«La donna orso» di Karolina Ramqvist: storia di un processo di creazione
Il 16 aprile 1542 Marguerite de la Roque, giovane nobildonna francese orfana di entrambi i genitori, si imbarca a La Rochelle per una delle prime spedizioni coloniali verso il Nuovo Mondo, insieme al suo tutore Jean-François Roberval. Forse a causa di uno scandalo a bordo della nave, la donna viene abbandonata per punizione insieme alla sua dama di compagnia, Damienne, e a un «uomo senza nome», il suo presunto amante, su un’isola deserta al largo della costa canadese. All’epoca dell’esilio forse Marguerite è già incinta del suo uomo, e si ritrova a dover sopravvivere alle difficili condizioni del luogo, perdendo, nei mesi che passano prima del suo miracoloso ritrovamento da parte di una imbarcazione in transito per l’isola, i compagni di questa sua tragica esperienza, oltre al bambino che ha dato alla luce poco dopo il suo sbarco.
Ripercorro velocemente l’incredibile storia di Marguerite de la Roque – oggetto di alcune opere letterarie e raccontata anche nell’Heptaméron scritto nel XVI° secolo da Margherita di Navarra, sorella del re di Francia Francesco I – perché, se è certamente il fulcro del romanzo di Karolina Ramqvist «La donna orso», da poco pubblicato per Mondadori, non è stato per me l’unico elemento capace di tenermi incollata al racconto dall’inizio alla fine, per quanto l’autrice ci sveli poco a poco i dettagli della vicenda, in un abilissimo intreccio di ricostruzioni storiche e finzioni letterarie.
Chiunque lavori con la scrittura, chiunque si trovi, per studio per passione, a seguire le “tracce” di donne e uomini del passato per comprenderne la vita, ripercorrerne i passi, interpretarne gli scritti e le parole, troverà in questo romanzo la testimonianza di come avviene la costruzione di una storia, quanto le vite dello scrittore e dell’oggetto delle sue parole siano interconnesse, in ogni momento della giornata e in ogni fase della vita, fino a diventare un’ossessione, fino a condizionare scelte e pensieri, e lo stesso modo di percepirsi nel proprio contesto.
Per tutte noi che ‘giochiamo’ con le parole e con le vite del passato diventa facile e inevitabile immedesimarsi nell’autrice del racconto, nella sua vita di madre alle prese con i bisogni della famiglia, nelle frustrazioni per un tempo di lavoro che non è mai adeguato, nei taccuini nelle borse, nella difficoltà di concentrarsi, nelle piccole manie legate all’atto di scrivere, che scopri di avere proprio mentre leggi della ricerca della luce giusta, della sveglia alle quattro del mattino per lavorare tranquille mentre la casa dorme ancora.
Per questo la storia della sopravvivenza della “donna orso” è anche la storia della sopravvivenza di una passione, di una fonte, di un metodo di lavoro, di un processo di creazione che vede protagoniste non solo le donne ma anche coloro che scrivono le loro storie.
«La scrittura era una dipendenza – ci dice la protagonista del romanzo – l’avevo letto tantissime volte, ma fino a quel momento non l’avevo capito. Rappresentava una via d’uscita da ogni crisi, grande o piccola che fosse, e mi dava l’illusione di aver messo della distanza ogni volta che mi imbattevo in una complicazione, in modo da non doverla mai risolvere ma solo rivolgermi alla scrittura.»
Karolina Ramqvist, La donna orso, Mondadori, 2021
Karolina Ramqvist (Göteborg, 1976) è una delle scrittrici e femministe più influenti della sua generazione in Svezia. Ha scritto cinque romanzi e nel 2015 le è stato assegnato il prestigioso Premio letterario P.O. Enquist per The White City (Den vita staden).