ISTAT – La buona politica è fatta di buona conoscenza ma anche di autocritiche e di comportamenti conseguenti!
Perchè ritorno sul lavoro svolto dall’ISTAT, perchè sono convinta che alla base di una buona politica ci deve essere una conoscenza corretta, puntuale, autonoma e soprattutto scientifica della realtà..
Il cambiamento voluto da Alleva, attuale dirigente Istat, sembra voler utilizzare prevalentemente la raccolta dati dagli archivi amministrativi con conseguente ridimensionamento dei dati campionari. I dati presi dagli archivi amministrativi, sono dati forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle imprese. Questo è decisamente meno costoso delle indagini campionarie. Prendere i dati dagli archivi amministrativi è un metodo utilizzato da diversi istituti di statistica del Nord Europa che Alleva ripropone. Non va dimenticato però che anche la Gran Bretagna tagliò nettamente le indagini sociali quando al governo c’era Margaret Thatcher.
Il taglio delle indagini campionarie sociali sarebbe insomma una scelta con forti implicazioni politiche. Le scelte portate avanti da Alleva sono funzionali ad un drastico taglio delle risorse imposte dal Governo responsabile anche delle nuove nomine.
In parte è vero che buoni dati amministrativi possono forse sostituire i censimenti, come avviene da decenni in Danimarca. Il nocciolo però del problema sta nella qualità dei dati amministrativi, qualità che dipende soprattutto dalla qualità delle pubbliche amministrazioni e, la nostra fa acqua da tutte le parti. Quindi gli standard italiani non possono essere paragonati con quelli del Nord Europa.
Per esempio, i dati sulla salute arrivano con un ritardo di quasi due anni. Ci sono in particolare molti dati che è impossibile ottenere solo per via amministrativa e sono soprattutto i dati sociali, a cominciare da quelli sulle percezioni (in materia di salute, sicurezza, benessere) e su situazioni e comportamenti (differenze di genere, uso del tempo, povertà, per fare qualche esempio). Delicate indagini campionarie consentono anche di radiografare fenomeni sommersi, per esempio nel campo delle violenze alle donne, che spesso non vengono dichiarate all’autorità giudiziaria. L’Italia in questi campi è stata all’avanguardia, grazie all’intenso lavoro sviluppato dalla già direttrice delle statistiche sociali e ambientali dell’Istat Linda Laura Sabbadini. Ricordiamo che Sabbadini è stata l’unica statistica inserita di recente nell’elenco delle “100 eccellenze italiane”. Grazie ai dati che in Italia sono stati raccolti, Sabbadini ha anche guidato l’elaborazione del Benessere equo e sostenibile, uno degli esperimenti più interessanti al mondo nel campo delle elaborazioni “oltre il Pil”.
La ministra per la Funzione pubblica Anna Maria Madia dovrebbe seriamente ripensare al fatto che certe semplificazioni e riduzione dei costi vanno contro la qualità della conoscenza e quindi anche contro la qualità della politica.
La scelta di Alleva non può che essere ricondotta a scelte governative. Ma Alleva, come il Governo, può rivedere le proprie posizioni, insomma cambiare rotta e recuperare quanto fatto da Sabbadini.
Un esempio del lavoro di quest’ultima ci viene dal saggio pubblicato in questi giorni nel volume che raccoglie gli atti del seminario dell’Udi LASCIATECI LAVORARE a cura di Vittoria Tola e Laura Peretti.
Sabbadini parlando della crisi dice che la forma di lavoro che continua ad aumentare quasi ininterrottamente dall’inizio della crisi è il part time. Nel 2014 sono oltre 4 milioni i lavoratori a tempo parziale , il 18,4 % del totale degli occupati (32,2% tra le donne e 8,4% tra gli uomini….la crisi –scrive Sabbadini – ha comunque interrotto il trend positivo dell’occupazione femminile…
La partecipazione al mercato del lavoro delle donne continua ad aumentare al crescere del titolo di studio. Si passa dal 29,1% delle donne con al massimo la licenza media inferiore al 71,2% di quelle con la laurea….la crescente difficoltà delle donne a diventare madri è accentuato negli anni della crisi durante la quale la conciliazione dei tempi di vita è peggiorata. Una donna su quattro lascia il lavoro a due anni dalla nascita del figli*. ..L’italia è ancora un paese dove l’asimmetria del lavoro familiare è alta come il sovraccarico del lavoro di cura per le donne. …Mancano servizi adeguati. E poi abbandonare il lavoro è sempre meno una scelta personale perché aumentano le donne che sono state licenziate dopo aver partorito, si passa dal 16,0% del 2005 al 27,2% del 2012…………
Non vorrei sbagliare ma mi sembra che la linea che emerge nel lavoro dell’Istat -per altro in sintonia con quella della Ministra Lorenzin- sia quella di puntare l’ obbiettivo a favore dell’istituto “famiglia” sottovalutando che al suo interno uomini e donne manifestano comportamenti diversi in riferimento ai luoghi di lavoro, ai servizi, alla scuola, al tempo libero, alla sanità.
E’ anche per questo, ad esempio, che L’UDI chiede alla Ministra della salute Lorenzin di conoscere l’attuale realtà dei consultori a quarant’anni dalla loro istituzione. Ma già si sa che al ministero questi dati non li hanno e, forse è proprio per queste inadeguatezze, la Ministra si limita a fare campagne di pura propaganda ideologica, non certo culturale. Se si fosse posta il problema culturale si sarebbe anche dovuta chiedere se i consultori hanno funzionato come erano stati pensati dalla legge del 1975. Seguendo il lavoro dei consultori con indagini corrette, in 40 anni si sarebbero potute porre – se c’era una volontà politica – anche le basi strutturali per risolvere il problema della denatalità.