La scuola, i gender studies e gli integralisti
Alcuni settori del mondo cattolico in Italia stanno sviluppando forme integralistiche di reazione alla diffusione dei gender studies nel dibattito delle idee e soprattutto nel contesto scolastico-formativo. “Il paese delle donne” ne ha già dato notizia, denunciando in particolare “l’aggressione” subita da alcune associazioni femministe romane che hanno promosso il corso “La scuola fa la differenza”. Non meno grave è stato l’intervento del Sottosegretario di Stato Miur, on. Toccafondi, che ha bloccato il programma UNAR contro le discriminazioni “basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”, programma avviato dalla Ministra Carrozza.
Il Direttivo della Società Italiana delle Storiche ha ritenuto di dover prendere posizione su questo, inviando una lettera all’on. Stefania Giannini, nuova Ministra dell’Istruzione, e all’on. Teresa Bellanova, che la ha delega alle PP. OO., non solo per segnalare le indebite ingerenze e il vuoto normativo in materia (le Indicazioni nazionali dei licei del 2010 hanno cancellato ogni riferimento a questi temi), ma anche per rivendicare l’importanza di promuovere l’educazione al genere come contributo ad una formazione civile e intellettuale più completa, per insegnare a riflettere sugli stereotipi sessuali e combattere i pregiudizi, per sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali ricevuti.
Sappiamo peraltro che si tratta di un terreno che resta ampiamente da dissodare, in Italia e non solo. In Francia, infatti, la polemica è arrivata prima che da noi. Qui una petizione promossa da Christine Boutin e sostenuta da 80 deputati e 113 senatori nel 2011 ha chiesto il ritiro dei manuali prodotti per l’insegnamento di “Sciences de la vie et de la terre”, dove è stata introdotta la distinzione tra sesso, genere e orientamento sessuale; peraltro dal 2010 le disposizioni per il “Programme d’Histoire-géographie” prevedono esplicitamente che l’insegnamento collochi al centro delle problematiche trattate gli uomini e le donne che costituiscono le società.
Ma perché tanto accanimento contro la categoria di genere?
Ipotizzando l’esistenza di un complesso teorico omogeneo di impianto costruttivista che viene definito «gender theory», molti organi cattolici vi individuano una visione politica della sessualità in stretta relazione con «l’attivismo omosessuale»; vi vedono un nesso strutturale col relativismo che caratterizzerebbe il mondo della cultura contemporaneo; ne temono le ricadute in relazione al dibattito circa un diverso ruolo delle donne nella Chiesa.
In alternativa alla «gender theory» questi stessi organi vanno articolando un discorso sulla {{differenza come luogo di realizzazione del soggetto}}, che tiene conto, almeno in parte, delle libertà femminili attuali, ma riprende gli assi della riflessione essenzialista propria della tradizione neotomista.
Si insiste così sulla differenza femminile e sulla valorizzazione della cultura delle donne con temi e atteggiamenti di fondo che possono avere punti di osmosi con talune ricerche femminili, e in molti casi se ne mutuano addirittura i linguaggi.
Si promuove la conoscenza di teorie e pensatori/trici che tendono a superare l’opposizione tra «destino biologico» e «libertà» e indicano la maternità come un’esperienza privilegiata, un modello universale di apertura all’altro.
Si denuncia inoltre l’esistenza di un presunto narcisistico «mercato dell’autofondazione sessuale», tanto che nel discorso al Pontificio Consiglio {{Cor Unum sul matrimonio}}, il 19 gennaio 2013, Benedetto XVI ha affermato che “L’insidia più temibile di questa corrente di pensiero è di fatto l’assolutizzazione dell’uomo che viene sciolto da ogni legame e da ogni costituzione naturale”, fino a pretendere di “essere indipendente, pensando che nella sola affermazione di sé stia la sua felicità”.
In realtà, come sappiamo, non esiste una “teoria del gender”: con questa categoria non si introduce tanto una particolare visione dell’essere uomo e dell’essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione.
{{La polemica contro il “gender” è però ancora più grave nel contesto formativo}}: oggi che nelle relazioni tra i sessi convivono stereotipi e fissità di fasi storiche precedenti, modelli di comportamento derivanti da ambiti antropologico-culturali anche molto distanti tra loro e nello stesso tempo schemi di comportamento violenti che si ritenevano superati, l’educazione al genere può davvero contribuire alla costruzione di una società più giusta e tollerante.
{{{Lettera aperta della Società italiana delle storiche alla ministra Giannini}}}
All’on. Stefania Giannini
Ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca
All’on. Teresa Bellanova
Sottosegretaria al Ministero del Lavoro
Vari organi di stampa e d’informazione hanno dato notizia del blocco deciso dal
Sottosegretario di Stato Miur, on. Gabriele Toccafondi, al programma UNAR contro
le discriminazioni “basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”,
programma avviato dalla Ministra Carrozza.
Altri episodi, istituzionalmente meno gravi, ma non meno rilevanti, hanno mostrato
in atto una campagna di mobilitazione di settori dell’opinione pubblica contro
l’introduzione della cosiddetta teoria del gender nelle istituzioni scolastiche del paese.
Vorremmo innanzitutto segnalare la parzialità e anche l’erroneità delle affermazioni
che hanno accompagnato questi episodi, precisando la complessità della questione
contro ogni pretesa riduzionistica.
Non esiste, infatti, una “teoria del gender”. Con questa categoria, usata in modo
fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l’ambito dei gender
studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell’essere uomo e dell’essere
donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le
realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e
articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della
differenza tra i sessi, la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia
un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di
esperienze, varie nel tempo e nello spazio.
Proprio per la sua notevole capacità analitica e il suo carattere non prescrittivo il
gender ha aperto nuove e importanti direttrici di ricerca che nella comunità scientifica
e nell’insegnamento superiore di molti paesi sono ormai riconosciuti e sostenuti, a
differenza di quanto accade nel nostro Paese: del resto, la disinformazione di cui
stiamo avendo prova in queste settimane conferma ampiamente il ritardo cumulato.
In Francia, ad esempio, dal 2010 le disposizioni del “Programme
d’Histoire-Géographie”, così come quelle dell’insegnamento di “Sciences de la vie et
de la terre”, prevedono una trattazione articolata per sesso, genere e orientamento
sessuale.Ciò che a nostro avviso risulta più grave, tuttavia, è che tali interventi censori
vengano messi in atto da un organo dello Stato non in seguito a un serio dibattito
culturale e scientifico, ma per effetto di pressioni politico-ideologiche ispirate alle
posizioni espresse sul tema da alcuni esponenti del mondo cattolico.
Anche per questo, riteniamo necessario affermare non solo la legittimità e serietà
delle iniziative bloccate, ma anche l’urgenza di avviare l’educazione al genere nel
nostro sistema scolastico, riprendendo il lavoro avviato nei decenni precedenti (in
particolare col progetto POLITE, pari opportunità nei libri di testo), purtroppo
ignorato nelle Indicazioni Nazionali per la scuola superiore del 2010.
Rifiutando di lasciare la dimensione educativa alla formazione offerta da agenzie
extracurricolari, l’educazione al genere può contribuire ad una formazione civile e
intellettuale più completa: essa aiuta a riflettere sugli stereotipi sessuali, che tanto
facilmente vengono riemergendo nelle nostre società, a combattere i pregiudizi, a
sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali ricevuti. Di qui
l’aiuto che essa può dare allo sviluppo di una società più giusta e tollerante, aperta al
riconoscimento delle differenze, nel segno di un approccio critico alle idee e ai saperi,
di una lotta più consapevole contro le discriminazioni sessuali e l’omofobia, e di una
prevenzione efficace e capillare di schemi di comportamento violenti, frutto di
stereotipi del passato incapaci di dialogare con le esigenze e le realtà dell’oggi.
Privare la scuola pubblica di questo ruolo ci pare miope e ingiusto.
Roma, aprile 2014
Il Direttivo
della Società Italiana delle Storiche
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