La cultura è come la marmellata” di Marina Valensise
Articolo di Claudia Consoli su Criticaletteraria
“La cultura è come la marmellata: meno ne hai, più la spalmi”, recitava uno slogan apparso sui muri della Sorbona nel maggio 1968. La giornalista e studiosa Marina Valensise è partita da queste parole per raccontare il proprio lavoro alla guida dell’Istituto italiano di cultura a Parigi (incarico svolto a partire dall’estate 2012).
Raccontare la sua esperienza significa raccontare il paradosso dell’Italia, il paese che vanta il patrimonio più ricco del mondo ed è tuttavia incapace di valorizzarlo.
Promuovere il patrimonio italiano con le imprese, recita il sottotitolo del libro che traduce tutto il senso di un’impresa raccontata come un viaggio, una scoperta entusiasmante portata avanti con la febbrile voglia di fare, “a partire dalla carenza dell’avere”. Il volume è costruito come un decalogo, scelta strutturale senz’altro interessante e di facile diffusione, ma che non deve far pensare a un insieme di regole da applicare rigidamente. Costruire un modello culturale non è come seguire le istruzioni di una ricetta e questo è un esempio concreto, una raccolta di riflessioni sulla gestione del patrimonio artistico e della cultura.
Tuttavia, se anche questa fosse una ricetta, si tratta senz’altro di una ricetta ben riuscita; per citare solo alcuni numeri la gestione di Valensise all’Istituto italiano di cultura ha innescato un circuito virtuoso che lo ha portato a moltiplicare le iniziative proprie e ad aumentare di circa il 40% la frequentazione del pubblico, il numero delle iscrizioni ai corsi di lingua e ai seminari di lingua applicata, producendo entrate proprie per circa 600 mila euro.
Tra i dieci capitoli, a ognuno dei quali è associato un consiglio o suggestione (es.: Primo, non abbattersi di fronte all’incuria; Quarto, le cose non sono mai come appaiono; Nono, l’unione fa la forza) quello che ho trovato di maggiore ispirazione è il settimo: Progettare voce del verbo amare, perché da questo libro emerge tutto l’amore che Valensise e la sua squadra hanno messo nel proprio progetto di impresa, quel grande sforzo che c’è dietro il fare e diffondere cultura.
Grazie a un mix ad alto tasso creativo, negli ultimi quattro anni qualcosa è cambiato allo storico Hôtel de Galliffet:
È così che, a poco a poco, curando semplicemente la regia per la promozione di tante realtà produttive, imprenditoriali, creative, che fanno la ricchezza del made in Italy, l’Istituto di cultura a Parigi ha iniziato a trasformarsi da semplice luogo di trasmissione passiva della cultura, spesso solo accademica, umanistica e molto autoreferenziale, in un centro sperimentale di produzione di qualità, aperto al pubblico e pronto ad affrontare nuove sfide.
La cultura è come la marmellata non è solo una proiezione dell’esperienza di Valensise, ma dà voce a quella dei tanti che ogni giorno fanno innovazione nel mondo partendo dall’Italia e costruendo business plan lungimiranti per la cultura.
Gli Istituti non sono entità astratte, sono le persone con le loro storie e quindi l’unico modo per farli crescere è dare vita a modelli di promozione culturale partecipata.
Da qui il monito di Valensise: “non pretendo l’impossibile: vi chiedo solo di garantire l’ordinario e coltivare lo straordinario”, essere inquieti e curiosi, mettersi in viaggio anche se si parte da un remoto punto di partenza. A questo proposito è molto interessante che spesso sia dalle province italiane e dai territori più difficili che arrivano gli spiriti più cosmopoliti del mondo, con la loro voglia di fare e di inventare, spesso partendo dalla conoscenza artigianale delle materie prime.
Il libro è inoltre un’utile raccolta di spunti per chi voglia aggiornarsi sulle ultime tendenze in fatto di design, cucina, architettura, musica, innovazione tecnologica.
C’è Katia Da Ros, figlia del fondatore della Irinox, che ha avuto l’idea di sviluppare un abbattitore che serve a preparare, stoccare e consumare gli alimenti, creando una nuova cultura nell’alimentazione; Mario Nanni, “poeta e progettista della luce”, inventore di corpi illuminanti spettacolari, fabbricati su misura per ogni ambiente e contesto; Franco Venturini, straordinario pianista e compositore che ha studiato all’accademia di Santa Cecilia e con lo strumento ricrea una magia; Gianfranco Vissani e Massimo Bottura che con le loro creazioni hanno raccontato territori, paesaggi, valori, culture, offrendo uno straordinario volano alla diffusione dell’italianità nel mondo; i giovani STARTT, architetti dello studio romano vincitore di un importante concorso bandito dal Maxxi e dal MoMa di New York. Un viaggio intergenerazionale che collega esperienze così versatili e personalità unite dalla stessa caparbietà.
Il libro di Valensise è anche un invito a superare quella dicotomia tra pubblico e privato che limita e penalizza l’iniziativa culturale. Di più: è la prova che quando queste barriere si abbattono i risultati si vedono:
È la valorizzazione partecipata in vista della promozione della cultura: lo Stato offre all’impresa ciò che l’impresa non può produrre in proprio, e cioè il prestigio di una sede istituzionale, la legittimazione culturale del valore aggiunto prodotto da una manifattura di qualità, la possibilità di irradiazione internazionale ben oltre i semplici canali dell’export. Il privato dà allo Stato ciò che lo Stato non può avere, e cioè un metodo e una strategia industriale, un prodotto di qualità, che ha valore esemplare in quanto è l’effetto di una ricerca e di un’innovazione che costituiscono di per sé un premio per l’industriosità, e quindi offrono una delle testimonianze più vive di una nazione e della sua ricchezza.
Nel libro e nell’esperienza di Valensise si trova, infine, una definizione di cultura italiana che abbatte i confini tra le arti e l’impresa, tra la tecnologia e i saperi. Un concetto più alto, inclusivo, che si dilata a comprendere storie, territori, passioni diverse per secoli tenute lontane.
L’autrice vuole in più punti dimostrare e testimoniare che l’Italia è molto più di un museo a cielo aperto, polverosa quinta di grandezze del passato. Non è solo lo stanco stivale a cui non restano altro altro che le ombre dei grandi di un tempo, ma è un tessuto di passioni vive, abitato da giovani promesse che vivono il presente e possono migliorare il futuro. È una missione non facile ma è possibile.