L’Africa scossa dalle proteste nelle strade
Riprendiamo da “nuova Agenzia radicale”, supplemento on line di “Quaderni radicali”, la seguente nota sul documento della Fao sulla diminuzione della produzione dei cereali e i suoi riflessi sui paesi poveri.La bolletta cerealicola dei Paesi poveri nel 2007/2008 aumenterà del 56%. Ad affermarlo è il rapporto trimestrale {“Crop prospects and food situation”} diffuso oggi [11 aprile 2008 {ndr}]dalla FAO. Nel documento l’Organizzazione esorta tutti i Paesi donatori e le istituzioni finanziarie internazionali ad incrementare la propria assistenza, per un ammontare compreso tra 1,2 ed 1,7 miliardi di dollari, poiché per i Paesi africani a basso reddito con deficit alimentare, la bolletta aumenterà fino al 74% a cuasa del boom dei prezzi dei cereali, del petrolio e dei trasporti.
Da mesi l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha lanciato l’allarme {{sulla diminuzione delle scorte mondiali di cereali}}. Anche se la produzione di cereali è aumentata nel 2007, ed è destinata a crescere del 2,6% nel 2008, raggiungendo la quantità record complessiva di 2,164 miliardi di tonnellate, essa non permette di soddisfare la domanda mondiale, in forte aumento. Come conseguenza, da un anno all’altro, gli stock mondiali si riducono. Eppure, si legge nel rapporto, “se l’aumento di produzione previsto per quest’anno si materializzerà, nella nuova stagione 2008-2009 potrebbe attenuarsi l’attuale situazione di scarsità dell’offerta cerealicola mondiale”.
Le scorte mondiali di cereali, secondo l’Organizzazione Onu per l’agricoltura e l’alimentazione, dovrebbero perdere ancora il 5% entro la fine dell’anno, raggiungendo nel 2007-2008 i 405 milioni di tonnellate, il volume minore degli ultimi venticinque anni e ben 21 milioni di tonnellate in meno rispetto al livello già assai ridotto dell’anno precedente.
Ciò spiega {{la tensione sui prezzi dei mercati agricoli mondiali e i rialzi folli dei generi di prima necessità che si sono verificati negli ultimi mesi nelle città africane}}. Putroppo si sono avverate le ipotesi di Jacque Diouf, direttore generale della FAO, che aveva profetizzato già ad ottobre 2007 delle “rivolte della fame”, allorché il prezzo medio di un pasto di base era aumentato del 40% nell’arco di un anno.
Il grano (al suo massimo storico degli ultimi 28 anni), il mais, il riso, la soia, la colza o l’olio di palma hanno visto raddoppiare, addirittura triplicare, in due anni la loro quotazione, con grande rammarico delle popolazioni povere i cui redditi, al contrario, non progrediscono tanto. E’ il fenomeno del “caro vita”, che esplode prepotente per le strade africane.
Contrariamente ai paesi occidentali, dove l’alimentazione interessa dal 10 al 20% del reddito familiare, essa rappresenta fino al 60-80 % del reddito nei paesi poveri. L’aumento della quotazione dei cereali qui è, di conseguenza, più sensibile, soprattutto per coloro che vivono nei centri abitati e che non producono direttamente prodotti agricoli.
Nelle ultime settimane tutto il continete è stato scosso dalle {{manifestazioni di protesta}}, da Douala (Camerun) a Abidjan (Costa d’Avorio), e dal Cairo (Egitto) a Dakar (Senegal), la collera delle masse infiamma le capitali africane e costringe i governi a prendere misure urgenti per controllare i prezzi. Per mettere al sicuro i loro approvvigionamenti in derrate alimentari a prezzi accessibili ai consumatori, questi Paesi, quando ne hanno i mezzi, hanno preso differenti tipi di contromisure, giocando sulla produzione, le esportazioni o le importazioni. Ma i mercati agricoli sono ristretti (solamente il 17,2% dei volumi totali di grano sono scambiati sul mercato mondiale, il 12,5% di mais, il 7% di riso) e qualsiasi decisione crea, per contraccolpo, tensioni altrove.
Rimedi a doppio taglio dunque, che allarmano la FAO. “Non è con delle decisioni unilaterali che il problema si risolverà », aveva già detto Jacques Diouf a fine gennaio, richiamando gli Stati a prendere delle {{decisioni strategiche in materia d’alimentazione mondiale}}, ma collettivamente.
Appurato che, nei paesi sviluppati, la produttività e le superfici sono al loro massimo livello, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD) e la FAO stessa hanno recentemente richiamato i paesi dell’Europa dell’est, e in particolare Russia, Ucraina e Kazakistan, a “dopare” le loro produzioni. Il loro potenziale è importante: circa 23 milioni di ettari di terre coltivabili non sono più utilizzate per l’agricoltura da qualche anno, e 13 milioni potrebbero essere recuperate senza “costi ambientali aggiuntivi”. Ma è tutta una questione di investimenti del settore pubblico e privato. L’America del Sud è l’altra riserva potenziale; si stima in circa 20 milioni di ettari le superfici che potrebbero essere messe a coltura al Mato Grosso brasiliano. Ma questa estensione non si potrà fare che {{a discapito della foresta amazzonica}} e darebbe luogo a molti dibattiti sugli equilibri ecologici.
Lascia un commento