LA NARRAZIONE DEL SE’ NEGATA AI MIGRANTI: UNA QUESTIONE DI PSICHE E NON SOLO DI CORPI – Un incontro di riflessione importante alla Casa Internazionale delle Donne di ROMA
Venerdì 29 aprile presso la Casa Internazionale delle Donne si è tenuto un incontro sul fenomeno migratorio e sulle ripercussioni che si trovano a vivere i soggetti migranti. È stato un momento di riflessione molto importante che ha fornito delle interessanti chiavi di lettura. L’iniziativa, a partire dai libri di Flore-Murard Jovanovitch studiosa del fenomeno migratorio e “giornalista degli invisibili” , “Derive: piccolo spettacolo del disumano” e “La Negazione del soggetto migrante” Edizioni Stampa Alternativa, è stata introdotta da Manuela Fraire che ha fatto luce su alcune questioni troppo spesso in ombra nella trattazione quotidiana del fenomeno da parte dei media. Nel corso della serata è stato inoltre proiettato il documentario “I Messaggeri” di H. Crouzillat e L.Tura, il film che racconta il viaggio dei migranti attraverso il Sahara per raggiungere le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in territorio marocchino, con le testimonianze dei sopravvissuti ,depositari perciò della memoria dei dispersi.
Durante l’incontro si è posto l’accento su un aspetto fondamentale ma poco indagato: quello che è l’universo dei/delle migranti ovvero l’aspetto psichico e intimo, non solo la corporeità. Ciò che è emerso è come oggi il/la migrante sia un personaggio privo della propria storia, non perché non ce l’abbia, ma perché deve concentrare tutta la sua attenzione per la comprensione di tutto ciò che lo circonda, non farsi sfuggire niente per non alimentare la diffidenza, togliendo così potere alla storia che gli appartiene. La propria narrazione e la possibilità di poter dire no, espressioni forti di affermazione dell’esistenza stessa, vengono negate, negando perciò l’esistere. Assistiamo tutti i giorni alla spettacolarizzazione che ci propongono i media all’arrivo dei barconi carichi di persone desiderose di un futuro altro, forse non è solo questo l’aspetto che deve toccarci, è necessario chiederci cosa succede un momento dopo gli sbarchi, cosa intercorre dall’orrore dello sbarco al terrore dell’arrivo.
Nel corso della serata, numerosi sono stati gli spunti e le diverse chiavi di lettura in riferimento alle rappresentazioni del fenomeno. È stato sottolineato l’aspetto importante della paura indotta da questi fatti, la nostra paura di guardare a quanto accade. I “fantasmi” portati dai corpi di chi arriva si intrecciano ai nostri, sarebbe assolutamente nuovo chiedersi cosa rappresentino i nostri corpi per loro. Davanti alla necessità psichica di abituarsi alle immagini che ci bombardano nei nostri momenti di vita quotidiana, la sorpresa sarebbe chiedersi cosa siamo noi davanti all’altro. Non siamo abituati a questa alterità radicale, a questo stato di bisogno che ci rimanda al bisogno primordiale, tutti, uomini e donne messi nella condizione di impotenza che è all’origine della vita, quella di non potere agire soli per la propria sopravvivenza. Il martellamento che ci raggiunge in ogni angolo delle nostre vite ci arriva in modo ripetitivo e ci fa sentire davanti a questa apocalisse culturale inesistenti e pazzi. Molte cose sono state dette rispetto al parallelismo in atto tra le politiche e pratiche di respingimento dei migranti e la Shoah. Nelle parole di Freire questo parallelismo è inadeguato, in questo momento storico le persone che vivono il trauma della migrazione con le drammatiche conseguenze che ne derivano, vengono considerati “ospiti” agli occhi dell’opinione pubblica. Nessuno accetterebbe di dire che si tratti di un genocidio, ciò è paragonabile ai grandi genocidi che la Storia ha già conosciuto ma è un genocidio sotterraneo, i sopravvissuti diventano ai nostri occhi sopravvissuti di serie B. L’invito che viene suggerito è quello forte e vitale della reciprocità, della relazione con l’altra/o a prescindere dalla pietas cristiana ma a partire dall’osservazione di una sorta di transfert che queste persone sono costrette a fare su di noi, l’immagine che ne deriva non deve farci vergognare, neanche rimandasse la nostra crudeltà, ma deve essere decifrata e compresa.
Uno sguardo attento anche in merito all’ambito internazionale, in particolare alla posizione assunta dall’Europa con i suoi 28 Stati Membri. Secondo l’autrice i segnali di quella che è stata definita una “psicopatia” nei confronti dei migranti c’erano già, siamo forse solo all’inizio di quello che succederà. Tutto ciò che è sotto i nostri occhi e che non possiamo dire di non sapere è un piano inclinato verso il disumano: ci misuriamo con una politica migratoria di annientamento, eliminazionista. Viviamo un periodo storico difficile da categorizzare e questa “psicopatologia di massa” presagisce l’esplosione di una terribile violenza, come già possiamo vedere dagli attacchi neonazisti che si consumano ai danni dei campi d’accoglienza in varie parti d’Europa. L’annientamento che si consuma oggi in questi “non luoghi” della disperazione, è ai danni della psiche dei migranti, non solo dei corpi: è il nuovo fascismo delle frontiere. Un aspetto che andrebbe indagato e raccontato, dato che la narrazione ferma all’arrivo dei barconi non ci permette di sapere cosa realmente succede nella mente di queste persone. Sono forse questi i “fantasmi” che vogliamo tenere bene a distanza.
Un altro momento importante è stato quello del dibattito tra i /le partecipanti, soprattutto quando vengono ricordate le esperienze positive fatte dai/dalle singole e dalle realtà associative che guardano all’accoglienza e all’integrazione: un bagaglio di esperienze da tenere a mente e potenziare. Emozioni e parole, soffocate in gola per tutta la durata dell’incontro, sono fluite alla fine ad arricchire uno spazio di pensiero necessario e capace di fornire “lenti” diverse per guardare al fenomeno.
Roma 01 – 05 – 2016
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