La scomparsa di Bergman e Antonioni
Se ne sono andati, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, due figure chiave del Novecento: non solo del Dopoguerra, ma di tutto un secolo, segnato profondamente dal loro imprescindibile magistero artistico. Scompaiono insieme, quasi a suggellare un invisibile legame che li univa segretamente, questi Maestri del cinema europeo, la cui influenza ha plasmato intere generazioni di registi in ogni punto del globo (si pensi solo a quanto deve l’americano Woody Allen al primo, il cinese Wong kar-wai al secondo, oggi che l’Europa ha perso quel primato nella settima arte che proprio Bergman e Antonioni avevano contribuito in misura maggiore a conferirle negli anni ’50, ’60 e ’70, a favore dei nuovi poli d’attrazione rappresentati precisamente da USA e Cina).
_ Bergman e Antonioni avevano davvero molto in comune: sono stati, a ben guardare, i più fini cantori dell’Incomunicabilità al cinema e il loro sguardo lucidissimo, mai fiaccato dalle ragioni della retorica, ha puntualmente registrato in sequenze memorabili i vorticosi cambiamenti della società. Cambiamenti le cui ripercussioni si sono riverberate, {come in uno specchio}, non solo nella società e nel territorio, ma all’interno degli stessi protagonisti, rimarcando ogni volta l’incomparabile sensibilità di questi fini osservatori del reale, pure nei loro personaggi sempre antieroici (e antiretorici).
_ Un cinema, il loro, fatto di sguardi, piccoli gesti e silenzi, e a cui cui oggi, pare, non sappiamo più bene come guardare o rapportarci, poichè abbiamo smarrito gli strumenti utili a decriptarne in senso: e così questi artisti tanto attenti alla costruzione delle immagini che veicolano pensieri, sentimenti, riflessioni, vengono respinti in blocco poiché ritenuti “antispettacolari”, anche e soprattutto da chi si occupa di programmazione televisiva.
La prima fonte di incomprensione, per entrambi, scaturisce nel dialogo impossibile, ma sempre necessariamente, dolorosamente tentato, tra i personaggi maschili e quelli femminili delle loro pellicole. Film come {“Deserto Rosso”} o {“Scene da un Matrimonio”}, stanno lì a testimoniare la veridicità di quanto appena affermato e come, unitamente al tema dell’invasione della modernità nelle vite delle persone per l’italiano, della vana ricerca di Dio per lo svedese, sia stato sempre l’amore, l’altro grande {leitmotiv} della poetica di entrambi. Amori caduchi votati all’infelicità fin dal principio, in mondi in cui nulla può più ambire al sentimento dell’eterno. Una lezione tanto più valida ai giorni d’oggi, e difatti ripresa da molti, spesso senza la medesima verità d’eloquio e forza di penetrazione.
Sentiamo lamentare spesso di come nella stragrande maggioranza dei film si fatichi a trovare {{personaggi femminili ben caratterizzati, credibili, autentici}}, dal momento che le redini del gioco sono state, per lo più, tenute nella mani di registi uomini, che faticano tanto a capire i pensieri e le ragioni delle donne. Eppure esistono pochissime, notevoli eccezioni: autori come Truffaut, Fassbinder (che ci hanno, ahinoi, lasciati già da tempo), Bergman e Antonioni, ci hanno lasciato {{intere gallerie di affascinanti figure femminili}} che permangono radicate nella memoria. Certo, molto si deve al contributo reso dalle eccelse interpreti dei loro film, dirette a loro volta sempre con grande sensibilità da questi {{autori così attenti all’universo femminile}}: Ingrid Thulin, Bibi Andersson, Ingrid Bergman, piuttosto che Jeanne Moreau, Alida Valli, Lucia Bosé. E che dire, infine, dei felicissimi sodalizi artistici e umani tra i due cineasti europei e le loro intense, attrici predilette: di entrambi si ricorderà piuttosto il lavoro con le donne, che non con gli interpreti maschili. Monica Vitti e Liv Ullmann, compagne di vita e di lavoro: {{protagoniste di volta in volta forti, volitive, caparbie, oppure fragili, sofferenti, emotive}}. Impossibile, per loro, trovare comprensione nelle controparti maschili: ma dietro la macchina da presa, altri uomini sono invece riusciti sorprendentemente a registrare, comunicandocelo, quell’impercettibile, muto disagio di tante donne alla ricerca di un possibile spiraglio per entrare in contatto con i loro uomini.
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