La polemica sull’insegnante lesbica di Trento: autonomia d’insegnamento vs diritti costituzionali
Leggiamo con sconcerto la vicenda dell’insegnante di Trento che -sospettata di lesbismo- sarebbe stata convocata dalla Madre Superiora della scuola cattolica paritaria dove svolge il suo servizio, per un colloquio personale. A quanto sembra, la suora l’avrebbe invitata a curare il suo “problema” con un “percorso riabilitativo”. Il rifiuto dell’insegnante avrebbe potuto comportare il non rinnovo del contratto. Il rifiuto dell’insegnante avrebbe potuto comportare il non rinnovo del contratto. Leggiamo con sconcerto la vicenda dell’insegnante di Trento che -sospettata di lesbismo- sarebbe stata convocata dalla Madre Superiora della scuola cattolica paritaria dove svolge il suo servizio, per un colloquio personale.
A quanto sembra, la suora l’avrebbe invitata a curare il suo “problema” con un “percorso riabilitativo”. Il rifiuto dell’insegnante avrebbe potuto comportare il non rinnovo del contratto.
Queste notizie di cronaca hanno già sollevato scandalo e proteste, e attestati di solidarietà alla docente.
Tuttavia vi sono aspetti di estrema gravità che meritano di essere stigmatizzati, per non lasciarli affondare in un’opinione pubblica su questi temi sempre incline al conformismo.
(Ne è palese dimostrazione quanto accaduto nel corso di quest’anno scolastico in istituti non privati bensì statali con le sanguigne contestazioni a programmi relativi all’introduzione di elementi di educazione di genere, sia nelle classi, che nella formazione di docenti delle Scuole dell’Infanzia)….
Colpisce sinistramente la proposta della Madre Superiora di un percorso riabilitativo, come se si trattasse di una “devianza” dovuta a malattia ( abbiamo sentito questa tesi dai banchi del Parlamento per bocca dell’on. Binetti).
Che questa tesi alberghi ancora oggi in una scuola cattolica è testimonianza evidente della natura di “progetti educativi” sulla cui autonomia le scuole private hanno sì piena competenza, ma entro quali limiti?
L’art.33 recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione…..” . Il confine è sfumato, ma un confine non può non esserci.
Questo confine sono i principi costituzionali.
L’Art.3 è un confine che non può essere ignorato. Il rispetto per la persona, per le scelte identitarie, gli orientamenti sessuali sono conquiste che hanno i questi ultimi anni portato a riconoscimenti ufficiali resi possibili sulla base dell’Art.3 e di altre Carte relative ai Diritti Umani.
Può il “progetto educativo” di una scuola privata, sia pure di tendenza, non riconoscerli?
Si dirà: i genitori che iscrivono i figli alle scuole cattoliche non accettano insegnanti omosessuali. Questa è la forza di queste scuole :la ricerca di compiacere una clientela arroccata su posizioni che non corrispondono nemmeno più a tanta parte del mondo cattolico.
Ma fino a quali estremi può spingersi un “progetto educativo”, sia pure legittimamente ” di tendenza”?
Certamente non dovrebbero essere erogati contributi pubblici, come recita l’art.33; questa è una prova in più dell’incostituzionalità della legge 62/2000 che iscrive scuole statali e private paritarie in un unico sistema scolastico nazionale.
Una riflessione però sulla libertà dei progetti educativi, credo vada fatta. Siamo una Repubblica democratica fondata sui principi costituzionali.
I titoli di studio delle scuole private devono ottenere il riconoscimento dello Stato.
Possono questi principi essere smentiti nel progetto di una scuola privata, paritaria o no?
Se la vicenda corrisponde a quanto abbiamo appreso dalle cronache, credo che l’insegnante in questione non dovrebbe lasciar perdere.
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