questo che conclude il suo nuovo libro con un’esortazione: “…è ora che ci risvegliamo dalle nostre certezze, pretese e disperate infelicità!”
– Irigaray Luce, {{ {Oltre i propri confini} }}
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