La parità nel paese dei pinocchi
La conclusione del dibattito al senato sulla legge elettorale per le elezioni europee ancora una volta ha mancato l’obiettivo sperato da molte di una legge che contemplasse la doppia preferenza di genere.La conclusione è stata confusa con le tre preferenze attuali e una legge paritaria rimandata alle elezioni del 2019.
In un tempo politico che ha fatto della velocità la parola chiave viene da ridere, se non ci fosse da piangere, soprattutto dopo tutte le discussione e le polemiche a proposito dell’Italicum su cui tutti si sono cimentati da politici a grandi giornalisti, a opinion makers a personaggi televisivi.
La considerazione, tanto più dopo questo passaggio al senato, è che decisamente questo è un paese per maschi e più hanno potere più pensano di doverne avere. Anche se i politici sono al minimo storico di gradimento della storia della repubblica. Ma intanto continuano a rappresentare la situazione esistente da loro determinata e le conseguenti riforme con un po’, un bel po’, di bugie. Magari ripetute mille volte diventano una verità. Invece rimane un grande imbroglio e l’Italia sembra il paese dei pinocchi.
La legge elettorale, il cosidetto {Italicum}, passa alla Camera e, se per il presidente del consiglio è una vera rivoluzione, molti continuano a dire che andrebbe migliorata e tra le altre “migliorie” continua la battaglia per introdurre al Senato l’alternanza delle donne nelle candidature dei listini bloccati. Quindi decisi dai partiti.
L’elettore/trice vota per questi ed elegge i primi o il primo della lista. Per l’ineffabile ministra Boschi si tratta di un “singolo particolare” su cui non varrebbe la pena di concentrarsi a fronte della supposta rivoluzione della legge votata alla Camera. Sappiamo tutte e tutti come è andata alla Camera.
L’Italicum è gia fortemente controverso non solo perché nasce da un accordo di soli due capi partito, ma anche perché molti/e sostengono che non risponda a quanto ha prescritto la sentenza della Corte Costituzionale.
D’altra parte l’eccezione di incostituzionalità nel voto alla Camera è stata superata.
Tuttavia nel dibattito sugli emendamenti cosiddetti “di genere” gli argomenti invocati sono basati sulla necessità di accoglierli per migliorare la nostra democrazia e per superare una discriminazione oggettivamente senza senso oltre che incostituzionale. Sappiamo come questa battaglia sia stata irrisa due volte, sia qualificandola come una richiesta di “quote rosa” per tutelare donne altrimenti incapaci di gareggiare nella battaglia elettorale (come se gli uomini gareggiassero!), sia insinuando continuamente che le quote sono state una trappola che utilizzava le donne per altri scopi, leggi congiura per far saltare l’accordo Renzi- Berlusconi come ha dichiarato lo stesso premier.
A poco è valso ricordare che si trattava di una scelta politica di donne di diversi partiti politici in sintonia con la società civile, e che non di quote si trattava ma di una norma paritaria per rappresentare meglio e dare più opportunità alle donne rompendo lo schema, fin qui preponderante, di un eccesso di quote azzurre, anzi di un quasi monopolio maschile se guardiamo ai numeri e di monopolio di fatto se ricordiamo che con il porcellum erano i segretari di partito a scegliere un parlamento di nominati.
I segretari o leaders sono quasi tutti maschi, quindi scelgono i più ubbidienti e le più ubbidienti o supposte tali. Sulla capacità dei parlamentari nominati conosciamo tutti le scelte fatte e i risultati ottenuti che certo non hanno portato l’Italia tra i paesi più virtuosi o sviluppati del mondo. Quindi la richiesta di introdurre norme, in una legge discussa, per dare qualche chance in più alle donne e per ampliare la possibilità di scelta per i cittadini della rappresentanza, potrebbe essere definita anche come un tentativo di riduzione del danno.
Quando l’Udi propose nel 2008 la legge di iniziativa popolare per il 50E50 ovunque si decide, a cominciare dalla cariche elettive, lo fece non solo per superare la annosa e stucchevole discussione delle quote rosa ma per richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che in un paese dove oltre il 52 per cento della popolazione è di donne, e di donne anche altamente scolarizzate e capaci di governare la loro vita e di far camminare il paese, non era possibile continuare a tenerle fuori dalla rappresentanza politica in una condizione degna dei paesi più patriarcali e arretrati. Una norma antidiscriminatoria insomma.
La proposta di legge del 50E50 è rimasta a giacere per oltre due legislature nelle Commissione affari costituzionali. Cosa che di per sè la racconta lunga sulla sensibilità democratica dei nostri eletti (nominati) e sulle vicende dell’oggi.
Intanto negli ultimi anni si è realizzata una mobilitazione più ampia che ha visto nell’Accordo per la democrazia paritaria il coinvolgimento di quasi 60 associazioni di donne. Gli incontri, i dibattiti, le dichiarazioni di intenti sembravano aprire nuove possibilità. La scelta di alcuni partiti di aumentare la presenza femminile in parlamento nelle elezioni del 2013 per via politica è stata un primo risultato e ha suscitato alcune speranze rimaste poi deluse.
La discussione infatti della nuova legge elettorale è partita da subito con la menzogna della presenza paritaria delle donne nei listini bloccati che la stampa ha rilanciato con grande enfasi, ma essendo una menzogna ha avuto le gambe corte e la verità è apparsa subito evidente.
Si trattava di una presenza nominale ma non determinante per essere elette, donne portatrici d’acqua, niente di più visto che possono essere collocate in fondo alla lista in collegi che eleggono solo i primi in lista. Questo, unito alla mancata presenza paritaria di donne tra i capilista che possono avere candidature multiple, si è rivelata una beffa.
E’ cominciata la battaglia di un gruppo interpartitico di donne (non di tutte le donne parlamentari) significativo, ma nel paese dei pinocchi, insieme a tante parole di apprezzamento, si è subito arrivati alla controffensiva sulle pretese inaccettabili delle donne, sulle bugie delle quote rosa e del complotto.
Le parlamentari che coraggiosamente hanno provato a raggiungere un risultato di parità nelle regole elettorali, hanno combattuto con un braccio legato dietro la schiena perché hanno escluso a priori, proprio per non essere sospettate di complottismo, di votare contro la legge.
Il voto segreto, tra libertà di coscienza (sic) e franchi tiratori, ha fatto il resto. Ma in questo paese dove il monopolio maschile del potere di troppi uomini incompetenti, da troppo tempo con le leve del potere in mano, passa per esperienza e competenza si è aggiunta un’altra menzogna: che la parità fosse incostituzionale come ha dichiarato quel genio del presidente della commissione Affari costituzionali Sisto dimenticando che la democrazia se un valore ha è di essere sempre basata sull’uguaglianza che della democrazia è una premessa e una promessa anche senza ricordare l’art. 3 e 51 della Costituzione.
Al becerume imperante (es. Non scassate ecc..) di altri momenti in cui gli uomini di potere si presentavano senza veli a difendere i loro privilegi questa volta si sono aggiunti patriarchi benevoli, magari gli stessi che invocano tutela delle donne contro il femminicidio, difensori della competenza (per definizione maschile) per difendere le quote azzurre maggioritarie usando a sproposito la Costituzione o sostenendo la inopportunità di disturbare il premier (Renzi), tutto pur di impedire che la parità per l’accesso alla rappresentanza fosse contemplata in una legge dello stato valida per tutti/tutte.
È stata una commedia di bugie con il naso molto lungo: da Brunetta che dichiarava che le quote rosa comportano che i leader scelgano le donne più ubbidienti invece che i più bravi come se non sapesse che l’ubbidienza al leader è stata la caratteristica del Porcellum e della rappresentanza finora attuata, a Sisto passando per quasi tutte le forze parlamentari per finire a Renzi che rassicura le donne Pd con la conferma che farà nel suo partito quello che non ha voluto fare in Parlamento.
Qualcuno/ una dovrebbe spiegargli che il tempo delle concessioni da parte di un sovrano in una sola parte del regno è tramontato da un pezzo.
E in ogni caso la competizione positiva tra partiti non esclude e non può escludere la norma legislativa.
Sappiamo che esistono molte donne che preferiscono essere scelte da un uomo anche in politica. Ma ci sono altre e altri che preferirebbero votare donne e uomini competenti che loro possono scegliere. O almeno su cui giudicare i listini bloccati.
Noi rimaniamo affezionate alla ispirazione dell’ Udi del “50e50 ovunque si decide” perché rappresenta un completo cambio di paradigma che richiama alla capacità/necessità di pensare una democrazia paritaria affrontando anche con la riforma del sistema elettorale una diversa selezione di tutti i gruppi dirigenti di cui le donne siano elemento paritario. Questo per noi è lavorare per la democrazia e renderla credibile.
Adesso dobbiamo aspettare di vedere se il Senato, che nella legge elettorale per le elezioni europee ha mancato un’occasione, sarà una scoglio insormontabile o darà una nuova possibile opportunità alla rappresentanza paritaria. Lo vedremo e valuteremo di conseguenza.
Lascia un commento