La nostra posizione espressamente critica nei confronti del Vaticano non era una forzatura
Ha fatto di tutto, la gerarchia cattolica, per non rifare il medesimo errore del
2000. Giorni e giorni chiusa nel silenzio stampa per evitare di pubblicizzare con i suoi attacchi il Pride di Roma. Ma ormai l’Italia lo sapeva che il più grosso ostacolo alla libertà nel nostro paese sono proprio loro, i gerarchi della CEI e la subalternità della classe politica a loro, e così i numeri ci sono stati anche senza il loro contributo, numeri più alti di quelli del Family CEI.
_ Il giorno dopo il Pride, il Vaticano ha addirittura evitato il rito dell’Angelus
mandando Ratzinger ad Assisi, a parlare di integralismi islamici, tanto per
distogliere l’attenzione dagli integralismi nostrani che, per una volta, si sono
rivelati non essere maggioritari nel nostro paese.
Ma non ce l’ha fatta, la CEI, a star zitta fino in fondo. E così domenica ecco {{un box di {Avvenire}, prontamente ripreso dalla stampa, e in particolare da {Repubblica} }} (che, evidentemente, aspettava solo un cenno…).
_ Chiarisce lunedì “Repubblica”: “A scatenare la reazione dei vescovi, un carro con la scritta ‘No vat’…” e via narrando di “croci nere” sulla cupola di San Pietro, insomma il nostro simbolo NO VAT.
E l’onorevole Franco Grillini, che ancora – evidentemente – pensa di poter
rappresentare il movimento, prende subito posizione: “Gli slogan anti Papa sono stati una “robina” che Avvenire ha trovato per fare polemica…”
Ad {Avvenire} avevamo già risposto, ad analoga indignazione espressa dopo la Manifestazione “Diritti ora” con una lettera di Graziella Bertozzo che diceva: “Il Vaticano si deve rassegnare ad un fatto: se interviene direttamente in politica sarà trattato né più né meno che come un potere politico e, come ogni potere politico, contro di lui saranno usate le armi dell’ironia da parte di chi quel potere subisce.
_ Semplicemente questo è accaduto sabato in piazza: non più uomini mascherati da donne (troppo facile…), ma donne ed uomini che mettevano alla berlina i loro copricapo e i loro vezzi, quelli di un potere esclusivamente maschile che pretende di governare le nostre vite.”
Per {Avvenire} – a questo punto è chiaro – siamo identificati/e. E siamo soddisfatti/e che sia così. Sono i nostri contenuti – fra l’altro – a rendere regolarmente furiosa la gerarchia vaticana. Perché le nostre parole non sono né false né vuote, né – aggiungiamo – sono state solo nostre, ma sono divenute slogan, scritte, bandiere che hanno percorso tutto il corteo. Parole, fra l’altro, elaborate in modo approfondito e con rigore intellettuale nell’ambito del convegno che abbiamo organizzato il giorno precedente e che – guarda caso – si intitolava: “Nessun dogma: parole di laicità”. La pesantezza delle nostre parole non era dunque affatto inconsapevole, tutt’altro.
E chi ha voluto vedere ha visto:
“Nonostante colori, lustrini e musica dance, la manifestazione ha avuto un contenuto “politico” serio, come dimostravano le tante bandiere “No Vat”, contro le gerarchie ecclesiastiche…”
({Il Meridiano} – “Risposta laica al Family day)”.
Ci rivolgiamo invece con questa lettera aperta a tutto il movimento gay, lesbico e transessuale con cui abbiamo condiviso il percorso di avvicinamento a questo Pride, davvero unitario nei suoi intenti, obiettivi e modalità, così come nel successo ottenuto. Riteniamo di poter dire che ognuno/a di noi ha fatto la propria parte, avendo come riferimento il documento politico comune, e che fra le altre cose dice:
_ “Le nostre rivendicazioni, si inseriscono in un quadro politico ed istituzionale
desolante, in un clima sociale e culturale d’odio alimentato dalle gerarchie
cattoliche e sostenuto da una politica debole e in affanno, perché ha completamente smarrito i valori fondanti della convivenza e del pluralismo ideale. È in atto un conflitto di cui vogliamo assumerci l’onere, che cerca di connotarsi come uno scontro fra civiltà, tra eterosessuali e cittadini lgbt, tra cattolici ed atei, tra migranti e italiani, ed invece ha lo scopo di imporre un pensiero unico, un arretramento sul terreno delle conquiste sociali e di cancellazione di ogni tipo di speranza di riscatto ed emancipazione dei differenti vissuti, identità ed orientamenti sessuali.”
Proprio la rappresentazione esplicita di questa parte si è assunta Facciamo Breccia, e non solo a nome proprio ma a nome di molte/i.
_ Che la nostra posizione espressamente critica nei confronti del Vaticano non fosse una forzatura lo ha dimostrato la piazza, dove l’intervento di Elena Biagini a nome di Facciamo Breccia è stato applauditissimo, suscitando il coro unanime delle centinaia di migliaia di persone presenti in piazza San Giovanni che hanno gridato “Vergogna, vergogna, vergogna” all’indirizzo di chi, vescovo o politico, quotidianamente insulta e denigra le nostre vite e i nostri desideri.
Quella che l’onorevole Franco Grillini definisce “robina” è dunque anche quel
documento politico del Pride, a causa del quale il futuro partito democratico e le
Pollastrini varie hanno aderito al Pride ma non alla sua piattaforma. Quella
“robina” è la denuncia esplicita nei confronti di una classe politica genuflessa ai
diktat del vaticano, è quella “robina” che ha portato in piazza un milione di
persone e che, a quanto pare, continua ad imbarazzare i politici italiani,
indipendentemente dal loro orientamento sessuale e politico.
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