La nostra autonomia, la relazione con le altre donne e con il territorio
Vi propongo la lettura dell’intervento di Francesca Koch, della Casa delle Donne di Roma, all’incontro Luoghi di libertà.
Anzitutto vorrei ringraziare il Gruppo del mercoledì per la convocazione di questa giornata, a sostegno della Casa Internazionale ma anche di tutti i luoghi delle donne che, come sappiamo, sono a rischio di chiusura in questa città e non solo, come testimonia oggi la presenza di numerose esponenti delle realtà femministe diffuse in tutto il Paese.
Già nel maggio di quest’anno il gruppo del mercoledì aveva scritto una lettera importante all’amministrazione capitolina, ponendo la questione della necessità di riconoscere la valenza politica prima ancora che sociale di queste esperienze, nonché il valore economico di servizi così innovativi svolti per decenni. In questo testo si dichiarava lo sgomento per il tono burocratico e liquidatorio della relazione capitolina, presupposto per la cancellazione di socialità e relazioni, che pure sono elementi costitutivi di una buona vita nelle città.
Il femminismo romano fin dai suoi primi anni ha praticato la necessità di riuscire a mantenere l’autonomia dalla politica ufficiale o maschile e ha colto nella costruzione di un luogo, o di luoghi, la capacità di coniugare autonomia con organizzazione, libertà con vicinanza. La Casa Internazionale delle Donne è l’espressione odierna delle varie Case delle donne che si sono via via succedute a Roma. Le case di via Capo d’Africa, di via Germanico, di via Pompeo Magno e poi di via del Governo Vecchio sono i luoghi che hanno mantenuto viva, anche nei periodi in cui il femminismo era meno visibile e meno evidente, la forza delle donne e hanno continuato a far crescere il loro pensiero e la loro ricerca.
Questo tema è stato al centro della giornata del 22 settembre a Lucha y Siesta, quando si è affermato che le case sono luoghi di elaborazione e pensiero, di pratiche, “sono luoghi di autodeterminazione, ricostruzione di vissuti e di relazioni, e presidi a tutela della dignità di tutte quelle che la società patriarcale ha maltrattato e marginalizzato, spazi di trasformazione dell’esistente e delle vite di molte”. Si è detto, in quella sede, dell’importanza del lavoro politico, e quindi della necessità di sottrarsi alle logiche puramente economiche o del profitto; molte hanno insistito nel rifiuto della logica dei bandi e delle convenzioni per affermare la dimensione politica dei luoghi delle donne. La mancanza di riconoscimento politico complessivo coincide con lo scarso valore sociale attribuito alle realtà femminili e femministe, alla loro irrilevanza in assenza di una presenza politica forte.
Nel nostro intervento alla commissione Femm a Bruxelles avevamo già posto la questione del legame tra i luoghi delle donne e il gender mainstreaming; del resto sull’importanza di propri luoghi per garantire l’empowerment e l’autonomia delle donne insistono tutti i documenti e le risoluzioni del Parlamento europeo sul tema, fino alla Convenzione di Istanbul. Eleonora Forenza e le 45 firmatarie della lettera alle istituzioni europee ed italiane, sottoscrivono la impossibilità di perseguire gender mainstreaming senza un riconoscimento dei luoghi autonomi delle donne.
La particolarità di questo palazzo, l’ex Buon Pastore, il suo valore simbolico su cui abbiamo molto riflettuto, ci carica di ulteriore responsabilità, poiché l’assegnazione alle associazioni femministe ne riscattava il senso trasformandolo da luogo di tortura e dolore a luogo delle libertà e della autonomia delle donne. L’attribuzione alle donne è stata considerata nell’interesse pubblico dall’Amministrazione capitolina negli anni ’90, un interesse pubblico che è stato confermato anche da una recente delibera Regione Lazio.
A questa affermazione l’attuale amministrazione sta portando un attacco frontale. La sottrazione di autonomia, che si vuole oggi, equivale a chiudere il progetto; lo smantellamento della Casa in questo senso è caso paradigmatico della progressiva sottrazione di democrazia anche in altri ambiti. Questo vale per tutti gli altri luoghi delle donne che nel tempo hanno costruito la loro storia. L’attacco alle case delle donne ha lo stesso schema, per la CID per Lucha y siesta, per il centro donna Lisa: al Pigneto, al Tuscolano, a Tor Bellamonaca, a Ostiense, a San Lorenzo… è una procedura di azzeramento della democrazia, una procedura apparentemente formale su cui si innesta la cancellazione della storia delle donne
Nel dicembre 2012 si era svolto alla Casa Internazionale un convegno delle diverse case delle donne in Italia; si erano individuati allora alcuni nodi problematici comuni alle nostre esperienze, che forse può essere utile riproporre oggi, per verificare la possibilità di strategie comuni, di percorsi condivisi, anche se certamente ora il clima politico e culturale è molto peggiorato rispetto a sei anni fa e siamo di fronte ad un attacco di violenza inaudita alle donne e alle acquisizioni di civiltà ( basti citare il ddl Pillon e il decreto Salvini “sulla sicurezza” ) .
Scrivevamo allora: “A partire dall’eredità del femminismo, come movimento di rottura di un ordinamento patriarcale e di contrapposizione alle sue forme politiche – il personale è politico, partire da sé, la ripresa di parola, l’autocoscienza …– il tema di fondo delle domande resta la contestazione dell’esistente – che non ci include e/o ci rappresenta male – e la riflessione sulle forme e sul linguaggio usati per contrastarlo, con molti punti da esplorare: le sconfitte, ma anche le complicità che ci impediscono di vincere; il senso di una mobilitazione e di uno schieramento sollecitato da più fronti e su varie cause e poi abbandonato; lo iato fra un’istanza eversiva e una emancipazionista; l’erosione degli spazi e dei tempi da dedicare alla politica”.
Ci siamo confrontate allora su strategie di conquiste graduali e percorsi negoziali, ma con posizionamenti controversi sul significato e sui risultati che hanno provocato sulla politica. La continuità, la durata decennale pone problemi sulle scelte di fondo, giacché la progettualità della cittadinanza femminile deve fare i conti con uno schema istituzionale in cui non è prevista. Gran parte dei progetti faticosamente realizzati non diventa strutturale all’istituzione, né viene recepita nella cultura dell’amministrazione pubblica, restando invece a livello di proposta che deve essere continuamente presentata, legittimata, rifinanziata. Lavorare con un’istituzione che non ci prevede è insomma come nuotare senz’acqua.
Il primo tema di riflessione è dunque la possibilità di autonomia e sostenibilità gestionale nel lungo periodo, ma altri nodi sono il rapporto con il territorio e le altre realtà di donne; gli interessi diffusi e la comunanza degli obiettivi; la possibilità di costruire alleanze, concordare priorità, e aprire trattative .
Un’altra difficoltà è la progettualità e l’agenda relativa. Viviamo nell’immediato e abbiamo l’acqua alla gola, una condizione che rende velleitario mettere insieme un’agenda politica e progettuale; cerchiamo tuttavia di contenere il danno con un’agenda difensiva, in reazione, di piattaforma immediata. Difficile è avere una visione del futuro abbastanza a lungo termine.
Queste domande di alcuni anni fa assumono oggi un’urgenza e una gravità nuova, per la condizione di precarietà che condiziona l’esistenza delle donne più giovani, per le conseguenze devastanti della crisi economica e culturale, per l’indebolirsi della solidarietà sociale, per la violenza della politiche reazionarie nel nostro paese e in molte parti del mondo.
Lo dicono bene le promotrici dell’incontro del 22 settembre, nel loro testo di convocazione, quando scrivono: “Giorno dopo giorno sentiamo che gli sforzi compiuti per affermare i principi dell’autodeterminazione, dell’autonomia e della solidarietà, che sono il nostro terreno di crescita e costituiscono i valori fondanti della nostra politica di donne, devono oggi misurarsi con i proclami anti migranti e gli attacchi alle libertà civili acquisite”.
Dall’incontro
di Bologna di Nonunadimeno della settimana scorsa, viene un ulteriore invito ad aprire gli spazi e occupare la piazze e lo spazio pubblico – il terreno della politica, sia fisicamente che simbolicamente – con la produzione di idee e di analisi di radicale contestazione e di affermazione di una politica diversa. Lo slogan è “Agitazione permanente”.
Del resto le vicende di Roma, di Pisa, di Viareggio, di Alessandria, di Verona… ci dicono che non è possibile l’agire politico delle case delle donne, se non facendosi carico di una critica dell’ esistente e di una consapevolezza del quadro politico della fase. Gestire e far vivere spazi femministi vuol dire contemporaneamente occupare i luoghi della politica, esprimere un giudizio sul mondo, mettere in atto pratiche di relazione diverse e innovative. E di questo oggi parleremo, mentre ringrazio ancora il Gruppo del mercoledì che ce ne dà la possibilità.