Kumar e Giovanna Reggiani: storie di ordinaria finzione giudiziaria.
Kumar l’ operaio agricolo indiano morto a giugno e che lavorava senza permesso nelle campagne di Salina di Viadana, era giunto in Italia con un permesso di soggiorno temporaneo che, poi scaduto, non gli è stato rinnovato.
Ma Kumar non poteva far altro che restare quì a lavorare come poteva: doveva mandare i soldi a casa, perchè là, nemmeno col diploma si riesce a mantenere la famiglia. E’ morto a 44 anni perchè abbandonato sulla riva di un fosso, in piena estate, nelle vicinanze dell’azienda dove lavorava.
Inizialmente la stampa aveva dato notizia di un immigrato che, passeggiando (alle 2 del pomeriggio!), nei pressi di un fosso, si era sentito male e lì è morto. I carabinieri, però, indagando hanno scoperto che Kumar lavorava in nero presso la ditta Costa di Salina ed hanno bloccato la salma già trasferita all’areoporto di Malpensa. Costa, il padrone di Kumar, anzichè chiamare soccoroso, lo aveva abbandonato esamine dove è stato trovato.
Al processo il Pm aveva chiesto la condanna per omicidio colposo ma il giudice ha ritenuto non si trattasse di omicidio, bensì di abbandono di incapace. Certo, Kumar in quel momento incapace lo era davvero: aveva avuto un collasso e, a 40 gradi all’ombra, nelle torride campagne di Salina, dopo ore di lavoro, incapace lo era diventato per colpa del suo star male. Così è stato buttato a terra, come un sacco di spazzatura. {{La colpa è stata sua}}, la colpa di star male sul lavoro, perchè prorpio ciò lo ha reso incapace. Del resto nemmeno questa è una novità in molti posti di lavoro. Eppure il medico legale ha accertato che Kumar avrebbe potuto farcela, qualora fosse stato soccorso…
Per il padrone, al riguardo, nessuna colpa: così ha sancito il magistrato. Non importa averlo abbandonato senza chiamare soccorso, non importa che ciò sia stato fatale per il suo futuro. {{Era semplicemente un incapace}}. Così come sono forzatamente incapaci di difendersi e chinano la testa per non perdere il lavoro e la residua possibilità di sopravivenza, i connazionali di Kumar che lavorano e stentano come lui e che nei prossimi mesi rischiano anche di essere denunciati dai medici a cui avrebbero bisogno di rivolgersi in caso di urgenza, se privi di permesso di soggiorno, cosa che del resto già oggi può accadere a scuola da parte degli insegnanti dei loro figli se “irregolari”. I legali di padron Costa hanno chiesto il rilascio, il giudice il 29 dicembre, epr ora, l’ha negata e forse sarà interposto appello. Speriamo che almeno a questo non siano posti veti di incapacità.
{{Giovanna Reggiani}} è stata uccisa a Roma nel 2007, dal rumenro Mailat che prima di finirla l’ha brutalmente seviziata, violentata e derubata delle poche cose che portava con sè, tornando a casa, da sola, la sera, dopo essere uscita da una di quelle schifose stazioni ferroviarie dell’orrore che riempiono le nostre città, periferie e province e che i governi nazionali e regionali, presi dalla frenesia dell’alta velocità ad alto prezzo e per pochi previlegiati, non hanno i denari che servirebbero per sistemarle. Anche {{la signora Reggiani da vittima, secondo il magistrato giudicante, ha commesso una colpa}}: quella di difendersi, di tentare di ribellarsi allo stutpro, alle botte, alla morte. Per il giudice di Assisse ciò è stato sufficiente per concedere le attenuanti a Mailat. Un vero affare per lui che Giovanna lo abbia graffaito lasciandogli i segni: per meritarsi il massimo della pena avrebbe dovuto devastare un manichino! perchè nessuno al mondo e in nessuna condizione si sarebbe arreso a quella fine orrenda.
Eppure {{è così che si vorrebbero le vittime predestinate: le donne e i lavoratori immigrati.}} Rassegnati, deboli, silenziosi, ingiuriati anche da morti. Oggetto/sogggetto della devastante cultura di aggressione, scusabile se riservata a coloro che si considerano in modo steorotipato come i più deboli, per genere o per censo, per i quali anche il lavoro o il tragitto verso casa può risultare fatale.
La motivazione della sentenza di condanna di Mailat e l’esito di quella di colui che resta l’artefice della morte di Kumar (nessuno dei due altrimenti sarebbe crepato in quel modo!) deriva proprio da questo: dalla {{accettazione uniforme di una cultura e di una considerazione della società omologate}} ai biechi valori del disprezzo, alla conseguente possibile, comprensibile e ripetuta violenza su donne e immigrati, su coloro che, da soli, sono sempre deboli, fragili, attaccabili. La pena inflitta non sarà mai giusta, non sarà mai conforme al male soggettivo e all’affronto collettivo causati.
Anche quel briciolo di rimorso che crea un sussulto alla coscienza comune quando assiste, ad esempio, alle manifestazioni di migliaia di donne contro la violenza o al dramma degli immigrati che sbarcano dai gommoni, si rimuove con poco e in poco tempo. Il resto rimane uguale. Svanisce anche lo sdegno.
monica perugini
proletari@ – comunicazione militante
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