La sfida di Artemisia Gentileschi
Grande interesse ha suscitato già nei primi giorni di apertura, la mostra “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento” allestita nella romana Galleria d’arte antica in Palazzo Barberini che rimarrà aperta fino al 27 marzo dell’anno prossimo.
Si è scritto e parlato a lungo del rapporto tra Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, il suo violentatore, che insegnò alla giovane donna, su richiesta del padre Orazio che lavorava con lui alla Loggetta del Quirinale, l’arte della prospettiva.
Che cos’è la prospettiva se non vertigine ed illusione?
Tante le implicazioni sentimentali e psicologiche di questo rapporto tra Agostino e Artemisia. Sta di fatto che Orazio lo accusò di stupro e ne seguì un processo di cui tutta Roma parlava. “Ora ho fama di bardassa!” poteva lamentare con se stessa Artemisia. Non solo, ma la pittrice, durante l’interrogatorio, fu sottoposta alla tortura dei sibilli, cordicelle che stringevano le dita. Già, le dita. Erano quelle stesse dita che serravano il pennello o lo lasciavano veleggiare a seconda dei momenti. Più forte quando avevano a che fare con tonalità decise predisposte all’oscuro e alla notte, più leggermente se dovevano accordarsi con le sfumature dell’aurora e della luce.
Durante la sua deposizione al processo Agostino Tassi fu infamante nei confronti di Artemisia. E prima ancora del processo non è difficile immaginarlo entrare ed uscire dalle taverne, bere e trovare donne per una notte. E sbruffone e gradasso ad Artemisia intimò: “Dite che non sono stato io. dite che è stato qualcuno che è morto”.
Immaginiamo anche Tassi, il Tassi smargiasso che sulle impalcature al Quirinale scherza e fa lo sbruffone. Sì, negli affreschi del Quirinale dove lavorarono insieme Tassi e Orazio, il volto di lei par di ravvisarlo dietro le corde di un’arpa.
Nel quadro, la fantesca di Giuditta dipinta da Artemisia, a differenza di altre, è complice dell’eroina. Se Oloferne è vittima designata e Giuditta l’esecutrice, la serva è lì accanto a Giuditta ed è sotto il suo sguardo che si svolge l’omicidio ed è proprio la spada impugnata con forza dalla sua eroina a raccontarci che veleggia su questo dipinto un erotismo sottile e sapiente, crudo, affilato e lucido come la lama di una spada. Si assapora, insomma, il gusto della rivincita. La vendetta di Artemisia oltrepassa i secoli e arriva diretta e lucida fino a noi intrisa di amore e di sperma, di consapevolezza e di rivalsa