Sandra Cammelli, del Giardino dei Ciliegi di Firenze, ci presenta l’ultimo libro edito dal Gruppo Economia Ernesto Balducci, “La guerra al lavoro e alla democrazia: trent’anni di globalizzazione” di Ubaldo Ceccoli (Fondazione Ernesto Balducci, 2011)
Il “[Gruppo economia Ernesto Balducci->http://www.fondazionebalducci.it/comunita_02.htm]”, costituito nel 1995 presso la Badia Fiesolana intende dare concretezza ai grandi principi del messaggio balducciano: pace, solidarietà, giustizia, incontro e convivenza, sulla base della comune umanità, tra tutti i popoli e le culture del mondo.
_ Da un lato quindi vuol diffondere una cultura critica intorno ai processi economici della “globalizzazione” in atto, dai quali scaturisce la diffusione e la crescita delle disuguaglianze sociali all’interno dei vari paesi e tra i popoli del mondo, in particolare tra quelli del Nord e quelli del Sud, con conseguente minaccia di una guerra infinita perché anch’essa globale.
_ Dall’altro si propone di partecipare ad iniziative già in atto o future, per denunciare e contestare gli aspetti più negativi dell’attuale ordine economico.

Enzo Mazzi scrive che “L’unico vero nemico, rimasto in piedi, del neoliberismo è […] la memoria e che questa è […] un luogo di resistenza” ({Il processo dell’Isolotto: La frontiera della memoria}).

_ Aldo, con il suo prezioso libro dà un grande contributo nel cercare di mantenerla viva, ripercorrendo dal dopoguerra a oggi, in modo chiaro e preciso, le tappe del disegno politico, a livello globale, che hanno portato alla vittoria del neoliberismo.
_ Scrive nell’ {Avvertenza} all’inizio del libro: “Non sono un economista, ma un attento lettore dei contesti politici e culturali che sottendono l’economia […] La mia analisi […] non si sofferma che per accenni sulla vasta letteratura antagonista nei confronti della globalizzazione, fra cui gli scritti femministi sull’economia, ma da quelle idee resta fortemente influenzata”.

Io ancora meno di lui sono un’economista. Sono una donna che crede nella differenza di genere e da anni lavoro politicamente con altre donne nell’Associazione {Il Giardino dei Ciliegi}; amo la letteratura, che considero uno strumento importante per la politica.
_ Attraverso la letteratura si mettono in relazione i saperi, si riflette sulle differenze, si prende coscienza dei problemi e per dirlo con le parole di Clotilde Barbarulli, “E’ la letteratura, […] a far comprendere la complessità di un mondo […] profondamente conflittuale, diviso, a livello di classi e di stati, tra dominatori e dominati, tra ricchi e poveri, tra integrati ed emarginati” ({Scrittrici migranti – La lingua, il caos, una stella} Ed. ETS, 2010, pag.158).

Penso, in particolare, ma non solo, alla letteratura migrante e a quanto quest’ultima abbia contribuito alla crescita di un nuovo pensiero politico collettivo. Leggendo il libro di Aldo ho sentito che era la stessa cosa, il suo scrivere mette in circolo saperi che sono strumenti importanti per la lotta politica.
_ Scrive Aldo: “{Abbiamo bisogno di tutti quei saperi e di quelle diverse pratiche proprie dei femminismi, dei molteplici movimenti antagonisti, dei comitati e di chi, nativo/a e migrante, lavora per una lingua fuori dal monolinguismo egemonico}”.

A tale proposito, mi piace qui riportare alcune parole di Guido Viale, scritte su {Il Manifesto} del 9/3/2012: {“Per questo lo scontro in atto sul TAV è l’emblema di un conflitto che riguarda tutto il paese e che mette una di fronte all’altra, da un lato, una politica economica rovinosa […] che abbina uno spreco […] di risorse pubbliche a un’avarizia distruttiva nella spesa per il sostegno al reddito, per l’istruzione, la cultura, la ricerca, i servizi pubblici}”.

Scriveva sempre su {Il Manifesto} il 9 marzo scorso il costituzionalista Gianni Ferrara: “{Questo inverno sarà ricordato […] – come quello che – sta segnando il compimento della controrivoluzione iniziata in Occidente negli anni 70-80 dello scorso secolo a mezzo del neoliberismo, usato come reazione all’instaurazione dello stato sociale condannandolo all’estinzione […] L’arma che lo finirà […]: è il {fiscal compact}, […] – il trattato – sottoscritto da 25 (su 27) capi di stato e di governo dell’Unione europea il 2 marzo scorso}”.

Se non avessi letto il libro di Aldo, probabilmente non avrei compreso la gravità di queste parole. Aldo ci spiega chiaramente quali sono state le strategie del capitale, in particolare dagli anni 70-80, con le politiche repressive della Thatcher e di Reagan e che hanno significato: negare la divisione della società in classi, imporre la proprietà privata, distruggere la scuola pubblica, non produrre economia nel pubblico, riportare la donna solo a occuparsi della cura e dell’assistenza all’interno della famiglia, privatizzare sempre più i servizi sociali.

Negli ultimi anni sono state attaccate dal potere politico tutte le conquiste sociali e sono state imposte condizioni di lavoro sempre più dure. Precarietà, nuove povertà, emarginazioni, paure, sono servite – da una parte – ai governi liberisti per fare leggi sempre più severe per i più deboli, dall’altra hanno aiutato le imprese a sbarazzarsi delle tutele sindacali dei lavoratori/trici, e queste hanno poi delocalizzato in altri paesi.
_ Anche quando sono restate in Italia non hanno fatto ricerca, preferendo investire i profitti nella finanza: le rendite hanno preso il posto della produzione, facendo perdere migliaia di posti di lavoro. Scrive sempre Enzo Mazzi “vita, libertà e mercato s’identificano per la cultura neoliberista”. ({Il processo dell’Isolotto: La frontiera della memoria}).

Aldo spiega il significato del termine globalizzazione quale “svolta organizzativa […] – dove – il capitale deve svilupparsi anche in presenza di volumi produttivi statici o decrescenti e senza indurre crescita occupazionale”. Il fordismo si era basato sulla crescita illimitata, adesso siamo nel postfordismo, nel tempo della “produzione snella”: non ci può più essere conflitto e la flessibilità la fa da padrona, scrive Aldo: “servono scuole e università che diano competenze spendibili immediatamente sul mercato del lavoro”. La massa scolastica non si deve più formare, deve essere netta la separazione fra scuole che “istruiscono i cervelli” e “quelle che addestrano mani”.

Non mi addentro nelle tante e interessanti citazioni che Aldo fa nel suo libro. La sua è un’analisi meticolosa degli eventi e degli incontri, avvenuti – nel mondo – da parte del capitale e della finanza, per sovvertire le ideologie, con l’avallo di capi di stato, di governo, della chiesa, che hanno permesso a pochi di distruggere la vita e i sogni d’intere generazioni.

Scrive ancora Aldo, citando Rossana Rossanda: “{Non esiste più un’immagine di classe operaia, ma neppure di lavoratori o di cittadini come portatori di diritti inalienabili rispetto al potere politico e del denaro}”.
_ Riporta quanto Reichlin disse alla Festa dell’Unità il 3 settembre 1985, di come bisogna “accettare un mondo nuovo e da aiutarne la nascita, riconoscendo la centralità dell’Impresa”.

Ci sono cascati gli uomini e le donne della sinistra con le parole “riflusso” e “ritorno al privato”.
_ “La sinistra europea negli anni Novanta […] dimentica Keynes, – dice Aldo – considera lo stato sociale un fallimento e mette in conto disoccupazione e soglie di miseria”.
_ Ci spiega la politica fiscale liberista che è stata fatta in questi anni anche dai partiti di centrosinistra che, parole di Aldo, volevano essere percepiti come “manager economici competenti” e per questo non potevano “sfidare il dogma dominante secondo cui la crescita richiedeva politiche liberiste di sostegno al capitale”.

Per mettere in atto il suo progetto il neoliberismo si è servito di guerre, di stragi, e della povertà d’intere popolazioni. Tanti conflitti in più parti del mondo che hanno devastato stati e identità che faticosamente si erano intrecciate fra di loro nel corso degli anni, penso alle guerre nei Balcani. Tanta violenza e soprattutto alle donne.

Scrive Anilda Ibrahimi nel suo libro {L’amore e gli stracci del tempo} (Einaudi, 2009): “- {Tu, – dice il comandante, – […] vieni con me. La donna lascia il bambino che ha in braccio alla figlia attaccata alla sua gonna. Poi cade in ginocchio davanti al comandante. Tocca i suoi stivali, come se volesse pulirli dal fango […] indica i bambini. Ma il comandante non l’ascolta […] (ora) la donna è sdraiata […] con i vestiti fatti a pezzi, sul corpo i disegni astratti delle baionette […] la bocca insanguinata che continua a sussurrare qualcosa […] parla dei suoi figli}”.

E Barbara Serdakowski in {Katerina e la sua guerra} (Robin Edizioni, 2009) racconta la storia di una donna che fugge insieme alla figlia da una guerra che però non nomina mai – uno appunto, dei tanti conflitti di questi ultimi anni – vuole vivere per portare in salvo la figlia, per questo niente può attraversarla: nemmeno la violenza che il suo corpo subisce.

In Italia la guerra l’abbiamo avuta negli anni ’70 con la strategia della tensione che si è avvalsa del terrorismo per impedire alle conquiste sociali di progredire.
_ E purtroppo quegli anni vengono ricordati quasi sempre come anni di stragi, ma sono stati invece gli anni delle grandi lotte politiche: quelle delle donne, dei metalmeccanici, che hanno avviato un’ indimenticabile stagione di riforme.

Il movimento femminista, la più grande rivoluzione del Novecento, è esploso ponendo al centro della lotta politica non solo il tema della differenza di genere, ma ha sancito il fatto che “il personale è politico”, ed è grazie alle donne se si sono ottenute leggi come quella del divorzio (1970), asili nido, tutela delle lavoratrici madri, scuola a tempo pieno (1971); nuovo diritto di famiglia, nascita dei consultori (1975); parità uomo-donna (1977); aborto, riforma sanitaria (1978). E altre importanti riforme attuate grazie alle lotte di lavoratori e lavoratrici e di tante donne e uomini che credevano in una società migliore, come: lo statuto dei lavoratori (1970); l’obiezione di coscienza (1972); decreti delegati (1974); riforma penitenziaria (1975); chiusura dei manicomi, equo canone (1978). Penso anche alla creazione del sindacato unico dei metalmeccanici (FLM) nel 1972.

Mi piace qui citare un altro piccolo ma prezioso libro: {Non restare muti} (Nottetempo, 2011) di Alice Walker.
_ L’autrice statunitense è una militante per i diritti civili, nera, nata nel 1944 in Georgia ha vissuto l’emarginazione del razzismo, con il suo scrivere urla al mondo quello che succede oggi e dice: “sebbene l’orrore di cui siamo testimoni in luoghi come il Ruanda, il Congo, la Birmania e Palestina […] minacci la nostra stessa capacità di parlare, noi parleremo”. Autrici che con la loro scrittura ci dicono della sofferenza d’intere popolazioni, e raccontando la vita di donne e uomini fanno cadere muri e frontiere.
_ Tante persone che oppongono resistenza al potere costituito: “Storie di rivolta contro il potere”, soggetti che osano disobbedire – come scrive Laura Bazzicalupo – “al regime di verità che ha potere” ({Eroi della libertà storie di rivolta contro il potere} Il Mulino, 2011 pag.18).

Difficilmente si può uscire da una situazione così senza speranza, dalla sconfitta subita dal movimento, che nel lontano (almeno oggi così mi appare) 1968, era riuscito a porre le basi per modificare lo stato sociale, senza che si debba ri-pensare anche a un’alternativa al capitalismo, a non farci più schiacciare insomma da un sistema finanziario sempre più avido e da tutto quello che implica la parola “decrescita”.

La politica deve riprendere la sua funzione primaria in Italia e nell’Europa tutta: se, come s’interroga Laura Bazzicalupo, sul fatto che sia possibile modificare “l’immodificabile mercato” e “legarlo ad altre esigenze e verità” concordo con lei che proprio su questa frontiera si gioca la lotta politica per una maggiore libertà: “si comincia col manifestare il disagio, l’ingiustizia, per poi tentare di creare nuove verità, nuove forme di vita”.
_ La libertà – dice Bazzicalupo – non è solo resistenza, negazione, ma sogno, immaginazione, creazione. ({Eroi della libertà} cit. pag.173). Quindi, scelte diverse per me sono possibili.
_ E questo libro può aiutarci a pensarle.