“Lady Frankenstein e l’orrenda progenie (napoletana?)”
Queste mie poche riflessioni nascono da un simpatico equivoco: avevo letto, su un invito-FB, di una presentazione di un libro dal titolo “Lady Frankenstein e l’orrenda progenie napoletana”. Incuriosita sono andata alla presentazione, presso la libreria IOcisto, anche per il piacere di incontrare amiche come Titti Marone e Annamaria Crispino (anche tra le autrici). Dopo la presentazione che si è dilungata con molta maestria su Mary Shelley, Frankenstein e “l’orrenda progenie” ma con nessuno accenno alla “napoletanità” di codesta, chiedo perché mai sull’invito-FB abbiano scritto “progenie napoletana”. Titti mi risponde che questo aggettivo “napoletana” proprio non c’era e che avevo preso un abbaglio. Non contenta richiedo ad Annamaria che mi dice, invece, che nel mio abbaglio c’è un barlume di verità. Mary Shelley è stata a Napoli ed è stata pure così attratta dalla Sibilla Cumana da dedicarle la prefazione del libro “L’ultimo uomo”.
Approfondisco con una rapida ricerca su internet e leggo nientepopodimeno che “Victor Frankenstein è di origine genovese ma è nato proprio a Napoli”. Anche se non è accertato, perché non risulta menzionato in nessuna edizione del libro, per me è egualmente eclatante. Cosa c’entra questo romanzo gotico con Napoli? La cultura ancestrale napoletana frutto di tante dominazioni è alquanto ecclettica e poi non è anche vero che Dracula, uno dei mostri tra i più gotici d’Europa, abbia abitato e sia morto a Napoli? Napoli è una delle poche città il cui sottosuolo eguaglia in estensione la superfice, tanto da sembrare essere partorita dalle sue stesse visceri. Con le sue caverne e tetri cunicoli può ben offrire un naturale scenario all’horror di vampiri e figure inquietanti che regnano nelle tenebre. E poi la cultura napoletana è sempre stata attraversata dal culto dei morti insieme ad un gusto per l’abnorme e per ogni aborto di natura, eredità artistica seicentesca che trova nella De umana phisognomonia di Giambattista Della Porta la sua radice, e che ben rappresenta la plebe napoletana, povera, deietta, deforme. Ne sono testimonianza anche le potenze tutelari della tradizione napoletana, le cosiddette Anime Pezzentelle, che sono entrare nel presepe settecentesco napoletano con pastori gobbi, ciechi e storpi, i cosiddetti Questuanti.
Con tutto questo ben si sposa lo spirito della Shelley creatrice del mostro più abnorme d’Europa di tutti i tempi, nato dall’assemblaggio di resti di cadaveri. C’è chi sostiene che Mary abbia rivisto il suo romanzo, iniziato nel 1816, proprio nel periodo napoletano influenzata da una profonda depressione per la morte misteriosa di una presunta figlia. Ma c’è dell’altro! L’ambivalenza di una città di cui si dice che “la vedi e poi muori”, la cui bellezza struggente è stata sempre in contrasto stridente con una certa umanità derelitta che l’abitava allora più di oggi, non riuscì a compensare l’animo già sconvolto di Mary che, in quel Tour di prassi per l’intellettualità mitteleuropea, aveva sperato di trovare tregua alla sua vita dissoluta per alcol, droghe, malattie, aborti, morti precoci. Molti attribuiscono anche a lei, non solo a Percy Shelley, la frase su Napoli come “Paradiso abitato dai diavoli”. Frase anch’essa ambivalente che non è stata chiarita nemmeno da Croce nel suo testo omonimo, e abbiamo ancora il dubbio se si tratta di diavoli o si allude ai napoletani? Gli spiriti napoletani sono bonari, o’ Munaciello certo era un po’dispettoso ma non cattivo, mia nonna narrava a me bambina delle suoi scherzetti ma anche di soldi trovati nel cassetto. A’ bella ‘Mbriana, una Estia napoletana che era sì volubile e andava a simpatie e antipatie, ma bastava ingraziarsela.
La frase pare invece che sia stata pronunciata da un certo Piovano Arlotto (XV sec.), molto tempo prima della venuta dei coniugi Shelley a Napoli, che ebbe a dire: “L’aria di Napoli opera bene in tutte le cose e male negli uomini, i quali nascono di poco ingegno, maligni, cattivi e pieni di tradimenti, e se non fosse così, Napoli sarebbe un Paradiso”. Quindi il mio equivoco non è tanto peregrino. A buona ragione Mary avrebbe ben potuto parlare di “una orrenda progenie napoletana”. Non me ne vogliano le bravissime autrici del libro(Crispino/DeSimone /Neonato/Pezzuoli/Sanguineti/Vitale), vere esperte in materia, per questa immaginifica scorribanda da parte di una poco competente ma molto curiosa lettrice di Mary Shelley.