La Biennale del paradosso
Un festival con poca acqua sorgiva o mare aperto, molta melma e fango, acqua lagunosa e stagnante dove difficilmente innocenza e armonia trovano rifugio e dove il bianco e nero esprime meglio la poesia, racconta meglio il colore.Questa edizione del festival di Venezia, spaziando in ogni sezione, presenta molti film, in cui sembra dominare il paradosso , l’assurdo,l a follia : in { {{Via Castellana Bandiera}} } di Emma Dante due donne si sfidano ad un gioco di resistenza ad oltranza prigioniere nelle loro rispettive auto per ore ma alla fine una delle due se ne va e l’altra non saprà mai che ha vinto; in { {{May in the Summer}} } di Cherien Debis una giovane donna bella e sicura di sé torna nella sua incasinata famiglia per sposarsi ma il contesto in cui si muove così liberamente insieme alle sorelle e ad un amico è una improbabile Amman; in { {{Still Life}} } di Uberto Pasolini, il protagonista svolge con amore il suo lavoro per non dovere essere solo ad accompagnare i morti e quando la sua tenacia lo porta ad incontrare l’amore ed una nuova vita, muore per un incidente e al suo funerale partecipano solo i morti; in { {{Miss Violence}} } di Alexandros Avanas avviene il gesto di ribellione di una ‘nonna’ quando già tutto o quasi è stato consumato per distruggere anima e corpo della ‘famiglia’ dove l’orco è suo marito, un nonno-padrone; in { {{Tom}} } à la ferme di Xavier Dolan il bel giovane gay che vorrebbe solo onorare la memoria del suo amato compagno morto si ritrova prigioniero del fratello perverso e della madre ancora più terribile, e a stento si salverà dalle loro grinfie, però non si capisce perché non scappa prima…; in { {{The Zero Theorem}} di Terry Gilliam la scenografia ci piace per la sua ricchezza e fantasia degna di un cartoon in cui il protagonista si iscrive bene con le sue paure claustrofobiche e l’ansia di sapere perché si vive,però nel frattempo non vive e anche il sesso lo fa virtuale, sempre per paura, credo,di contagio…è un autistico futuribile mentre l’occhio del grande fratello che è dappertutto è già realtà; in { {{The Sacrament}} } di Ti West,la follia totale! ma se vuole essere un realistico documento ci sono stranezze di ripresa non tanto spiegabili, e poi perché raccontare questa orribile storia senza alcuna possibilità di difesa da tanta violenza picologica e fisica,!? direi che non è sufficiente sempre la motivazione che si deve sapere, non è pur sempre complicità a volte mostrare?
In {{ {Atertraffen} }} di Anna Odel la ricerca della verità suggerisce alla regista/interprete di se stessa una procedura talmente snervante che alla fine in qualche modo la odiamo anche noi mentre nella prima parte eravamo – credo – tutte/i con lei, lei che ha subito il bullismo di compagni e compagne per nove anni e vuole costringerli ad una ‘presa di coscienza o forse spera nella cancellazione del negativo ricevuto con nuove e mature posizioni nei suoi riguardi ma stranamente non accadrà con nessuno/a di loro; in {{ {Koksuz} }} di Deniz Alçai una famiglia allo sbando perché il capofamiglia è morto e la povera prima nata non solo deve lavorare ma anche correre a riparare rubinetti, caldaie ecc. perché il giovane fratello non si concede come sostituto capofamiglia e pensa solo a bere, fumare e fare sesso con la madre dell’amichetto – apro parentesi e confesso che gli adolescenti sono proprio ben descritti e tutti uguali tanto da potere essere interscambiabili da un film all’altro anche se di realtà completamente diverse.
In { {{Under the skin}} } di Jonathan Glazer una bella aliena cattura polposi maschi per nutrizione intergalattica ma poi salva uno di loro,brutto assai ma non arrapato come gli altri, a quel momento la povera extraterrestre cercherà di diventare terrestre attirata da carezze e baci ma senza possibile sviluppo e allora via,via in una fuga che non le permetterà di restare in terra né di tornare alle stelle; in {{ {Ana Arabia} }} di Amos Gitai la simpatia per la giornalista che intervista ma coglie con attenzione le sfumature di creature e luogo speciale in tolleranza, condivisione e fratellanza oltre che sorellanza, ci piace ma non ci convince solo perché è un unico piano sequenza anzi ci sembra alquanto artefatto e in sintesi troppe parole per dire poco,avrebbe dovuto essere un unico piano sequenza in un corto-
In {{ {Locke} }} di Steven Knight il protagonista bravissimo, ci lascia perplesse con la sua voglia di giustizia che presuppone il dolore ‘ingiusto’ inferto ai suoi cari ma non tornerà indietro nella sua decisione perché DEVE dimostrare al padre morto, l’unico a cui parla senza telfono,che non è un bastardo come lui,non fuggirà e farà la cosa giusta; in { {{Moebius}} } di Kim Ki-duk il paradosso è: dolore fisico uguale orgasmo ma poi resta solo il dolore e ancora il giovane protagonista evirato avrà la ricostruzione del membro e poi si evirerà da solo per punirsi dell’incesto,forse solo immaginato? -o perché con tutti i casini successi decide saggiamente di darsi a vita spirituale.
In {{ {Nigth Moves} }} di Kelly Reichardt i tre protagonisti sono convinti che un atto di sabotaggio come quello di far saltare una diga possa spingere ad aprire gli occhi sui gravi problemi ecologici,peccato che ci scappa il morto non voluto e la ragazza, quella fragile emotivamente, aggiungo proprio perché donna, comincia a vacillare sotto il senso di colpa,ed ecco che il film che mi era apparso ‘impegnato’sul fronte ecologico diventa una specie di triller, la ragazza sarà impunemente ammazzata ed io non ho ben chiaro però se il discorso della regista voleva denunciare:attenzione, la violenza genera altra violenza,inarrestabile.
In { {{Je m’appelle Hmmm}} }… di Agnès Troublé detta agnès b. la ragazzina che fugge dall’orco-padre minacciandolo di non toccare la sorellina più piccola, fortunatamente incontra il camionista che sfortunatamente ha perso la sua bella famigliola e la farà vivere giorni di spensieratezza infantile, gli unici che avrà nella sua infanzia – il paradosso insopportabile è che il’buono’ crepa incolpato ingiustamente e l’orco vive impunito ma astenendosi dal fare ancora del male alla figlia, ma forse è più verità che paradosso!; in { {{Vi ar bast}} ! } di Lukas Moodysson tre giovanissime teenager vogliono distinguersi dalle altre,o forse trovare una propria identità e scelgono la musica una musica forte con parole forti di denuncia ma soprattutto una musica per farsi ascoltare in una età che gli adulti dimenticano di avere avuto; in {{ {Philomena} }} di Stephen Frears la protagonista di una storia reale,cercherà suo figlio strappatole da suore ‘benevoli’ all’età di circa 5 anni per ‘venderlo’ a ricchi americani,e lo ritroverà purtroppo morto alcuni anni prima sepolto nel luogo dove lei lo ha messo al mondo,come la realtà può essere più imprevedibile di qualsiasi copione!il film è bello da vedere ma forse un po’ troppo costruito su toni rosa ammiccanti e rassicuranti.
In { {{Heimat}} } di Edgar Reitz ,su 4 ore, la metà finale vista mi ha mostrato le bellezza di un discorso chiaro,poetico,autentico dove il Cinema entra alla grande come strumento che rappresenta ciò che ha ragione di essere rappresentato per lo sguardo di tutti/e ,un bianco e nero che ti entra nell’anima a segnare il paradosso con la realtà colorata ma non sempre altrettanto intensa; in { {{Las Ninas Quispas}} } di Sebastiàn Sepùlveda ancora un bianco e nero, non così nitido, la storia è realmente accaduta,è un film difficile da guardare eppure conoscere l’essenzialità nei gesti quotidiani del duro lavoro di queste tre sorelle che parlano ancora dell’altra sorella,la loro guida morta lasciandole ‘sole’ tra gli animali da accudire e portare al pascolo le rocce le pietre gli arbusti e la polvere e la casa/capanna di sassi ,umida e fredda e il gelo e l’ arsura … riconoscersi in quella vita e non volerne altra e decidere di andarsene piuttosto che soccombere alla omologazione, è prova di grande coraggio e forza d’animo e noi rispettiamo queste donne e la loro decisione come scelta politica corrispondente a quella di singoli esseri e popoli e tribù di cui nemmeno sappiamo e alle tante vite di tibetani/e finite in torce umane per richiedere attenzione e aiuto in difesa dei propri diritti e della propria terra.
Iin { {{Die frau des polizisten}} } di Philip Groning , forse l’unico film che mi abbia dato qualcosa di nuovo con i suoi squarciati di nero indicanti fine e inizio degli infiniti capitoli di cui la nostra vita è composta,capitoli cronologici non per il tempo ‘reale’ ma quello scandito da una clessidra ineluttabile di granelli che si assemblano attimo dopo attimo,giorno dopo giorno e formano trama e ordito da cui non si può più fuggire, così avviene per la protagonista che nel tentativo di salvare l’anima della sua bambina e quella del suo {maritoamatoaguzzino} soccombe inesorabilmente,il regista compie con questo film un atto d’amore e di coraggio:d’amore per l’innocenza e di coraggio per aver creato uno spaccato di coscienza collettiva per una questione che ci riguarda tutte e tutti.
Se non si ferma la violenza sulle donne la ragione dell’odio vincerà quella dell’amore ma nessuno ne uscirà vittorioso perché senza l’amore c’è solo gelo, indifferenza, passività, morte; in Ukraina { {{Ne Bordel}} } di Kitty Green un documento direi importante e salutare da vedere per donne femministe e non per conoscere il grande paradosso di uno dei movimenti femministi più noti e visibili oggi.
Le Femen movimento femminista nato in Ucraina ad opera di un uomo, non c’è da ridere né da sottovalutare il fenomenno: dal patriarcato non si esce se non con la propria testa libera da… e se questo Victor, la mente delle Femen, l’ha ‘insegnato’ alle sue giovani attiviste, ha fatto una cosa buona ma ora le lasciasse in pace, sono cresciute e forse con altre donne potranno continuare a proclamare, seno nudo o no: i bordelli non ci riguardano, sono una creazione degli uomini che sanno solo incasinare la vita e non riescono ad amarla né rispettarla.
In {{ {Pine Ridge} }} di Anna Eborn, un documentario toccante che ci mostra volti stagliati come rocce,corpi di antica potenza a sfidare tori e cavalli selvaggi,occhi affogati nell’alcol e voci e danze di riti perduti… viene da pensare che qualunque luogo in cui ci costringessero a vivere delimitandocene i confini lo sentiremmo un ghetto e ci sentiremmo degli esclusi eterni , espropriati della nostra libertà ; in {{ {Las Analfabetas} }} di Moisés Sepùlveda ancora due donne di differente età e cultura,unite da un senso di solitudine e straniamento si incontrano ,si sfidano per non scoprirsi troppo ma infine l’una dona all’altra possibilità nuove di vita in un gioco di scaramucce verbali ironiche e amare ma anche gioiose e dissacranti; infine anche in { {{Traitors}} } di Sean Gullette due donne si incontrano per volontà del destino ma anche per la determinazione e il coraggio della protagonista che riuscirà a salvare allo stesso tempo sia l’altra da un misero futuro che il suo proprio sogno.
Un festival con poca acqua sorgiva o mare aperto,molta melma e fango ,acqua lagunosa e stagnante dove difficilmente innocenza e armonia trovano rifugio e dove il bianco e nero esprime meglio poesia,racconta meglio il colore.
Una cascata di cristallina risata è ormai quasi tabù e la mania di risolvere tutto in fiumi di sangue è sempre più reale come il virtuale che durante il festival è ancora più presente della finzione cinematografica., d’altra parte ogni cinema tra breve dovrà abandonare del tutto la ‘pellicola’ e l’ingombrante proiettore.Dalla tecnologia non si esce si può solo soccombere.
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