LA FIABA PERFETTA
In questo nostro tempo in cui sembra che non ci siano più riti di passaggio a scandire e normare i tempi della vita, mentre le età appaiono risucchiate da una obbligatoria e impossibile permanenza senza limiti nella giovinezza, in questo tempo fortemente tecnologizzato in cui quasi tutto viene definito dalle logiche del mercato e del consumo, che senso ha parlare ancora di fiabe? Possono avere oggi un posto fondamentale come nel passato? Una risposta molto convincente ci viene dalla lettura del libro “La fiaba perfetta” di Daniela Bruno, psicologa e psicoterapeuta dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia (AIPPI), che ha scritto un testo molto interessante e ricco di spunti di riflessione in cui dà conto di un suo lavoro trentennale sulla fiaba, secondo un metodo da lei studiato ed attuato nella scuola, finalizzato anche alla formazione di insegnanti e genitori.
L’autrice inizia interrogando il proprio inesauribile bisogno di continuare a leggere fiabe. La ragione, ci svela, è nella speranza di incontrare prima o poi la fiaba perfetta, capace cioè di racchiudere in sé tutti i movimenti che agitano nel profondo la nostra vita interiore. Attraversando più saperi disciplinari e avendo come riferimento numerosi autori tra cui Campbell, Bettelheim, Freud, De Martino, Klein, Propp, Winnicot, Recalcati, analizza le radici poco esplorate del bisogno presso tutti i popoli di elaborare il vissuto emotivo attraverso miti, leggende e fiabe. Ci ricorda come nelle primitive organizzazioni sociali l’inquietudine dell’incomprensibile abbia dato origine al pensiero magico, nel tentativo di placare l’angoscia di fronte all’orrore della morte, alla finitezza e inermità della condizione umana. Durante il Paleolitico, da una cultura che aveva a fondamento la Grande Madre, la Dea Madre, come dimostrano i tanti reperti archeologici disseminati in tutta l’area del Mediterraneo, si passò ad una organizzazione sociale di tipo patriarcale in cui l’autorità e il potere diventarono prerogative esclusive degli uomini; il mito, prima forma di elaborazione magica del reale, confluì da allora nella leggenda fino ad arrivare alla fiaba. E qui in chi legge sorge spontanea una domanda ineludibile: con quali perdite? forse andrebbe meglio indagato a livello interdisciplinare il passaggio dalla preistoria alla storia per capire cosa ne è stato di quel sapere costruito prima che si affermasse il patriarcato le cui strutture materiali e simboliche hanno per millenni dato senso e forma all’esperienza umana e al suo immaginario: questo ha indubbiamente segnato anche le fiabe, soprattutto nella loro traduzione dalla lingua parlata alla scrittura che, come sappiamo, è uno strumento di comunicazione e significazione da cui in genere le donne sono state tenute a lungo lontane. Sarebbe interessante a questo proposito verificare quali miti, racconti, fiabe sono presenti in quelle poche comunità matrilineari sparse nel mondo che hanno resistito fino ad oggi sia a forme più o meno cruente di dominio maschile sulle donne che alla globalizzazione neoliberista. C’è comunque da dire che quello che è certamente rimasto invariato nel tempo, come ci ricorda Daniela Bruno, è il bisogno umano di raccontare ed ascoltare fiabe perché esse sono un condensato di significati inconsci, canovacci proiettivi, specchio di vissuti ed emozioni perturbanti, ma sanno indicare le risposte giuste lungo le tortuose strade della crescita.
Nel descrivere il suo metodo di lavoro l’autrice spiega come la fiaba costituisca per lei elemento centrale di una relazione con sue regole temporali ben definite, annunciate fin dall’inizio, e ribadisce che si tratta di lavorare con un significante potente in quanto è impregnato “dell’eterna presenza dei contenuti arcaici della mente, perché il nostro apparato psichico passa e ripassa sempre sugli stessi nodi esistenziali”. La relazione a cui allude è quella del modello psicoanalitico dove fondamentale diventa il ruolo e il sapere di chi racconta: una presenza competente ed empatica ma non intrusiva né giudicante, con una profonda conoscenza delle tante fiabe presenti in ogni cultura e dei loro possibili significati. Il compito è quello di facilitare in chi ascolta la pensabilità e comprensione di quei grovigli interiori che, lasciati nel buio dell’inconscio, rischierebbero di bloccare la crescita e di mantenere intatti e a volte insostenibili i livelli di sofferenza, disagio, dolore. Le fiabe da lei utilizzate e analizzate sono quelle della tradizione orale raccolte da vari studiosi/e: Straparola, Basile, Perrault, Jacobs, Capuana, Grimm, Pitré , Calvino, Gatto Trocchi. Nel presentarle, profondi e stimolanti sono i collegamenti tra vicende narrate e vissuti reali come quello relativo alla separazione: la matrigna, figura della temibile onnipotenza materna, consente la rappresentazione dell’ambivalenza del legame primario nel processo di individuazione in cui il distacco è nello stesso tempo desiderato e temuto. Ma solo “la liberazione da una situazione simbiotica permette la nascita psichica dell’individuo”, per questo molte sono le fiabe che mettono in scena questo difficile passaggio. Altri temi enucleati dai contenuti delle fiabe proposte in questo libro sono l’incesto, la gratitudine, l’invidia, la gelosia, il senso di colpa, la stupidità, la morte, la scurrilità, l’onnipotenza, l’incontro con l’altro: tanti esempi illuminanti che parlano e interrogano anche noi che leggiamo. La fiaba ha una struttura narrativa che poco varia da cultura a cultura ed è polisemica, assume cioè significati diversi a seconda dell’età e dell’esperienza personale di chi racconta e di chi ascolta, per cui si rivela strumento particolarmente efficace in contesti multiculturali e all’interno di progetti di integrazione. I bambini, le bambine interpretano e reagiscono ciascuno/a a suo modo e mettono inconsciamente a nudo quello che li/le muove rispetto a ciò che stanno ascoltando: affiorano così elementi preziosi per approntare interventi pedagogici e didattici adeguati ai bisogni e ai vissuti reali. Ne derivano indicazioni utili anche per i genitori, soprattutto in presenza di quelle sofferenze nascoste e particolarmente acute riconducibili a dinamiche relazionali intrafamiliari. Non si tratta, avverte l’autrice, di spiegare il significato di una fiaba, ma di rendere pensabili le emozioni, dar loro un nome e accudire il funzionamento della mente. Particolarmente suggestivi risultano alcuni riferimenti autobiografici che chiariscono ulteriormente le tesi sostenute. Il libro è da leggere con attenzione fino alla fine da tutte e tutti per il fascino della scrittura, le emozioni che suscita, le conoscenze che fornisce, l’incanto della narrazione e la profondità di alcune riflessioni relative ad aspetti inquietanti di questa nostra confusa contemporaneità. E’ arricchito da una presentazione di Giuliana Lisa Milana dell’AIPP e una postfazione di Simonetta Salacone, la dirigente scolastica indimenticabile e indimenticata della scuola elementare Iqbal Masih nella periferia di Roma con cui non a caso per molti anni Daniela Bruno ha collaborato.
Roma, 6 giugno 2016
Daniela Bruno – “LA FIABA PERFETTA. La lettura delle fiabe popolari e il loro uso in una visione psicoanalitica” – Franco Angeli 2016.