La Libia di domani: quale speranza per i diritti umani?
In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha affermato che la situazione dei diritti umani in Libia risente dell’assenza di riforme,
nonostante il paese intenda giocare un ruolo di maggior rilievo sul piano
internazionale. Il rapporto, intitolato ‘[La Libia di domani: quale speranza per i diritti
umani?->http://www.amnesty.org/en/library/asset/MDE19/007/2010/en/65e2d9ca-3b76-4ea8-968f-5d76e1591b9c/mde190072010en.pdf]’ (disponibile solo in inglese), denuncia il ricorso alle f{{rustate per punire le adultere}}, la
detenzione a tempo indeterminato e le {{violenze nei confronti di migranti,
richiedenti asilo e rifugiati}} cosi’ come i casi irrisolti di {{sparizioni
forzate di dissidenti.}} Di fronte a tutto questo, le forze di sicurezza
restano immuni dalle conseguenze delle loro azioni.
‘Se la Libia vuole essere credibile sul piano internazionale, le autorita’
devono assicurare che nessuno sia al di sopra della legge e che tutte le
persone, comprese le piu’ vulnerabili ed emarginate, vengano protette
dalla legge. La repressione del dissenso deve cessare’ – ha dichiarato
Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa
del Nord di Amnesty International.
Le violazioni dei diritti umani continuano a essere commesse dalle forze
di sicurezza, in particolare dall’Agenzia per la sicurezza interna (Asi),
che pare avere poteri incontrastati di arrestare, imprigionare e
interrogare persone sospettate di essere dissidenti o di svolgere
attivita’ legate al terrorismo. Queste persone possono essere trattenute
senza contatti con l’esterno per lunghi periodi di tempo, torturate e
private dell’assistenza legale.
{{Centinaia di persone languono nelle prigioni libiche}}, anche dopo la fine
della pena o dopo essere state assolte da un giudice, nonostante negli
ultimi anni ne siano state rilasciate altrettante, tra cui alcune detenute
illegalmente.
Mahmut Hamed Matar e’ in prigione dal 1990. Dopo 12 anni di carcere in
attesa di giudizio, e’ stato condannato all’ergastolo al termine di un
processo gravemente irregolare, in cui sono state utilizzate come prove
dichiarazioni rese sotto tortura. Suo fratello, Jaballah Hamed Matar, un
dissidente, e’ stato vittima di sparizione forzata nel 1990 al Cairo,
Egitto. Le autorita’ libiche non hanno fatto nulla per indagare sulla sua
scomparsa.
Nel corso della sua visita alla prigione di Jdeida, nel maggio 2009,
Amnesty International ha incontrato {{sei donne condannate per ‘zina’ }}
(relazione sessuale tra un uomo e una donna al di fuori di un matrimonio
legale). Quattro erano state condannate a periodi di carcere tra tre e
quattro anni, le altre due a {{100 frustate}}.
Altre 32 donne erano in attesa
del processo per la medesima imputazione.
Mouna (nome di fantasia) e’ stata arrestata nel dicembre 2008 dopo aver
partorito. La direzione ospedaliera del Centro medico di Tripoli avrebbe
informato la polizia che c’era stato un {{parto al di fuori del matrimonio}}.
Mouna e’ stata arrestata mentre era ancora ricoverata, sottoposta a un
breve processo e condannata a 100 frustate.
All’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Usa, le autorita’
libiche hanno fatto ricorso all’argomento della ‘guerra al terrore’ per
giustificare la detenzione arbitraria di centinaia di persone considerate
voci critiche o una minaccia alla sicurezza nazionale.
Gli Usa hanno rinviato in Libia alcuni cittadini libici, precedentemente
detenuti a Guantánamo Bay o in carceri segrete. Tra questi, Ibn Al Sheikh
Al Libi, che si sarebbe poi suicidato nel 2009 nella prigione di Abu
Salim. Nessun particolare delle indagini condotte sulla sua morte e’ stato
reso noto.
I cittadini libici sospettati di attivita’ legate al terrorismo rimandati
nel paese continuano a rischiare la detenzione senza contatti con
l’esterno, la tortura e processi gravemente irregolari.
Amnesty International ha riscontrato un modesto aumento della
flessibilita’ delle autorita’ libiche nei confronti di coloro che le
criticano. Dalla fine del giugno 2008, hanno permesso lo svolgimento delle
proteste da parte delle famiglie dei prigionieri uccisi nel 1996 ad Abu
Salim, il carcere in cui si ritiene che fino 1200 detenuti siano stati
vittime di esecuzioni extragiudiziali.
Gli attivisti per i diritti umani, tuttavia, subiscono ancora persecuzioni
e arresti mentre le autorita’ continuano a non rispondere alla loro
richiesta di verita’ e giustizia.
Negli ultimi due anni, la Libia ha rilasciato una quindicina di
prigionieri di coscienza ma non li ha risarciti per le violazioni subite
ne’ ha riformato le draconiane norme che limitano severamente i diritti
alla liberta’ d’espressione e di associazione.
Migranti, rifugiati e richiedenti asilo, in maggior parte provenienti
dall’Africa e in cerca di salvezza in Italia e in altri paesi dell’Unione
europea, trovano invece arresti, detenzioni a tempo indeterminato e
violenze in Libia.
Il paese non ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di
rifugiato dl 1951. Pertanto rifugiati e richiedenti asilo vengono
rimandati indietro senza riguardo per il loro bisogno di protezione.
All’inizio di giugno, le autorita’ libiche hanno comunicato all’Alto
commissariato dell’Onu per i rifugiati che doveva lasciare il paese, un
gesto che avra’ probabilmente un grave impatto sui rifugiati e sui
richiedenti asilo.
La pena di morte continua a essere usata in modo massiccio, in particolar
modo nei confronti dei cittadini stranieri, e puo’ essere applicata per
un’ampia gamma di reati, comprese attivita’ che corrispondono al pacifico
esercizio dei diritti alla liberta’ d’espressione e d’associazione.
Il direttore generale della polizia giudiziaria ha informato Amnesty
International che, nel maggio 2009, i prigionieri nei bracci della morte
erano 506, circa la meta’ dei quali cittadini stranieri.
‘I partner internazionali della Libia non possono ignorare l’agghiacciante
situazione dei diritti umani in nome dei loro interessi nazionali’ – ha
sottolineato Hassiba Hadj Sahraoui. ‘Come membro della comunita’
internazionale, la Libia ha la responsabilita’ di rispettare gli obblighi
in materia di diritti umani e occuparsi delle violazioni anziche’
nasconderle. La contraddizione di un paese che contemporaneamente fa parte
del Consiglio Onu dei diritti umani e rifiuta le visite dei suoi esperti
indipendenti sui diritti umani, e’ stridente.’
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