LA LEGGE SULLA CITTADINANZA PUO’ DIVENTARE LA BANDIERA DI UN CENTRO SINISTRA CHE VUOLE RIPRENDERE UN CAMMINO PER RILANCIARE DEMOCRAZIA E PARTECIPAZIONE
Marilena Fabbri è stata relatrice della Ius Soli, la legge di riforma sulla cittadinanza passata alla Camera nel 2015 e poi mai approvata in via definitiva in Senato. La legge è stata frenata da valutazioni elettorali e da analisi politiche sbagliate. L’integrazione degli immigrati e delle loro figlie e dei loro figlio è una impellenza non più rinviabile. E’ ora che il centro sinistra se ne faccia carico. E’ una richiesta che ha gran voce arriva da quella società civile che pretende che i diritti umani vengano garantiti in questo paese che vanta di una Costituzione tra le più avanzate nel mondo. L’abbandono di quella legge fu un errore al quale ora bisogna porre immediato rimedio, magari rivedendo al meglio anche il vecchio testo della legge.
Questa la presentazione del testo di legge che tre anni fa venne approvato alla camera e poi dallo stesso centro-sinistra abbandonato.
Il fenomeno migratorio ha imposto da tempo una riflessione sull’impianto della legge in materia di cittadinanza, che trova oggi espressione nel solo principio dello ius sanguinis, anche perché siamo di fatto passati dall’essere un paese di emigrazione ad un paese di immigrazione. Il Partito Democratico, nell’affrontare una riforma coraggiosa come quella della cittadinanza, ha voluto concentrarsi sulla fondamentale questione dell’acquisto della cittadinanza da parte dei minori, in particolare dei minori che nascono in Italia da genitori stranieri che abbiano consolidato il loro progetto di vita nel nostro Paese, il cosiddetto ius soli temperato, e di quelli che, arrivati in Italia in tenera età, abbiano frequentato regolarmente nel nostro Paese un percorso scolastico, il cosiddetto ius culturae. Sostanzialmente si parla di cittadini italiani ai quali manca solo il riconoscimento formale, dal momento che hanno studiato qui, parlano la nostra lingua, i loro genitori lavorano e pagano le tasse come tutti noi. I giovani nati in Italia o arrivati in tenera età sono cresciuti dentro la cultura italiana, sono loro stessi portatori di tale cultura, potenziali mediatori culturali e commerciali con i paesi di origine.
Con l’introduzione dello ius soli temperato, potrebbero acquisire la cittadinanza italiana i bambini e ragazzi nati in Italia dal 1999 a oggi (ovvero ancora minorenni) i cui genitori sono in possesso del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo (cittadini extra-UE) o il “diritto di soggiorno permanente” (cittadini UE). Secondo una recente indagine Istat, circa il 65 per cento delle madri straniere risiede nel nostro paese da più di cinque anni. Se riportiamo questa percentuale al numero dei nati stranieri negli ultimi 17 anni (976mila) e ipotizziamo che nessuno di loro abbia lasciato l’Italia, si stima che i nati stranieri figli di genitori residenti da almeno 5 annisiano 635mila. Secondo lo ius culturae, ottengono il diritto alla cittadinanza coloro che completeranno i cinque anni di scuola), una cifra compresa tra 55 e 62mila.
Chi si è opposto e si oppone tutt’ora all’approvazione di una legge sullo ius soli spesso non sa di cosa parla o vive in un perenne clima da “campagna elettorale”. E’ semplicemente folle, o peggio, in malafede chi pensa che la legge tout court possa essere un facile escamotage per ottenere la cittadinanza dal momento che occorrono requisiti abbastanza stringenti per poterla ottenere. Basta leggere il testo di legge. Lo ius soli non è una battaglia per distruggere la nostra civiltà come vogliono far credere certi politici. Avranno la cittadinanza minori stranieri, nati in Italia o arrivati entro il compimento del dodicesimo anno di età, qualora abbiano frequentato regolarmente un percorso formativo per almeno cinque anni nel territorio nazionale. Partendo dai dati del ministero dell’Istruzione relativi all’anno scolastico 2015-2016 (secondo cui gli alunni stranieri nati all’estero erano il 58,7 per cento degli alunni stranieri complessivi, ovvero 478mila), possiamo stimare 166mila alunni nati all’estero che abbiano già completato cinque anni di scuola in Italia. Sommando i potenziali beneficiari per ius soli e ius culturae si ottengono 800mila potenziali beneficiari immediati (circa l’80 per cento del milione di minori stranieri residenti al 2016), a cui vanno aggiunti i potenziali benefiIussoli
Con il lavoro degli stranieri che vengono pagate le pensioni dei cittadini italiani e il loro lavoro fa cresce il nostro Pil. Più del 70% della popolazione straniera regolarmente presente in Italia, quella a cui la legge si rivolge, è di origine comunitaria o del continente europeo e quindi di cultura affine alla nostra. La legge, se approvata, sanerebbe una condizione di discriminazione che, a lungo andare, porterebbe solo all’aumento del numero di radicalizzazioni e del conflitto sociale. Si tratta di dare una possibilità di riconoscersi pienamente nel nostro Paese a ragazzi nati o cresciuti in Italia, figli di genitori stranieri che da almeno cinque anni vivono e lavorano regolarmente nel nostro paese rispettandone le regole di convivenza. Il riconoscimento della cittadinanza può rappresentare un segnale positivo sulla strada dell’integrazione, che è la più efficace arma contro la radicalizzazione.
Tutti abbiamo chiaro che l’immigrazione è un fenomeno ormai strutturale, destinato a cambiare la società italiana. Cambiare le norme per l’accesso alla cittadinanza è un passaggio decisivo sul piano culturale, su quello degli effetti concreti che può produrre. Oggi, quella di tanti migranti è una appartenenza monca alla comunità sociale, relegati in una condizione di minorità, di esclusione; spesso non ce ne accorgiamo neppure, viviamo e lavoriamo ogni giorno accanto a persone che consideriamo a tutti gli effetti nostri concittadini, ma che, in realtà, non hanno gli stessi nostri diritti.
La nozione di cittadinanza come pura iscrizione anagrafica, vincolata a un potere concessorio che enfatizza il valore simbolico dell’esclusione di chi ne è privo, stride con l’idea sempre più diffusa nel senso comune di cittadinanza come appartenenza a una collettività di persone. Sei cittadino non in base a dove e a da chi sei nato, ma perché in questo territorio vivi, lavori, costruisci affetti e relazioni, condividi diritti e doveri, ti fai parte attiva e consapevole di una comunità.
E, allora, la legge è bene che si adegui a questa evoluzione del concetto di cittadinanza e il testo che il Partito democratico ha portato in Aula è stato un passo avanti decisivo in tal senso; rivolto come è stato detto, alle nuove generazioni, quelle da cui dipenderà il futuro della nostra società. Ogni anno decine di migliaia di bambini nascono da genitori immigrati, altri arrivano qui piccolissimi, frequentano le nostre scuole, imparano la nostra lingua, giocano con i nostri figli, fanno il tifo per le stesse squadre, crescono fra noi, ma restano stranieri. Come non capire che questa è una bomba a orologeria per la coesione sociale, per il futuro della coesione sociale nel nostro Paese? Allora è bene che i bambini e le bambine che nascono da immigrati stabilmente residenti in Italia siano italiani; non solo, è bene che lo siano anche quelli che in Italia non sono nati, ma ci arrivano da piccoli, da piccolissimi e qui compiono il loro percorso di crescita e il loro percorso scolastico.
Il Paese è pronto a questo cambiamento. È ora di capire che più diritti e sicurezza per alcuni significa anche più diritti e sicurezza per tutti, ed è ora di capire che non è in gioco la tutela di una minoranza, ma la tenuta e la qualità della nostra società e della nostra democrazia. Mi auguro che nella prossima legislatura ci sia la volontà politica ma soprattutto il coraggio per approvare una riforma che il paese aspetta da tempo