La lotta delle donne, il pentimento degli uomini
Finito il secolo breve è cominciato quello ad alta velocità. Tre soli anni
sono bastati per trasformare il 25 Novembre in una celebrazione: per l’8
Marzo ci sono voluti alcuni decenni. Le ragioni per le quali alcune donne si sobbarcano le celebrazioni è quella
di costringere a parlarneFino a tre anni fa, vale a dire il 2006, nel nostro paese, la giornata
mondiale contro la violenza sulle donne è passata sotto silenzio
Nel 2006, le donne Italiane la fecero uscire dal dimenticatoio generale e,
come sempre, l’inseguimento istituzionale ha prodotto alcuni frutti e troppe
espropriazioni. Per inseguimento istituzionale s’intende il meccanismo col
quale la politica neutra “provvede” a controllare una rivendicazione
fiancheggiandola.
Finito il secolo breve è cominciato quello ad alta velocità. Tre soli anni
sono bastati per trasformare il 25 Novembre in una celebrazione: per l’8
Marzo ci sono voluti alcuni decenni.
Minerva, Patria e Maria Teresa Mirabal sono morte dopo essere state
stuprate e torturate il 25 Novembre del 1960. Erano Le Farfalle, animatrici
del movimento di opposizione a Trujillo, e a loro gli uomini mossero guerra
in Ojo De Agua Salcedo con l’arma dissuasiva più potente al mondo: il
femminicidio.
_ La storia ufficiale dice che fu una strage inutile per il regime, perché il
governo, con l’uccisione di Truijllo un anno dopo, cadde comunque. La storia
ufficiale dice che il triplice femminicidio fu un martirio “utile” per il
risveglio del movimento democratico e rivoluzionario.
_ Quelle tre morti fecero tutto il bene possibile agli uomini di una parte,
della parte più giusta possibile tra gli uomini. Fecero tutto il bene
possibile a un mondo dove le donne devono morire anche per chi le ama.
Martirii, eroine, fanno parte di una terminologia che occulta il pensiero e
lo costringe in un percorso carsico sotto i corpi martoriati.
_ I corpi senza la vita e senza le sue ragioni, possono così essere impugnati
per nobilitare cause dove la salvezza delle donne non è prevista.
Il 25 novembre ’09 è stata celebrazione di morti avvenute e di guasti
consumati.
_ Le ragioni per le quali alcune donne si sobbarcano le celebrazioni è quella
di costringere a parlarne.
_ Le ragioni, per alcune, sono quelle di “finalmente” far parlare tutti, gli
uomini, di violenza.
Perché sono gli uomini a doverne parlare, dicono.
Ed infatti gli uomini hanno parlato. In Italia ha parlato il presidente
della Repubblica, gli accademici e molti anchormen.
_ La rappresentazione delle miserie della condizione di vittima è stato
concesso alle donne.
La giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è stata anche in
molti luoghi la giornata nella quale gli uomini che “si vergognano della
violenza e che vogliono sconfiggerla” hanno ripetuto quello che le donne
dicono da sempre.
_ Sono uomini che “vogliono”. Questo non è incredibile. Ma a quale pratica
affidano il loro volere?
Discussione congiunta con le vittime, autocoscienza, autodenuncia,
pentimento pubblico e tanto altro. Tutto abbiamo visto fare e argomentare,
se pure a volte anche additando i condizionamenti e gli atteggiamenti
femminili “concausanti”.
_ Tutto si è visto tranne che tacere, tutto tranne
che rinunciare alla parola pubblica. Tutto tranne che rinunciare a decidere
chi deve parlare, tranne che aprire pubblicamente la contraddizione tra
conduzione maschile del potere e salvaguardia fisica ed emozionale delle
donne.
Questi uomini, quelli che “vogliono” e quelli che “devono”, pronunciano
parole ascoltate dalle donne; qualcuno ripete ciò che sente forse
convincendosi che femminicidio è un nuovo reato, e non, come è, il
fondamento dal quale esercitano il loro diritto di prelazione sulla
politica.
_ Tra questi uomini qualcuno pensa che il massimo contributo da
offrire sia proclamare la propria inattitudine allo stupro. Questi uomini
che chiedono pleonasticamente la parola sulle violenze, non hanno la
percezione esterna di ciò che si vede di loro: la debordanza di parole in un
tempo sottratto alle donne, consegnate alla rappresentazione mistica della
poverella.
Dopo tanto nominare violenza, la politica ha imparato che si devono
ricoverare ed assistere le donne già picchiate, violentate e schiavizzate.
Con buona pace del fatto che le risorse anche su questo sono irrisorie, va
detto che la lezione l’ha imparata. Tanto bene che in nome della “salvezza”
(il ricovero e l’espropriazione del domicilio, la fuga) non sfugge
l’occasione per lo scambio di favori distribuendo fondi: all’alberghiero
religioso, alle onlus “del sociale”, alla filantropia delle multinazionali.
Che fare di fronte alla banalizzazione ed alle falsificazioni conseguenti ad
un rapporto fortemente voluto dalle donne?
Che fare, visto che a rivendicare la responsabilità pubblica e politica
nella violenza sessuata sono state le donne, e che si tratta di una
responsabilità che riguarda tutti i cittadini? Prima di rispondere va detto
che si tratta di una responsabilità attribuita e non immediatamente
sovrapponibile col reale interesse ad esprimerla . Va detto anche che va
esercitata dalla propria condizione, e quella degli uomini, dentro e fuori
dal potere, non è quella delle donne. La condizione degli uomini è
privilegiata, e un uomo prima di essere al fianco deve ridistribuire, in
termini politici definitivi.
La risposta nasce da quella pronunciata fino ad ora e necessariamente la
supera. È una risposta che costringerà gli uomini a imparare nuove parole,
che li metteranno in grande confusione.
_ La confusione e l’inverecondia che disegnano la decadenza del potere
patriarcale è certamente dovuta alla consapevolezza, indotta dal movimento
antiviolenza delle donne, che il contrasto agli stupri ed al femminicidio è
il contrasto all’egemonia maschile nel governo delle cose.
In conclusione se le soluzioni predisposte dal potere sono residuali, avare
ed in ritardo, non si tratta una semplice inadeguatezza dei poteri, bensì di
una strategia, fin qui efficace, che inchioda le donne ad obiettivi
superati, come lo sono le case di accoglienza e “la libertà assistita”.
È un gioco ormai scoperto e le donne stanno uscendo dal circolo vizioso
della logica del danno e della cura, (che necessariamente le subordina alla
concessione delle risorse), ed affrontano finalmente il sistema riproduttivo
della violenza sessuata: nell’economia, nella religione, nella cultura, nel
welfare.
Questo non potrà che generare altre confusioni, ma soprattutto altre
ritorsioni. Ritorsioni come lo sono l’ennesima sospensione dell’uso della
pillola RU486 nella sanità pubblica, la cancellazione del tempo pieno nelle
scuole quella delle garanzie contrattuali alla maternità. Il potere è
confuso ed inverecondo nel mostrare, anche sul piano internazionale, lo
stesso cinismo verso le donne degli altri paesi devastati da guerre e
sfruttamento e verso quelle che fuggono ed approdano al territorio
nazionale.
Per non cadere nella stessa confusione del potere, basta tenere lo sguardo
sulla violenza di tutti i giorni. E continuare ad alzare la pretesa di
libertà per tutte.
La soluzione che ci viene ripetutamente prospettata, da sempre, è la
semplice cura della ferita, lasciata poi sempre sanguinante. È una proposta
inaccettabile, non è anzi affatto una proposta: è semplicemente il minimo
dovuto.
Prima che altre proposte indecenti ci vengano fatte, diciamo: ciò che le donne subiscono è devastante assai più di ciò che è perpetrato
dalle mafie: il Parlamento, il Governo, le Amministrazioni continuano oggi
come ieri a considerare tutto questo come un caso di coscienza.
_ Dalle leggi che favoriscono le famiglie a conduzione maschile rispetto a
quelle monoparentali, fino all’apologia dello stupro nella pubblicità passando
per la tutela della privacy, non è un caso di coscienza.
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