La rappresentanza e le donne
L’assenza delle donne nelle istituzioni prima, la loro esigua presenza poi, costituiscono uno “scandalo antico”, per citare Maria Luisa Boccia. Ed i tentativi di porre fine a tale esclusione partono da lontano. Tanto per ripercorrere insieme alcuni tratti di una storia lunga e travagliata, ricordiamo qui che {{Anna Maria Mozzoni}}, nel 1877 e nel 1906, presentò al Parlamento Italiano due petizioni per il voto politico alle donne perché, usando le sue parole, “la giustizia che suona così alta nei discorsi elettorali, non riguarda che gli elettori, e non si estenderà fino a noi se non quando e in quanto saremo elettrici”.{{ Il diritto di voto}}, quindi, perché la donna non “rimanga perennemente inchiodata alla croce delle secolari esclusioni”.
Le petizioni, naturalmente, vennero respinte dai parlamentari, tutti uomini ben consci dei loro alti e virili compiti, come del resto avevano avuto sorte negativa gli altri tentativi, espletati, a partire dall’unità d’Italia – dal 1861 al 1906 –, per attribuire il diritto di voto alle donne.
Quando il {{Governo Depretis}}, nel 1881, preparò un progetto per l’estensione del diritto di voto, l’onorevole Zanardelli, nella discussione alla Camera, con un discorso molto applaudito, pose la questione del voto alle donne, negandone la possibilità, nei seguenti termini: “La donna è diversa dagli uomini, essa non è chiamata agli stessi uffici, non è chiamata alla vita pubblica militante, il suo posto è la famiglia, la sua vita è domestica, le sue caratteristiche sono gli affetti del cuore che non si convengono coi doveri della vita civile”.
_ Eppure Depretis e Zanardelli erano la sinistra di allora, una sinistra borghese e liberale, ma pur sempre una componente politica progressista. Del resto, fra i socialisti, un po’ di anni dopo, non andò poi granchè meglio.
L’esclusione delle donne dall’esercizio dei diritti politici elettorali, come sappiamo, ha radici antiche, in quanto deriva dalla concezione tradizionale, di {{impronta “romanistica”}}, che identifica{{ il femminile con il privato domestico e il maschile con la gestione della cosa pubblica}} – alla donna la Natura, all’uomo la Storia -.
_ Le donne furono relegate nell’ambito della famiglia perché, lo dice bene {{Chiara Saraceno}}, “esse dovevano garantire, creare, prendersi cura di, ma anche simbolizzare la sfera privata, cioè il luogo della individualità e della differenza degli uomini”.
Che il {{cittadino titolare dei diritti politici si identificasse completamente con il maschio bianco, adulto, proprietario}}, è testimoniato con chiarezza dalle vicende del primo suffragismo americano, che ebbe stretti contatti con il movimento per l’abolizione della schiavitù dei neri.
_ Come ha osservato {{Anna Rossi Doria}}, {{donne e neri erano esclusi dalla cittadinanza}} anche per le loro immodificabili caratteristiche fisiche, che li rendevano “anomali” rispetto al modello del cittadino.
_ Soltanto con{{ decenni di dure lotte siamo potute/i giungere ad un effettivo suffragio universale}}, che però non ha eliminato molti degli elementi di discriminazione.
{{In Italia ci vorranno la Resistenza e l’affermarsi della democrazia, nel 1945}}, perché, finalmente si apra la strada al voto alle donne.
_ Eppure il passaggio non è scontato: anche a sinistra si registra qualche incertezza, perché vi è il timore diffuso che le donne, immature, prive di coscienza di classe, influenzate dalla Chiesa, possano far vincere la Monarchia nel referendum e, successivamente, dare la maggioranza alle forze di destra e di centro.
Testimonianza “eccellente” in proposito è quella di {{Tina Anselmi}}, che era stata nelle formazioni partigiane cattoliche – “… le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è sempre stato un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica.”
La {{guerra e la Resistenza avevano provocato una rottura profonda dei ruoli e dei confini tra la sfera pubblica e quella privata}}, mutando la soggettività femminile molto più in profondità di quanto non possa risultare dalla rivendicazione della cittadinanza, portata avanti dalle associazioni e dai partiti (naturalmente non da tutti).
Le prime donne elettrici vivono il voto con emozione, come gesto di libertà, sottratto ai condizionamenti familiari e sociali. Acquista un valore simbolico essenziale la segretezza del voto, che permette di esprimere la propria individualità, compiendo una scelta fuori dai ruoli prestabiliti.
Ma la questione della diseguaglianza permane (nelle istituzioni e nella società).
Il riconoscimento del diritto di voto, anche se è stato un indubbio passo in avanti, non ha certo risolto il problema della disuguaglianza fra i generi, nelle istituzioni e nella società.
_{{ Permane una cultura patriarcale diffusa}}, da cui derivano gli attuali assetti, maschili, del potere ed una concezione della politica e del governare completamente declinata al maschile.
_ La violenza dell’uomo sulla donna, che si manifesta in primo luogo all’interno della famiglia, non è altro che l’atto estremo di tale dominio.
Nonostante, però, la conquista dell’elettorato attivo e passivo, le donne nelle istituzioni continuano ad essere largamente sottorappresentate.
In Italia la situazione risulta veramente preoccupante, basti pensare:
– alle {{percentuali infime delle sindache}}, delle presidenti di province e regioni, delle parlamentari,
al numero esiguo, nel Governo Prodi, delle ministre, di cui una sola con portafoglio, nonché delle sottosegretarie,
– all’{{inesistenza di segretarie di partito}} (escludendo i radicali, peraltro completamente atipici) e di segretarie di organizzazioni sindacali confederali, con l’eccezione dell’UGL, il che suona a discredito della sinistra.
Ma la scarsa presenza femminile nelle istituzioni non è il solo elemento di preoccupazione: siamo, infatti, all’{{84° posto nella classifica mondiale relativamente alla partecipazione femminile alla vita sociale}}, economica, politica e culturale del Paese.
_ Per quanto riguarda l’istruzione, va sottolineato che le donne hanno un rendimento scolastico superiore a quello degli uomini. Si laureano, infatti, in maggior numero e con voti più alti, sia nelle facoltà umanistiche che in quelle scientifiche.
_ La situazione, però, si capovolge nettamente nel mondo del lavoro: i livelli apicali sono, nella stragrande maggioranza, occupati da uomini.
Ciò, oltre a rappresentare una palese ingiustizia, è un danno per l’intera società, come ci fa notare{{ Luisa Rosti}}: “La società infatti sopporta un costo in conseguenza della scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali: il costo dovuto al mancato utilizzo di metà della potenziale intelligenza di cui la società dispone, che non produce i suoi benefici effetti decisionali. …ogni posizione apicale lasciata libera da una donna sarà occupata da un uomo meno capace di lei…”
E’ stata la {{[Quarta Conferenza Mondiale sulle donne, svoltasi a Pechino->http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c11903.htm]}} nel 1995, a inserire tra gli{{ obiettivi strategici}} la richiesta ai Governi di impegnarsi per “l’applicazione di misure volte ad aumentare considerevolmente il numero di donne allo scopo di raggiungere una pari rappresentanza di donne e di uomini in tutte le cariche governative e della Pubblica Amministrazione”.
Deriva dal {{Piano di Azione frutto della Conferenza di Pechino}}, e dalla precedente [Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna->http://www.fondfranceschi.it/documenti_legislativi/donne_genere/ffright.2006-05-17.4559787277] (del 1979), il percorso veloce – fast track – per incrementare l’ingresso delle donne nelle assemblee elettive consistente nelle cosiddette “{{quote elettorali di genere}}”.
_ Si tratta di un approccio oggi assai diffuso nel mondo, grazie soprattutto alle pressioni ed ai vincoli di carattere internazionale, nonché alla forte azione di “lobbyng” dei movimenti delle donne nei diversi contesti nazionali. Ciò ha portato negli ultimi anni all’adozione di varie forme di quote in più di 80 Paesi.
Come risultato di tali politiche, ad esempio, il {{Ruanda}} si colloca al vertice della graduatoria relativa alla presenza delle donne nei parlamenti nazionali – superando Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca, cioè i Paesi che, per primi, hanno riconosciuto, all’inizio del 900, il voto femminile.
Con le quote si sono indubbiamente compiuti dei passi in avanti, ma anche il loro non è stato un cammino semplice.
_ In Italia un primo tentativo di imboccare la strada delle quote, quello esperito con le{{ leggi elettorali del 1993}}, è stato subito bloccato dalla[ Corte Costituzionale, che, con la decisione 422/1995->http://www.consiglioregionale.piemonte.it/labgiuridico/dwd/pubblicazione/pubblparita18_28.pdf], ha dichiarato incostituzionali tutte le norme contenute nelle leggi elettorali politiche, regionali, amministrative, che prevedevano, in forme diverse, una riserva di quote per le donne nelle liste elettorali – si dichiarava inammissibile ogni misura discriminatoria volta a diminuire “per taluni cittadini il contenuto concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si ritiene svantaggiato”.
In seguito il legislatore ha provveduto, con leggi costituzionali del 2001 e del 2003, ad introdurre nella Costituzione un vero e proprio Statuto delle pari opportunità nella rappresentanza politica.
Si afferma, infatti, con il [nuovo articolo 51->http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/attualita/frosini.html], che “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”, e, con il {{nuovo articolo 117}}, che “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.
Anche il {{Consiglio d’Europa}}, in una [raccomandazione del marzo 2003->http://www.retepariopportunita.it/Rete_Pari_Opportunita/UserFiles/Consiglio_Europa/Rec_2003_tradotto2.pdf], ritiene che una rappresentanza equilibrata di uomini e donne nei processi decisionali sia un’esigenza di giustizia evidente di per sé, rispetto alla quale non risulta necessario addurre giustificazioni ulteriori – “la parità dei sessi è elemento costitutivo, non negoziabile, della democrazia” -.
{{Il “50 & 50”, per una democrazia paritaria}}
Quindi, prima ancora che nell’interesse delle donne, è per uno sviluppo pieno della democrazia che nelle istituzioni, come nella società, a livello apicale, devono essere rappresentati nella stessa misura uomini e donne.
E’ questo un concetto su cui insiste efficacemente {{Lorenza Carlassare}}: “Un sistema nel quale la maggioranza dei cittadini della Repubblica – e le donne sono la maggioranza – non ha né potere né voce essendo praticamente assente nelle sedi in cui le decisioni vengono assunte, presenta un’anomalia tanto marcata da renderne impossibile il corretto funzionamento”.
_ Rispetto alla situazione, creatasi nei fatti, che corrisponde ad una sorta di monopolio maschile della politica, soltanto una normativa “antimonopolistica”, sostiene ancora Lorenza Carlassare, sarà in grado di dare soluzione al problema, ponendosi l’obiettivo della partecipazione paritaria, senza distinzioni di sesso, alla vita democratica, come previsto dalla nostra Costituzione.
E’ sulla base di tali considerazioni che l’Unione Donne in Italia ha lanciato la [campagna “50 & 50 ovunque si decide”->http://www.50e50.it/home.htm] e ha presentato la proposta di legge di iniziativa popolare “Norme di democrazia paritaria per le assemblee elettive”.
I 5 articoli di cui si compone la proposta prevedono, appunto, {{meccanismi paritari nella indicazione delle candidature in ogni consesso politico elettivo}}, con la prescrizione della irricevibilità delle liste nel caso che il meccanismo paritario non venga rispettato.
Si pone la questione della rappresentanza nel contesto di un {{nuovo patto di cittadinanza fondato su due generi}}, anziché su di uno solo: una democrazia fondata finalmente sulla cittadinanza duale.
_ Non si tratta più, quindi, di quote “rosa”, che fanno pensare alle donne come parte di una categoria, di un gruppo sociale, di una minoranza debole da tutelare. Si parte dall’assunto che le donne sono una parte dell’umanità, alla pari degli uomini, e che, alla pari degli uomini, nessun accesso deve essere loro negato.
Se ciò si concretizzasse davvero, non assisteremmo più, per esempio, al triste spettacolo mostratoci da Prodi al momento della costituzione dell’attuale Governo, quando, per nominare 6 ministre, ha dovuto aumentare il numero dei ministeri.
Si hanno sempre gli stessi volti maschili, sempre più anziani, che passano da una carica ad un’altra, da un partito ad un altro, da un polo all’altro, pur di rimanere al potere.
Come sostiene Pina Nuzzo, attuale presidente nazionale dell’UDI, “ perché per ogni donna che vorrà la parola, un uomo dovrà tacere, per ogni posto che una donna vorrà occupare, un uomo dovrà farsi da parte”.
Non sarà facile, la “gerontocrazia politica maschile”, come la nomina Chiara Saraceno, è molto salda. Ma dal suo abbattimento, ne trarrà vantaggio prima di tutto la democrazia.
{{Rappresentanza e rappresentazione}}
Il Movimento femminista, nell’ultimo scorcio del secolo scorso, ha reso visibili e operanti, nella scena pubblica ed istituzionale, le relazioni fra donne, facendo assumere rilevanza politica alla questione della rappresentanza femminile come punto centrale per scardinare l’ordinamento politico e statuale imposto dal patriarcato.
_ Nel dopoguerra le donne, votando, partecipando, seppure relegate in secondo piano, alla vita politica, essendo attive nei partiti, nei sindacati, nell’associazionismo, hanno dato vita a loro movimenti; hanno proposto e ottenuto riforme sociali e civili; si sono inventate, propri linguaggi e forme di aggregazione; hanno {{accumulato così, in relazione al rapporto con la politica e la democrazia, un patrimonio di conoscenze}} che ha prodotto un vero e proprio salto di qualità rispetto alla situazione precedente.
_ La stessa azione per il riequilibrio della rappresentanza assume in maniera esplicita la radicalità del conflitto tra i sessi, senza rimozione alcuna e con l’obiettivo di realizzare una nuova responsabilità dei generi verso se stessi, verso l’altro e verso gli altri. Diviene essenziale, per rifondare insieme il sistema democratico, che si parta dalle relazioni umane.
Essere nelle istituzioni in numero consistente non deve rispondere, di conseguenza, ad un’esigenza di redistribuzione fra i sessi di un potere sempre uguale a se stesso, ma occorre, piuttosto, che{{ renda presente la differenza al fine di scompaginare l’ordine istituzionale}}, portando all’interno degli organismi di rappresentanza il frutto delle esperienze prodotte nei luoghi delle donne.
_ In questo caso, la quantità può fare la qualità, può spostare gli equilibri, cambiare le agende politiche. E solo così sarà possibile rappresentare pienamente la differenza politica.
_ {{Maria Luisa Boccia}} ha espresso questo concetto in modo incisivo: “Esserci in molte è certo importante… Ma {{solo il circolo virtuoso di presenza e riconoscimento può portare a visibilità e significazione}} che il mondo, in tutte le sue forme, è abitato da donne ed uomini”.
{{- Bibliografia}}
– Giuditta Brunelli, 2006, {{Donne e politica}}. Il Mulino, Bologna.
– Lorenza Carlassare, Alessandro Di Blasi, Marco Giampieretti, 2002{ La rappresentanza democratica nelle scelte elettorali delle regioni}
– Luisa Rosti, 2007, “{Se sei così brava, perché non sei ricca? Differenze di genere nei rendimenti scolastici e nelle retribuzioni dei laureati} “ in ISFOL (a cura di) “{Esiste un differenziale retributivo di genere in Italia? Il lavoro femminile tra discriminazioni e diritto alla parità di trattamento}”, Power & Gender, I libri del Fondo sociale europeo, Roma..
– Maria Luisa Boccia, 2002,{ La differenza politica. Donne e cittadinanza}. Il Saggiatore, Milano.
– Tina Anselmi, {C’era una grande attesa. 1946: Il voto alle donne in Italia}, Storia delle donne,2, 2006 (Conversazione tra Tina Anselmi e Dinora Corsi, 20 giungo 2006).
– Tina Anselmi, Anna Vinci, 2006, Storia di una passione politica. Sperling & kupfer Editori, Milano
– {I diritti delle donne sono diritti umani. La Conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995 e il Pechino+5}, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Nazionale per le Pari Opportunità tra uomo e donna.
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