La resistenza del sorriso: le lotte delle donne curde in Irak, Siria, Europa
Un evento di grande valore politico sabato scorso (11 ottobre) alla Casa internazionale delle donne: le esperienze di lotta, di resistenza, di crescita politica e organizzativa delle donne curde raccontate dalle protagoniste in un’assemblea affollata e molto partecipe. Non è stato solo un momento di solidarietà internazionale, l’originalità dell’incontro sta nel fatto che sono donne che combattono contestualmente sia “l’invasore” che il sistema patriarcale, che praticano la libertà in un contesto di guerra e sono loro stesse partigiane in armi, combattenti in unità militari esclusivamente femminili.
Donne belle, donne in divisa, “nuove amazzoni”: ne fanno un caso i media occidentali, le loro foto sono dovunque. Ma, secondo la solita rappresentazione “orientalista” – hanno detto le donne curde intervenute- sono gli stessi media che omettono le vere motivazioni della loro resistenza, non conoscono e non riconoscono i loro percorsi politici e culturali.
Il nemico terribile è oggi l’Isis – letteralmente Stato Islamico dell’Iraq e del Levante – truppe militari per la restaurazione e l’espansione del califfato in Medio Oriente, che oggi occupa già 27 città dell’Irak e della Siria, che compie vere e proprie opere di pulizia etnica e genocidi – è stato proiettato un video sul massacro degli Ezidi a Sengal- e che sta conquistando la città di Kobani, in uno dei cantoni della regione curda di Rojava.
La lotta delle donne curde contro l’Isis è lotta contro la sua ideologia e le sue pratiche: integralismo religioso contro le donne, femminicidi, donne rapite, donne stuprate, donne schiavizzate, donne vendute al mercato per 300 dollari.
Questa capacità di lotta è cresciuta negli anni: fin dagli anni 80, all’interno della lunga resistenza curda, le donne si sono progressivamente organizzate autonomamente. Hanno trasformato i valori del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), sostenute anche dalle innovazioni politiche e culturali elaborate in carcere dal capo del Pkk, Abdullah Ocalan: sulla schiavitù economica e ideologica della donna, sul dominio patriarcale dello Stato e all’interno delle famiglie, sul nesso patriarcato-stato- capitalismo e guerra; Ocalan che metaforicamente ha indicato di “uccidere il maschio dominante”. E hanno cambiato il volto di Rojava, il territorio della rivoluzione femminile, il luogo dell’autonomia democratica, della democrazia radicale contro il potere degli apparati dello Stato, della non violenza, della partecipazione dal basso, del controllo dal basso perché non si ripresentino le gerarchie di potere (Havin Guneser), un luogo plurietnico, di convivenza tra curdi,arabi, turcomanni, cristiani, armeni, dove le categorie sociali e i rappresentanti delle comunità etniche partecipano in egual misura all’amministrazione della regione. Un luogo dove non si tollerano matrimoni forzati,matrimoni precoci, poligamia, violenza domestica. Un luogo dove le donne, organizzandosi in unità militari autonome, hanno sfidato la mentalità corrente che le accusava di violare le famiglie e il ruolo riservato agli uomini.
E contro questo esperimento democratico l’Isis, che ha un’ideologia radicalmente opposta, non poteva che scatenarsi. L’Isis è stato definito da Dilar Dirik,intervenuta al convegno, forza d’impatto della modernità capitalista, mentre in contrapposizione le donne costruiscono la modernità democratica.
Il contesto degli altri paesi continua ad essere ipocrita e contradditorio: la Turchia certo non difende Kobani e Royava, chiudendo le frontiere e reprimendo i curdi nel proprio territorio. Così come le potenze occidentali, che hanno finanziato e di fatto sostenuto l’Isis, senza poi oggi riuscire a controllarlo, fenomeno già accaduto con i talebani in Afghanistan e già visto in altri luoghi sottoposti all’ esercizio del postcolonialismo e dell’imperialismo.
Le donne curde sono organizzate a livello internazionale, sono donne che dall’estero contribuiscono a informare e denunciare le violazioni dei diritti umani che si stanno consumando nelle zone di conflitto. Insieme alle associazioni italiane hanno organizzato il convegno: la Fondazione internazionale delle donne libere e il Movimento internazionale delle donne curde, la cui rappresentante, Nursel Kilic, ha ricordato le tre donne curde assassinate a Parigi il 9 gennaio dl 2013, Fidan Dogan,Sakine Cansuz e Leyla Saylemez; ha raccontato il loro impegno e la loro storia. Ancora non si è fatta luce su questo assassinio politico.
La relazione con le tante donne che hanno partecipato al convegno e con le associazioni che insieme a quelle curde l’ hanno organizzato (Giuristi Democratici/Iadl, Casa internazionale delle donne, Associazione donne, diritti,giustizia; Senza Confine) è stata intensa e non è suonata retorica l’affermazione di Silem: “ le donne curde combattono per tutte le donne del mondo”, perché dietro queste parole c’erano gli interventi che hanno documentato lo spessore politico e culturale della loro resistenza all’Isis, intesa come resistenza sia al patriarcato che alla guerra.
Infine l’interlocuzione con Barbara Spinelli (Giuristi democratici) e Bianca Pomeranzi (Comitato Cedaw): entrambe hanno considerato i femminicidi perpetuati dall’Isis come crimini di guerra contro l’umanità; gli Stati hanno l’obbligo derivante dal diritto internazionale di prevenire e contrastare le violazioni dei diritti umani rivolte specificamente nei confronti delle donne come gruppo, anche nell’ambito di situazioni di conflitto (Spinelli).Così come ricordato dalla raccomandazione n.30 della Cedaw , la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, ratificata, oltre che dall’Italia e numerosi altri Stati del mondo, anche da Turchia, Siria ed Iraq. Insomma, nonostante le difficoltà, è importante il coinvolgimento degli Organismi internazionali (almeno commissione Cedaw, e sez. Umanitaria- ONU) , per affermare i diritti umani delle donne, per dare seguito alle varie risoluzioni ONU , dalla 1325 alla dichiarazione che i diritti delle donne sono diritti umani e che lo stupro di guerra è un crimine contro l’umanità (Pomeranzi).
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