La fabbrica Tata uccide e impoverisce
Da Liberazione dello scorso 23 ottobre riprendiamo questa intervista di Sabina Morandi in cui Medha Patkar denuncia il progetto indiano di “auto a basso costo” e che tanto entusiasmo sta suscitando nella stampa italiana.Sabato ha sfilato insieme alle femministe, ieri ha incontrato i capigruppo dei Verdi e di Rifondazione e il responsabile Diritti umani del Partito democratico e poi è volata a Torino per discutere con i rappresentanti di Fiom e Cisl, ma oggi è di nuovo a Roma per un incontro con la Commissione Ambiente del Senato e per partecipare all’inaugurazione del Centro di Documentazione Conflitti Ambientali dell’Associazione “A Sud”. {{Medha Patkar}}, nota e instancabile leader del Narmada Bachao Andolan (Movimento per la salvezza del fiume Narmada), è in Italia per denunciare un progetto di cui gli italiani sanno ben poco: il progetto “auto a basso costo” targato Fiat-Tata.
{{ Cosa sta succedendo in India?}}
I più grandi gruppi industriali dei nostri paesi, governati entrambi da coalizioni di centro-sinistra, hanno sottoscritto un patto per fabbricare auto a basso costo. Per fare posto alla mega-fabbrica nel Bengala Occidentale, dove il partito comunista governa da decenni, il governo ha impugnato addirittura una legge coloniale (il Land Acquisition Act del 1894) per togliere la terra ai contadini di Singur, a 40 chilometri da Calcutta (oggi Kolkata).
_ Inizialmente la popolazione locale ha cercato di trattare, chiedendo che il mega-stabilimento della Tata Motor venisse edificato su terreni industriali e non in quei 400 ettari in grado di sostenere un’economia agricola fiorente con 3-4 raccolti l’anno.
_ La Tata ha rifiutato però di negoziare e il governo del Bengala non ha fatto alcuna pressione in tal senso. Al contrario il presidente del Partito Comunista Bhuddhadeb Bhattacharjee – il “Budda rosso”, per amici e detrattori – ha legittimato le pretese del gruppo siderurgico liquidando le proteste con un semplicistico slogan: «Il nostro vessillo non può certo ignorare le ragioni della falce, ma ora è giusto dare priorità al martello».
{{Come ha reagito la popolazione interessata?}}
Appena il progetto è stato annunciato, nel maggio del 2006, i contadini si sono mobilitati e hanno continuato a farlo a luglio e in settembre, ma la repressione è stata durissima: 600 poliziotti e 1200 agenti “privati” sono stati spediti a recintare le terre che interessavano alla Tata, anche se almeno metà dei terreni era ancora oggetto di negoziato con i proprietari. Io stessa sono stata fermata, malmenata e arrestata tre volte in una sola settimana.
_ Un’attivista locale, Tapasi Mallich, è stata stuprata e uccisa e, poche settimane fa, un contadino si è impiccato dopo avere perso la sua terra. Del resto le Zone Economiche Speciali (Sez) ovunque sono state create hanno dato luogo a conflitti molto violenti: il 2 gennaio del 2006 400 poliziotti e un numero imprecisato di paramilitari vennero spediti a sedare una rivolta indigena a Kalinganagar, nel poverissimo Far East indiano.
_ Gli “adivasi”, gli indigeni del subcontinente, si opponevano alla requisizione delle loro terre per far posto a un’acciaieria della Tata, e vennero falciati dalle pallottole della polizia. Dodici morti e più di 30 feriti fu il bilancio della giornata che portò un’inusuale ma breve attenzione sulle conseguenze dell’applicazione del programma di sviluppo industriale incentrato sulle Sez. A gennaio i disordini si sono spostati a Nandigram, nel Bengala Occidentale, dove il gruppo indonesiano Salim vuole costruire un polo chimico.
_ Nella notte fra il 6 e il 7 gennaio le squadre paramilitari assoldate dall’azienda e quelle dei contadini che sorvegliavano i terreni si sono scontrati, lasciando sul terreno 11 morti.
{{Stiamo parlando di pesanti violazioni dei diritti umani…}}
Non solo: stiamo parlando di un modello di sviluppo distruttivo a tutti i livelli.
_ Al primo livello ci sono i contadini, proprietari e mezzadri, scacciati dalle loro terre con metodi brutali e con l’impiego dei gruppi paramilitari per sedare la ribellione di chi si oppone ai trasferimenti e alle requisizioni forzate.
_ Al secondo livello c’è la scelta di distruggere una delle agricolture più fiorenti del paese, e forse del mondo, con un progetto che lascerà fuori fette consistenti della popolazione.
_ Se per i piccoli proprietari sono possibili risarcimenti, chi non possiede niente, cioè la maggioranza, verrà lasciato a se stesso: la Tata ha già fatto sapere che non garantisce l’assorbimento della forza lavoro espulsa dal settore agricolo. Infine c’è un terzo livello che riguarda, più in generale, la scelta di premiare produzioni inquinanti come quelle di autoveicoli. L’idea di gettare nelle congestionate strade indiane altri milioni di piccole auto private invece di potenziare il trasporto pubblico è semplicemente folle.
{{Com’è possibile che un progetto così devastante da punto di vista sociale e ambientale venga partorito e sostenuto da un governo di centro-sinistra?}}
I governi sono sempre più corporatizzati in ogni luogo del mondo e portano avanti l’agenda delle multinazionali. Oltretutto è forte il dibattito fra una sinistra tradizionale, che considera l’industrializzazione capitalista come uno stadio attraverso cui bisogna passare per arrivare al socialismo, e quei movimenti sociali che considerano impossibile venire a compromessi con le economie neoliberiste. Non bisogna poi dimenticare che l’agenda delle corporation viene sostenuta e imposta dagli organismi di credito internazionali come la Banca Mondiale. Senza contare che le corporation sono sempre più attive nelle campagne elettorali di quei paesi, economicamente poveri ma ricchi di risorse. Attualmente c’è un vero e proprio arrembaggio alle nostre risorse naturali da parte delle corporation : ci sono le società immobiliari che vogliono costruire appartamenti di lusso, l’industria del turismo che vuole riempire la costa di hotel e campi da golf, le grandi aziende della pesca che riducono in miseria i pescatori artigianali. Inoltre c’è una pesante offensiva della Banca Mondiale per privatizzare le risorse idriche e quelle sanitarie, un’offensiva che, purtroppo, vede i governi di sinistra e di destra egualmente pronti ad adeguarsi.
{{Una delle leggi più innovative della coalizione di centro-sinistra, la legge sul diritto all’informazione, non serve per impedire lo scempio di Singur?}}
La legge, il Right of Information Act , è stata subito impugnata, e sono state inviate richieste di chiarimento per fare luce su di un progetto tutt’altro che trasparente. Purtroppo, proprio su Singur, il governo non ha risposto nemmeno a una richiesta. Anche nel Maharastra, dove governa la coalizione di centro-sinistra, non riusciamo a farci rispondere su progetti immobiliari che mirano a “ripulire” le bidonville per fare posto ai centri commerciali.
{{Cosa si aspetta da questo viaggio in Italia?}}
I conflitti ambientali sono anche conflitti politici, e questo è vero in India come in Italia: basti pensare alla Val di Susa, a Vicenza, o alla Sardegna, dove gli agricoltori fanno lo sciopero della fame come i contadini indiani. Ovunque si registra un conflitto fra le persone che dipendono dalle risorse naturali e uno Stato che, invece di difenderle, sta semplicemente suicidandosi rinunciando al proprio ruolo e liquidando uno dietro l’altro i propri compiti. Oggi il governo si disinteressa dell’acqua, delle foreste, dello stato delle coste e del proprio patrimonio archeologico. L’unico ruolo rimasto sembra quello di fare lo sherpa alle corporation . I movimenti hanno un ruolo importantissimo in questo momento storico, e devono allacciare alleanze forti fra vari settori all’interno di un singolo paese – penso per esempio ai sindacati e ai movimenti ambientalisti – ma anche a livello internazionale, visto che spesso i veri centri del potere sono altrove. Credo sia assolutamente fondamentale collegarsi con i sindacati del Nord del mondo. Non solo per raccogliere la loro solidarietà – e devo dire che questa è già arrivata dal sindacato dei metalmeccanici italiano – quanto per chiarire un concetto fondamentale: il progetto “auto a basso costo”, come altri dello stesso tenore, è devastante per il lavoro, sia qui in Italia che in India. La delocalizzazione delle fabbriche o delle lavorazioni all’inseguimento del costo più basso di produzione crea disoccupati in casa vostra e crea disoccupati da noi, visto che non è assolutamente in grado di dare lavoro alle decine di migliaia di persone che, perdendo la terra, perdono ogni fonte di sostentamento. Non è quindi solo questione di solidarietà: è la stessa lotta combattuta su fronti diversi.
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