Kosovo, la morte del diritto internazionale
Riceviamo dalla sen. Silvana Pisa e pubblichiamo la seguente nota, già apparsa su “aprileonline”, sulle vicende in atto nel Kosovo: {{la secessione della regione kossovara verso l’indipendenza, l’ostilità della Serbia a questo processo, l’inefficacia del diritto internazionale.}}
Il parlamento italiano affronta con ritardo il tema della crisi del Kosovo, quando “l’indipendenza” di quel paese pare già cosa fatta o quanto meno imminente e l’esposizione chiara e puntuale del Governo per voce del nostro sottosegretario, Famiano Crucianelli, in Commissioni congiunte Esteri e Difesa al Senato, non ha potuto dissipare preoccupazioni circa una situazione che l’Europa ha visto degenerare nel suo seno. Il tema è noto: {{la secessione della regione kossovara verso l’indipendenza, l’ostilità della Serbia a questo processo, l’inefficacia del diritto internazionale.}}
Dietro questo scenario l’azione spregiudicata dei padrini (USA e Russia) e quella subalterna dei comprimari (la UE). Crucianelli afferma che il punto dirimente nella questione è che i paesi della UE non si dividano sulle posizioni da sostenere.
Il fatto è che da tempo {{gli USA si sono dichiarati disponibili a riconoscere l’indipendenza del Kosovo}} anche in caso di decisione unilaterale. Questa presa di posizione ha diviso e condizionato l’atteggiamento di molti paesi europei che per mantenere l’unità tra loro (Inghilterra e Francia avevano già deciso di condividere le posizioni di Washington) non hanno avuto altra scelta che seguire le direttive USA.
Come spesso succede nelle questioni internazionali il tema era altro: non l’equilibrio tra Serbia e Kosovo, non {{la stabilizzazione degli interi Balcani}} (l’indipendenza del Kosovo, contro la volontà della Serbia, produrrà un effetto domino devastante) ma la subalternità “interessata” agli Stati Uniti. La posta in gioco era ed è l’appoggio per entrare nel “rinnovato” consiglio di Sicurezza dell’ONU: nessun paese europeo ha interesse ad inimicarsi chi potrebbe dare un parere determinante sulla scelta degli stati “guida” della UE.
{{La Russia}} d’altronde già strategicamente destabilizzata dalla decisione USA di installare lo scudo balistico antimissile ai suoi confini, {{difende ad oltranza le posizioni della Serbia}}.
In questa situazione il vero scacco è quello subito dal {{diritto internazionale}} che, ancora una volta, conferma il suo {{ruolo virtuale}}: invocato a gran voce, quando si tratta di ratificare gli interessi dei partners internazionali che contato, del tutto irrilevante, quando è di ostacolo a questi. E così la risoluzione delle Nazioni Unite 1244, del giugno ’99, che ha definito lo status della regione kosovara affidandola in amministrazione all’ONU (missione UNMIK), riconoscendone la sovranità legale alla Serbia, affidandone il comando militare alla Nato (missione KFOR), pare diventata fin da ora carta straccia, almeno per la parte che riguarda la sovranità della Serbia.
Per il resto il ruolo della Nato e degli USA sarà riconfermato.
{{Gli interessi strategici di Washington per il Kosovo sono economici, energetici, militari}}: il passaggio dell’oleodotto transbaltico, sponsorizzato dagli USA e la grande base militare americana di Bondsteel. Questa base, appaltata ad un’affiliata della Hallyburton, costituisce oggi il maggior datore di lavoro dell’intero Kosovo: tra dipendenti diretti e indotto occupa circa 20.000 persone. La stessa base è stata anche teatro delle extraordinary renditions della Cia e il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa -Alvaro Gil Roses- l’ha paragonata ad una “piccola Guantanamo”. Questo avrebbe dovuto sollevare problemi perché formalmente Camp Bondsteel dipende dal comando militare della KFOR il cui vertice è stato ricoperto, in rotazione, anche da comandanti italiani, e l’ONU, attraverso l’UNMIK avrebbe dovuto esercitare la giurisdizione sia sulle prigioni che sulle basi.
Anche questo episodio conferma {{la natura criminosa di una}} {{realtà di fatto}} -il Kosovo appunto- la cui economia è determinata dal narcotraffico, contrabbando di armi, tratta degli esseri umani. Anche se nel Paese sono arrivati più miliardi che nell’intera Africa, mancano infrastrutture e produttività e la disoccupazione è altissima (circa il 50% della popolazione). Se a queste caratteristiche si aggiungono l’esasperato nazionalismo -la dirigenza nazionale è attualmente composta da “quadri” dell’UCK- lo scenario si prospetta complessivamente minaccioso. E si condivide l’opinione del generale Mini che parla del fallimento dell’ONU in Kosovo.
Nel Consiglio dei Ministri degli Esteri, ieri l’altro, a Bruxelles il Commissario per l’Allargamento ha respinto la proposta di D’Alema circa un rapido ingresso della Serbia nella UE (come riparazione per la ferita kosovara) e la decisione su questo è rinviata alla riunione dei capi di governo europei di venerdì prossimo.
Ma fin da ora {{appare improbabile un’uscita dalla crisi attraverso una soluzione “win-win”, in cui tutti vincono}}, e questo tema dovrebbe indurre ad una riflessione molto approfondita sugli interventi militari in genere e sulla possibilità e capacità di mutare dall’esterno le situazioni.
In fin dei conti le guerre umanitarie hanno significato e significano rinuncia alla soluzione pacifica dei conflitti, devastazione del diritto internazionale, precedente per innestare {{future secessioni etniche foriere di ulteriori guerre.}}Da evitare!
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