La quotidiana responsabilità della parola
Quando gli articoli vengono letti molto meno dei titoli che li introducono,”Droga in casa, la madre fa la spia. I carabinieri trovano nella camera di un ragazzo un chilo di hashish e anfetamine e lo arrestano” (Gazzetta di Mantova, 23/5).
{{Fare la spia}}, ci insegnavano da bambini, è una cosa orribile e gli spioni sono sempre stati considerati degli ‘infami’. Il dizionario ci dice che il termine “è usato oggi in senso odioso. Colui che prezzolato riporta alla giustizia gli altrui delitti. Delatore”. Infame, quindi, la madre che chiede aiuto ai carabinieri per tirar fuori il figlio da una spirale di distruzione? Non ci pare proprio; se mai coraggiosa, capace di comprendere i propri limiti, capace di indignarsi. Quanto dolore le sarà costato? Quante madri dovrebbero farlo e invece si sottomettono ai ricatti affettivi, ai sensi di colpa, alla vergogna e vedono i propri figli andare alla deriva distruggendo anche altre vite. Certo, non è detto che il carcere aiuti; ma le comunità di accoglienza hanno salvato tanta gente.
Come può un giornale dire che “fa la spia” chi si rivolge alle Forze dell’ordine per salvare delle vite? {{Ci si rende conto di quali realtà stanno dietro lo spaccio e l’uso della droga? }} Comprendono i giornalisti a quale cultura alludono con titoli come questo, in giorni che dovrebbero essere consacrati alla cultura della legalità e alla lotta alle mafie?
Ma {{la richiesta di legalità, purtroppo, non fa notizia}}: la manifestazione indetta il 23 maggio dall’associazione Libera, dai sindacati e da tante altre sigle nel ventennale della strage di Capaci non è stata nemmeno annunciata dai quotidiani locali; e la notizia della mobilitazione spontanea di sabato 19, dopo l’attentato davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, ha avuto meno spazio dei venti militanti leghisti che si sono radunati nelle stesse ore davanti all’Albergo Bianchi.
Del resto, a convocarli lì, ha contribuito un altro titolo ‘memorabile’: {Profughi in rivolta contro la pastasciutta} (Gazzetta di Mantova, 7/5), che ha acceso gli animi padani giocando su un equivoco che il giornale stesso ha chiarito due giorni dopo: {Profughi. Ecco il caos dell’accoglienza } (9/5), nel quale le parole del responsabile del Centro d’accoglienza San Luigi, allestito dalla Caritas e dell’assessore provinciale Elena Magri hanno chiarito il dramma di persone che, in fuga dalla Libia senza documenti e senza prospettive di ritorno in patria, sono state costrette a fare richiesta d’asilo politico da un decreto dell’allora ministro degli Interni Maroni, mentre avrebbero potuto godere di un più veloce permesso umanitario.
Ma tant’è, ormai nel senso comune sono quelli della{{ “rivolta della pastasciutta”}}. E purtroppo gli articoli vengono letti molto meno dei titoli che li introducono
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