La precarietà ha dato un forte contributo al risanamento
Le precarie e i precari hanno dato un forte contributo al risanamento, hanno dato un beneficio alle imprese. Questo è stato riconosciuto a livello sociale, ma a livello personale non hanno ricevuto la giusta ricompensa. A loro non è stato dato niente, sono stati solo sfruttati. Il riconoscimento può esserci solo stabilizzando il posto di lavoro.{{Secondo dati Istat solo il 45,4% delle donne ha un’occupazione. Al Sud la disoccupazione femminile tocca il 20%. Gli obiettivi di Lisbona per il 2010 non saranno raggiunti. La UIL ha accolto con favore i provvedimenti in finanziaria. Quali sono le previsioni per l’incremento dell’occupazione femminile nei prossimi anni?}}
La finanziaria è stata accolta con favore dalla UIL perché ci sono provvedimenti positivi a favore delle donne. Un primo dato positivo riguarda il Sud, il cuneo fiscale incentiverà l’occupazione femminile. Un altro dato positivo riguarda la famiglia, per esempio l’aumento degli asili nido. La carenza delle donne che chiedono di lavorare è legata alla mancanza di servizi sociali. Questo incentivo ad aumentare gli asili nido va nella direzione che vogliamo. Ma ci sono molti altri interventi positivi per le donne come l’osservatorio sulla violenza. La finanziaria prevede specifiche inedite rispetto alla questione di genere: la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, l’incremento dell’occupazione femminile dato lo scostamento al 10% dagli obiettivi di Lisbona.
{{Attualmente solo il 6,5% delle domande per gli asili nido viene accolta. La finanziaria ha stanziato fondi ma sarà difficile nel breve periodo soddisfare la totalità delle domande. Il sindacato sta negoziando con la controparte asili nido aziendali per venire incontro alle lavoratrici-madri?}}
L’impegno del sindacato contro le discriminazioni nei confronti delle donne è stato sempre forte. A livello territoriale, nei comuni e nelle province, cerchiamo di incrementare i servizi all’infanzia e agli anziani. Noi non stiamo contrattando asili nidi aziendali ma stiamo facendo pressione per una legge che inserisca gli asili nido nel sistema educativo anziché lasciarli a domanda. Forse oggi, con il decremento delle nascite, la preoccupazione maggiori sono gli anziani. E’ più problematico per una donna accudire i genitori piuttosto che i figli. Per questa ragione abbiamo spinto per il fondo per la non autosufficienza, abbiamo fatto pressione sugli enti locali per incrementare i servizi alla persona. Tutte politiche che incentivano la conciliazione, flessibilità di orario e politiche sociali a livello centrale. Quando parliamo di servizi sociali ci riferiamo principalmente alle donne perché sappiamo che il servizio di cura è affidato loro seppure erroneamente. Voglio ricordare che questi sono servizi alla famiglia, con queste politiche si intende aiutare la società , non le donne. Noi ci dichiariamo sindacato dei cittadini e la nostra politica è orientata proprio a dare servizi alla famiglia e quindi alle persone.
{{Secondo i dati della Banca d’Italia le donne guadagno fino al 30% in meno rispetto agli uomini. L’articolo 37 della Costituzione parla di parità di diritti e di retribuzione della lavoratrice e del lavoratore tradotto successivamente in legge con la 903/77. Come è possibile che il sindacato dopo trent’anni dall’entrata in vigore di questa norma non sia riuscita di fatto a tutelare i diritti delle lavoratrici, anche di quelle stabili?}}
La costituzione garantisce a parità di lavoro la parità di salario. Sarebbe incostituzionale qualsiasi altra norma. I contratti prevedono la parità salariale, ma differenziazioni tra uomini e donne esistono di fatto. Sebbene il salario base sia il medesimo è quello legato alla produzione, alla produttività e alla presenza, ad incidere fortemente sulla busta paga di un lavoratore. La produzione e la produttività è calcolata sulla presenza e sulla quantità di ore lavorate, non sulla qualità ; è questo a determinare il differenziale salariale. La donna è relegata ad un dato ruolo, le è stata affidata la famiglia. La presenza della donna sul lavoro è quindi discontinua. La scarsa richiesta di contributi in base alla legge 53 sulla flessibilità dell’orario per conciliare lavoro e famiglia è un esempio calzante di come viene interpretata la produttività . I soldi sono tornati indietro perché le richieste non sono state tali da esaurire gli stanziamenti. Le aziende non considerano la maternità o l’assistenza agli anziani come un valore sociale. Una donna accudendo i figli offre un servizio alla società perché i bambini di oggi sono i cittadini di domani. In Italia questo concetto stenta a prender piede mentre è acquisito in altri paesi.
{{Lei fa parte di alcune commissioni a livello europeo. In che misura l’Italia si distingue negativamente e/o positivamente rispetto agli altri paesi europei?}}
La situazione italiana non è molto diversa rispetto agli altri paesi europei. I problemi esistono dappertutto. In Italia abbiamo norme di legge che consentirebbero la conciliazione, l’incremento del lavoro femminile, però non vengono attuate. Non capisco quali siano i meccanismi che ne impediscono l’attuazione. Rispetto ad altri paesi sulla carta abbiamo la norma migliore, però all’atto pratico siamo in una situazione peggiore. Sembra assurdo, ma è così. Molti paesi non hanno leggi sulla materia ma accordi che consentono maggiore flessibilità , maggiori possibilità di carriera, più servizi sociali. Questi servizi permettono alle donne di lavorare con serenità . Sappiamo che lo stress non favorisce la produzione e la produttività . Una donna stressata dall’impossibilità di far conciliare lavoro e famiglia non può raggiunge l’alto livello di produttività richiesto. L’uomo invece non ha questi problemi, ha la possibilità di andare a lavorare tranquillo. Questi squilibri devono essere superati con servizi sociali adeguati e possibilità di avanzamento di carriera, la segregazione orizzontale, sempre le stesse mansioni, non è accettabile. Ci sono tanti esempi di carriere troncate perché certi compiti per tradizione sono affidati alla donna. Da dieci anni a questa parte abbiamo fatto molti passi indietro: datori di lavoro che chiedono alle donne, al momento dell’assunzione, se hanno intenzione di sposarsi o di avere figli e che fanno compilare lettere di licenziamento in bianco; l’aumento della disoccupazione giovanile. Questi sono segnali preoccupanti, ci troviamo di fronte a fenomeni che pensavamo scomparsi ma dal numero di denunce che ci pervengono il dato è allarmante.
{{Le lavoratrici non sono solo madri. Il differenziale salariale e la difficoltà nell’avanzamento di carriera riguarda, anche se in misura minore, le lavoratrici che non hanno figli. Non guadagnano abbastanza per realizzare un progetto di vita, qualsiasi esso sia. Non hanno scelta.}}
E’vero. E’ un fatto dovuto a ragioni culturali e all’organizzazione del lavoro. Le donne sono inseriti in processi produttivi che hanno un’organizzazione del lavoro tipicamente maschile. Da sempre le fabbriche, le aziende, la p.a è gestita da uomini che non fanno emergere le qualità delle donne. Il vertice maschile le ostacola. A parità di pregi si preferisce un uomo ad una donna perché è il capofamiglia. Come sindacato dobbiamo interferire nell’organizzazione dell’azienda, del lavoro. Noi donne abbiamo valori diversi rispetto agli uomini, dal punto di vista culturale siamo più avanzate, abbiamo di più il senso della famiglia, della qualità della vita. Le donne, anche quelle che non hanno famiglia, non dedicano tutta la vita al lavoro, vogliono vivere tutte le altre sfere della vita. Gli uomini invece, pur avendo una famiglia, dedicano tutto il loro tempo all’azienda perché per loro viene prima di tutto. E’ questa la diversità di valori di cui parlo. Il tempo che si dedica all’azienda è importante però non si può arrivare a cinquanta anni, dopo15-30 anni di lavoro, stressati perché si è già dato tutto. Bisogna dare il massimo senza rinunciare a tutto il resto per vivere decentemente. La competizione sfrenata è un valore negativo. Il lavoro è il fondamento della società. Tutti dobbiamo lavorare, tutti dobbiamo contribuire per il benessere della nazione, ma farne l’unica ragione di vita non credo assolutamente che sia giusto.
{{In Italia il 60 % dei lavoratori che hanno contratto atipico sono donne, si richiede loro una disponibilità continua, lavorano più ore rispetto agli uomini e guadagnano meno. Come si pensa di tutelare le lavoratrici prive di diritti?}}
Il problema del lavoro atipico lo abbiamo affrontato con il governo in questa finanziaria. Noi siamo favorevoli alla flessibilità ma non siamo favorevoli al fatto che diventi precarietà. Abbiamo consentito alle aziende di usufruire della flessibilità in un momento di crisi economica, industriale e occupazionale per farle riprendere. Loro invece hanno utilizzato la flessibilità per abbassare il costo di lavoro. Questa degenerazione era ben lontana dall’idea del legislatore. Questa situazione ha comportato grande disagio per i giovani, le lavoratrici e i lavoratori. Stiamo correndo ai ripari. In finanziaria l’abbattimento del cuneo è destinato alle imprese che trasformano il lavoro a tempo determinato a tempo indeterminato. Questa manovra è frutto di una pressione del sindacato a far prendere coscienza al governo della situazione. Gli industriali hanno fatto molta resistenza perché a loro fa comodo questa situazione, sono convinti che la mancanza di sicurezza porta ad una maggiore produttività . Questo può essere vero nel breve periodo per l’angoscia, la paura di perdere il posto, ma crea disagio tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato. Questi ultimi, a differenza dei lavoratori con la certezza del contratto, sono disposti a lavorare più ore rispetto a quelle pagate, a fare lavori al di sotto della loro qualifica pur di non perdere il lavoro. Questo è sfruttamento! La flessibilità non deve scomparire, deve essere trasformata per quello per cui è nata. La flessibilità deve essere pagata di più del tempo indeterminato. A meno che non ci siano tutti i presupposti per cui era nata la legge Biagi, un datore di lavoro non ha più convenienza a prendere un lavoratore a tempo determinato. Con l’introduzione delle tutele, nel privato i collaboratori a progetto hanno le ferie, la malattia, la maternità come tutti gli altri lavoratori. Nel pubblico, purtroppo, abbiamo ancora la collaborazione coordinata e continua, ma stiamo cercando di eliminare queste forme di sopruso. Per esempio, nella sanità abbiamo contrattato affinché migliaia di lavoratori a progetto, con la collaborazione coordinata e continua diventino a tempo indeterminato. C’è la volontà da parte del governo, messo sotto pressione dal sindacato, di superare gradualmente queste forme ingiuste che creano iniquità inammissibili.
{{Qualcosa è stato fatto ma continuano a sussistere disparità enormi tra lavoratori/trici atipici/che e lavoratori/trici stabili per quanto riguarda la malattia (non c’è copertura per le malattie brevi e quelle lunghe), la maternità (non tutela le gravidanze a rischio e la maternità . La l. 1204/71 stabilisce il divieto di licenziamento dal primo mese di gravidanza fino al compimento di un anno del bambino) e l’aliquota contributiva (10% in meno rispetto al lavoro stabile). Le tipologie contrattuali della legge 30 non sono anticostituzionali agli artt. 1,.3, e 37 della Costituzione?}}
E’vero che i lavoratori a tempo non hanno gli stessi diritti, ma abbiamo iniziato a dare loro un minimo di diritti. Non avevano malattia, non avevano ferie, non avevano neanche quel minimo di maternità. Stiamo procedendo a piccoli passi fino ad annullare questi tipi di contratti. Facendoli costare di più, l’azienda non avrà più convenienza a stipularli. E’ stato uno sfruttamento. A mio figlio hanno fatto un contratto a progetto per quattro volte. E’ stato sempre precario. Ha 32 anni e solo adesso ha trovato un lavoro a tempo indeterminato ma non in quella azienda. Dopo otto anni si è stancato di questi contratti e si è licenziato. Un controllo da parte di chi é preposto andrebbe fatto perché un progetto non può essere portato avanti all’infinito. Se un contratto a progetto viene rinnovato per più di due volte vuol dire che quella persona è necessaria. Mantenere quella tipologia contrattuale è uno sfruttamento, non è flessibilità! La terza volta che si rinnova il contratto con la stessa qualifica deve essere a tempo indeterminato.
{{Per restituire dignità al lavoro e garantire parità di diritti a tutti/e non sarebbe meglio abrogare la legge 30?}}
Dobbiamo rivedere la legge Biagi. Era stata considerata la possibilità di abrogarla ma la Confindustria non ci sta. Secondo noi alcune tipologie di lavoro possono essere mantenute con alcuni paletti, altre vanno annullate perché non sono mai state utilizzate. Questa legge va rivista, ma all’interno del governo e del sindacato ci sono posizioni differenti. Noi del sindacato ci stiamo avvicinando, faremo proposte unitarie su questa legge. Spero che anche il governo trovi una posizione univoca. Per ora sono previsti incentivi economici alle imprese e sgravi fiscali per assumere a tempo indeterminato. Lo sfruttamento deve scomparire, non siamo più ai tempi dei negrieri che il lavoratore deve lavorare zitto e basta! Credo che ci sarà una ripresa economica, gli industriali saranno più benevoli nel concedere. Dobbiamo sederci al tavolo e rivedere la legge 30, non ci sono dubbi, ma è già nel programma del governo e del sindacato.
{{I lavoratori e le lavoratrici atipici che lavorano in piccolissime realtà o in piccolissime società e aziende sono i meno tutelati/e, a chi si possono rivolgere?}}
Naturalmente al sindacato. Io vengo da un piccolo comune di trentamila abitanti. I precari sono il doppio dei lavoratori a tempo indeterminato. Con i tagli della finanziaria, il comune si è trovato di fronte all’esigenza di dover licenziare. Molti precari, alcuni da oltre 6 anni, avrebbero perso il posto di lavoro. Noi del sindacato ci siamo opposti. Abbiamo concordato che fosse rinnovato per il momento il contratto atipico perché non era possibile assumerli tutti. So che è difficile dire a lavoratori che hanno lavorato per anni senza diritti e senza tutele di aver pazienza. Noi però ci siamo assunti l’impegno di risolvere questo problema nel giro di due o tre anni senza licenziare nessuno. I problemi non si risolvono con la bacchetta magica, bisogna programmare. I tavoli di contrattazione sono aperti ma non ci siamo solo noi, c’è Confindustria, Confcommercio e Confartigianato. Nelle piccole imprese, invece, non ci siamo come sindacato, quindi è difficile intervenire. Credo che stiamo andando nella giusta direzione. Non si è potuto fare quanto avremmo voluto ma abbiamo intrapreso un cammino. La parità e la dignità del lavoro deve essere messa in evidenza. Abbiamo un governo che ci dà ragione, il ministro del Lavoro è un ex sindacalista, e penso che più di lui nessuno possa capire la situazione, stiamo lavorando insieme per risolverla.
{{Come valorizzare il lavoro svolto da ogni precario/a, e riconoscere ad ognuno/a di loro ciò che gli/le spetta?}}
Nessuno ha mai messo indubbio il lavoro svolto dai precari. Hanno incrementato la produttività , lo riconoscono anche i datori di lavoro. Il lavoro precario ha consentito la ripresa economica e il calo della disoccupazione anche se a discapito di diritti e tutele. Bisogna vedere cosa c’è sul piatto della bilancia. Un giovane piuttosto che non lavorare preferisce lavorare a tempo determinato, più ore di quelle pagate, subire. E’ vero che non è stato valorizzato quello che hanno fatto. Hanno dato un forte contributo al risanamento, hanno dato un beneficio alle imprese. Questo è stato riconosciuto a livello sociale, ma a livello personale non hanno ricevuto la giusta ricompensa. A loro non è stato dato niente, sono stati solo sfruttati. Il riconoscimento può esserci solo stabilizzando il posto di lavoro. Avendo dato un contributo, i precari del pubblico saranno assunti tramite concorso, è questa la modalità di accesso, ma avranno un titolo preferenziale rispetto a coloro che si candidano dall’esterno. Nell’azienda privata il rapporto di lavoro verrà rinnovato a tempo indeterminato grazie agli incentivi. Sanare tutte queste situazioni è già un riconoscimento. Se non ci fosse stato quel sacrificio da parte del lavoratore nel dare così tanto e ricevere così poco, forse, non ci sarebbe stato tanto impegno da parte del sindacato e dei datori di lavoro. Molti premono per la risoluzione di certi problemi. Cerchiamo di superarli insieme con intelligenza, con piccoli passi e con la volontà politica. Con la controparte si ragiona, se alla Confindustria si lascia un piccolo margine di discrezionalità per quanto riguarda la flessibilità, è disposta a parlarne. Arriveremo ad un accordo che accontenta tutti, il lavoratore, il datore di lavoro e il governo.
{{Per quanto riguarda la riforma delle pensioni?}}
La riforma Dini ha già ridotto drasticamente le pensioni ai giovani, sarebbe indecente ridurle ulteriormente. Col nuovo sistema i lavoratori che andranno in pensione con il contributivo, prenderanno il 45% della pensione di un lavoratore con il retributivo. E’ necessaria un’integrazione. Il sistema delle pensioni integrative però è partito in ritardo, per cui la generazione dei 35/40enni di adesso avranno una pensione da fame. Pensare di ridurre ulteriormente le pensioni è impensabile. Secondo noi non è necessario rivedere le aliquote né allungare la vita lavorativa. E’vero che la vita si è allungata, però la gente non va in pensione a 57 anni. Si è detto di voler arrivare a 60 anni, ma se si fa la media tra chi va in pensione a 57 anni, a 65 e a 67, ci siamo già a 60 anni. Non siamo diversi dagli altri paesi europei. Questa necessità sbandierata di intervento non si capisce. I tagli li vedremo tra vent’anni quando andrà in pensione la gente con il contributivo. Abbiamo fatto i conti e non c’è problema di costo perché tra vent’anni i costi saranno dimezzati. Non c’è bisogno di aumentare l’età pensionabile, se lasciamo la libera scelta, sicuramente la gente non andrà in pensione, considerata l’enorme richiesta di rimanere col bonus. Queste sono le motivazioni che ci fanno dire: discutiamo tutto quello che volete ma non toccate le pensioni. Abbassare le aliquote non è pensabile, la legge Dini ha già dimezzato le pensioni.
{{Politici, giornalisti, sindacalisti, professori universitari, magistrati e tanti altri spesso lavorano fino ad ottant’anni e oltre. Questo non ostacola l’ingresso dei giovani? I costi sociali della precarietà sono altissimi. Nessuno prende atto che questa resistenza danneggia tutta la società ?}}
I parlamentari, i giornalisti e i magistrati sono sempre andati in pensione ad una età avanzata, ma questo non ha mai vietato ai giovani di fare carriera. Oggi è più difficile perché ci sono più laureati di ieri. I posti di cui parliamo sono riservati a gente con un grado di cultura superiore e con capacità. I giovani di oggi sono molto preparati, per cui ci sono più persone che aspirano a quei ruoli. L’interesse per il lavoro manuale sta diminuendo, la stragrande maggioranza si riversa in professione più prestigiose, quindi c’è più difficoltà ad inserirsi. Le persone che svolgono un lavoro intellettuale hanno sempre avuto carriere più lunghe rispetto a coloro che svolgono un lavoro manuale. Questa difficoltà dipende dalla grande richiesta nel proporsi per quei lavori. I giovani sono più orientati ad affrontare carriere intellettualmente elevate piuttosto che lavori manuali.
{{Come tutelare gli immigrati e le immigrate che lavorano nella cura e nei lavori manuali?}}
Noi ci siamo posti la domanda di chi accudisce i figli delle donne cui affidiamo i nostri figli. Questi lavori manuali e di cura sono affidati alle immigrate e agli immigrati perché le/i giovani italiani, avendo studiato, non vogliono fare più questi lavori. Non è esatto dire che non hanno tutele. Le badanti hanno un contratto, diritti e tutele. Il problema è il lavoro nero, l’emersione del lavoro nero. E’ difficile farlo emergere perché molto spesso si tratta di immigrati clandestini, non vogliono essere messi in regola perché non sono entrati in Italia regolarmente. Ma oggi i datori di lavoro che impiegano manodopera in nero sono perseguiti penalmente, le fabbriche vengono chiuse. Stiamo cercando di combattere situazioni difficili da tutelare. Nell’azienda il sindacato c’è. Se la donna sfruttata ricorre al sindacato la tuteliamo, facciamo le rivendicazioni del caso. Noi abbiamo un servizio immigrati per far conoscere loro i diritti, le norme e le regole vigenti. E’ la coscienza dei cittadini che dovrebbe cambiare, dovrebbero stipulare rapporti chiari in base ai contratti e alle leggi.
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