Isle of Dogs, scritto, diretto, prodotto da Anderson, è una composizione fulminante di segni – Il film uscirà in Italia il 17 maggio 2018
Mariuccia Ciotta da AlfaBeta2
— L’“influenza canina” ha influenzato Wes Anderson (a sua volta ispirato da Akira Kurosawa) per L’isola dei cani, film d’animazione in stop-motion, il secondo dopo Fantastic Mr. Fox (2009), questa volta ambientato in Giappone. Orso d’argento per la regia alla Berlinale, Isle of Dogs, scritto, diretto, prodotto da Anderson, è una composizione fulminante di segni, un ritratto d’inchiostro di china accompagnato da multi-sonorità che moltiplicano le immagini, a partire dalle voci. Nella versione originale, i cani parlano un inglese forbito grazie ad attori che non temono il facile joke, Bill Murray, Jeff Goldblum, Edward Norton, Scarlett Johansson, Tilda Swinton e Yoko Ono. Mentre Spots, il peloso protagonista, ha il timbro vocale di Liev Schreiber. Eccezione linguistica, l’attore e traduttore Kunichi Nomura, proveniente dal coppoliano Lost in translation e tra gli autori del soggetto, insieme a Roman Coppola.
Formalmente minimalista, è un’opera shakespeariana (Kurosawa insegna) e insieme un dramma politico, violento contro armi atomiche e tirannia Giap e Usa (il film è Pg -13 negli States). E contro l’utilizzo di soldati-robot, qui a quattro zampe, metallici guerrieri dagli occhi rotanti che ricordano la muta bestiale dai collari parlanti di Up (Pixar-Disney) agli ordini di un ex nazista. La “fiaba” comprende un assassinio di stato, la morte per avvelenamento del leader del Partito della Scienza, ideatore dell’antidoto all’epidemia canina, e un piano di soluzione finale a base di bombe atomiche.
Il film è tempestato di piccole, pungenti, disperate avventure, set la Trash Island, un’isola-discarica dove finiscono tutti i “migliori amici dell’uomo” accusati di diffondere un virus letale, segretamente creato in laboratorio per eliminare la specie e smerciare i cani automi. Pulizia etnica.
I fotogrammi si inseguono come tavole a fumetti, i cani diritti e impettiti, lontani da Megasaki City, governata da un tiranno amante dei gatti. Siamo in un 2037 molto attuale. Derelitti e criminalizzati, lasciati marcire senza cibo e senza cure, gli espulsi frugano nella spazzatura come i bambini delle periferie del mondo. C’è un cane nero, fiero di essere un vagabondo, disubbidiente agli umani – “io mordo” – e che si scoprirà biondo dopo un buon bagno schiuma, e c’è Spots, il suo ignaro fratello, fedele “guardia del corpo” di Atari Kobayashi, dodicenne pupillo del cattivo governatore, deciso a salvarlo. A bordo di un aeroplano di latta chiamato Junior-Turboprop, Atari si catapulterà sull’isola off-limits. Avrà difficoltà di comunicazione con il branco. Non parla il canino? No, il piccolo samurai non parla inglese. E, da stranieri, bambino e animali si scambieranno emozioni e informazioni per la rivoluzione di Megasaki City.
Il viaggio in fila indiana di Atari e cani alla ricerca di Spots attraversa il film e l’isola, una processione di strambi personaggi alla Buster Keaton, lunari e imperterriti. Il ragazzino ha un ferro conficcato in testa, conseguenza della caduta dall’aereo, impartisce ordini in giapponese e tira fuori dalla sua tuta argentea oggetti di ogni tipo, alla maniera di Harpo Marx. Ma le gag sorridenti finiranno tra inseguimenti, scontri a fuoco, morti e l’assalto al palazzo d’inverno, là dove risiedono i malefici sterminatori di cani, i Ronin, samurai senza padrone, randagi ribelli.
Wes Anderson ritorna nell’incanto di New Penzance, l’isola di Moonrise Kingdom, in fuga dietro una coppia anomala come quella di Atari e Spots, contrastata dagli adulti, poetica e imbambolata. E lo fa con il suo gusto per l’irragionevole e il bizzarro, aiutato dall’animazione a passo uno che dà un effetto inverso all’andamento fluido del film digitale. Anderson vuole i suoi personaggi bidimensionali, rigidi e “burattini” il più possibile, al contrario dei protagonisti di La sposa cadavere di Tim Burton, frutto di tecniche ultra-sofisticate applicate al vecchio metodo della stop-motion (pupazzi fotografati a ogni posa). I cani si muovono invece in uno spazio vuoto, definito da movimenti a scatti comico-disturbanti, secondo la tradizione ceca di Jan Svankmajer.
Narrazione ellittica, primi piani e piani sequenza, Isle of Dogs si discosta dal tocco dark di Nightmare Before Christmas firmato da Henry Selick, che Anderson avrebbe voluto per Fantastic Mister Fox, ma lo scrittore-regista preferì dirigere Coraline e la porta magica, prodotto dalla Laika di Travis Knight, specializzata nel cinema frame by frame. Meglio così.
L’isola dei cani è un film d’animazione speciale che risucchia lo spirito dell’innocenza resistente al cinismo e lo infonde nei corpi senza organi, lontani dall’antropomorfismo disneyano, eppure in trasparenza sovrapponibili agli umani, un po’ come Pinocchio. Il film uscirà in Italia il 17 maggio.