L’agricoltura italiana è sempre più al femminile. Ma i problemi che le operatrici e gli operatori del settore devono affrontare non sono pochi: precipita il prezzo del grano – MANIFESTAZIONE A ROMA
Nell’ultimo anno sono aumentate del 76% le donne italiane under 34 che hanno scelto di lavorare in agricoltura.
Il dato è stato diffuso dalla Coldiretti nell’ambito di uno studio dal titolo “Più lavoro in agricoltura dall’innovazione – Missione cambiamento: le risposte dei giovani agricoltori”, presentata alla Fieragricola 2016. Nel 2015 le ragazze italiane under 30 impiegate in agricoltura come lavoratrici indipendenti (imprenditrici agricole, coadiuvanti familiari, o socie di cooperative agricole) sono cresciute del 76%. Un dato triplo rispetto a quello degli imprenditori agricoli (maschi), che nel 2015 sono comunque aumentati del 27% in Italia.
L’agricoltura è dunque sempre più al femminile, in un Paese – l’Italia – nel quale (dati Eurostat) ci sono oltre 1,3 milioni di donne lavoratrici agricole (in Francia e in Germania sono 340.000, in Spagna 660.000) e ci sono oltre 227.000 imprenditrici agricole. Ad oggi nel nostro Paese un’azienda agricola su tre è guidata da una donna (30%), mentre secondo i dati Unioncamere complessivamente in Italia le imprese a guida femminile sono solo il 23%.
E’ interessante poi l’aspetto anagrafico: in Italia sta crescendo negli ultimi anni una nuova generazione di agricoltori, a forte presenza femminile, che ha forti competenze e forti motivazioni. Secondo una recente indagine Coldiretti / Ixè tra i giovani (under 34) che hanno iniziato a lavorare in agricoltura negli ultimi anni il 50% ha una laurea, il 74% è orgoglioso della scelta fatta e il 78% è più contento di prima. Mentre le famiglie dei nuovi agricoltori (genitori, parenti, compagni, amici) nel 57% dei casi approva totalmente la scelta. E sempre secondo un’indagine della Coldiretti le aziende agricole guidate da under 34 hanno il 54% in più di superficie agricola rispetto alla media, un fatturato più elevato del 75% e un 50% in più di occupati per azienda.
Il contesto legislativo – anche grazie alle nuove misure introdotte nell’ultima legge di stabilità – è oggi favorevole per chi si vuole impegnare in agricoltura, e con i Piani di Sviluppo Rurale approvati dalla Commissione Europea sono in arrivo fino al 2020 21 miliardi con nuove opportunità di lavoro agricolo in Italia per 20.000 giovani.
Secondo la Coldiretti “abbiamo di fronte un’occasione forse irripetibile per sostenere il grande sforzo di rinnovamento dell’agricoltura italiana e per sostenere la competitività delle imprese. C’è un intero esercito di giovani che hanno preso in mano un settore considerato vecchio, saturo e inappropriato per immaginare prospettive future e ne hanno fatto un mondo di pionieri, rivoluzionari, innovatori e attivisti impegnati nel costruire un mondo migliore per se stessi e per gli altri. Dai campi non viene solo una risposta alla disoccupazione e alla decrescita infelice del Paese, ma anche una speranza di fronte alla sconfitta dei nostri coetanei che sono costretti ad espatriare”.
MA INTANTO 2000 AGRICOLTOR* SONO SCES* IN PIAZZA IL 20 LUGIO 2016 E MINACCIANO DI INTERROMPERE LA SEMINA.
Corriere della Sera – articolo di Giulia Cimpanelli
«Se qualcosa non cambia rinunceremo a seminare»: è lo sfogo di uno dei circa duemila agricoltor* che hanno manifestato a Roma a difesa del grano duro italiano il cui prezzo, a luglio, in periodo di trebbiatura, è crollato del 42 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. «Con cinque chili del mio grano – aggiunge – non ci pago nemmeno un caffè o una bottiglietta di acqua minerale al bar».
La manifestazione – presidio è stato organizzato mercoledì in concomitanza col tavolo nazionale di filiera convocato dal ministro delle politiche agricole Maurizio Martina. Sui banchetti allestiti in via venti Settembre, anche una bilancia con 15 chili di grano e uno di pane, il rapporto tra quanto serve del primo per comprare un chilo del secondo. «Oggi il grano duro per fare la pasta viene pagato 18 centesimi al chilo, quello tenero per il pane 16 centesimi al chilo, ben al di sotto dei costi di produzione sostenuti dalle aziende», commenta Coldiretti. Per quello che i diretti interessati chiamano la «guerra del grano» sono arrivat* a Roma agricoltor* da Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Lazio, Umbria, Toscana, Piemonte, Sardegna, Calabria, Marche e Puglia. Sugli striscioni campeggiavano scritte quali «No grano no pasta», «Stop alle speculazioni», «Chi attacca il Made in Italy attacca l’Italia» e «Il giusto pane quotidiano». Prezzo del grano, mai così basso. Tra i simboli della protesta è anche esposta su un banchetto una bilancia con 15 chili di grano e uno di pane: «Così tanto grano infatti deve essere venduto per comprarsi un chilo di pane», aggiunge Coldiretti. Sono stati anche preparati sacchetti di grano da 5 chili che equivalgono al valore di un euro con i quali le e gli agricoltori hanno annunciato di voler fare la spesa nei locali circostanti. «Dal grano alla pasta i prezzi aumentano del 500 per cento e quelli dal grano al pane addirittura del 1400», prosegue il consorzio. Il nostro Paese è il principale produttore europeo di grano duro, con una superficie coltivata di 1,3 milioni di ettari e una produzione di quasi 5 milioni di tonnellate. Meno rilevante la produzione del tenero (3 milioni di tonnellate da 0,6 milioni di ettari). Per Coldiretti, se i prezzi non si alzano, sono trentamila le aziende agricole a rischio. Secondo il dossier presentato in occasione delle proteste sono infatti quasi quadruplicate (+315%) le importazioni dall’Ucraina che è diventato nel 2016 il terzo fornitore di grano tenero per la produzione di pane mentre per il grano duro da pasta il primato spetta al Canada che ha aumentato del 4% le spedizioni. La risposta dei pastai Ma secondo i pastai le importazioni sono necessarie: «Il nostro ruolo di leader mondiali del mercato della pasta ci ha posto, da sempre, tra i Paesi con maggiore fabbisogno di grano duro. — afferma Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) — Se venisse prodotta pasta di solo grano nazionale, le persone dovrebbero rinunciare a tre piatti di pasta su dieci e perderemmo il primato di leader mondiale di produzione ed esportazione di pasta, con danni enormi al settore e agli altri comparti trainati dall’export di pasta, come olio, formaggio e pomodoro». Inoltre chi produce la pasta specifica che non importa che il grano sia italiano, l’importante è che sia di ottima qualità. «I grani duri esteri più pregiati, che coprono in media il 30-40% del fabbisogno, possono arrivare a costare anche il 10%-15% in più di quelli nazionali, perché solo i migliori frumenti disponibili sul mercato permettono di realizzare la giusta “miscela”, che è il segreto della nostra pasta», aggiungono. La versione di Martina La proposta del ministro dell’agricoltura Maurizio Martina al tavolo nazionale della filiera cerealicola al Mipaaf è un marchio unico volontario per grano e prodotti trasformati (pane, pasta, dolci) per dar maggiore valore al grano di qualità certificata, che rispetti il disciplinare del sistema di qualità della Produzione integrata e risponda a determinati requisiti organolettici. Durante il confronto si sono analizzati gli andamenti di mercato dei cereali, con un particolare focus sul crollo del prezzo del grano. Per far fronte a questa situazione il ministro ha illustrato alcune proposte operative per un intervento complessivo sul settore: «Vogliamo tutelare il reddito di chi produce e valorizzare il grano 100% italiano — ha detto —. Abbiamo approvato in queste ore il finanziamento di un fondo cerealicolo di 10 milioni di euro per dare avvio a un piano nazionale cerealicolo che punta alla qualificazione della nostra produzione e consenta ai trasformatori di acquistare sempre più prodotto made in Italy». Sono stati anche confermati gli aiuti accoppiati europei Pac per il frumento che equivalgono a circa 70 milioni di euro all’anno fino al 2020, per quasi 500 milioni investiti nei sette anni di programmazione; previsto anche il rafforzamento dei contratti di filiera, per proseguire negli investimenti che hanno visto 50 milioni di euro impiegati dalla filiera cerealicola. I nuovi bandi in autunno prevedono un budget totale di 400 milioni di euro (metà in conto capitale e metà in conto interessi) ai quali potranno attingere anche i progetti legati al grano. Sarà infine sperimentato a partire dalla prossima campagna un nuovo strumento assicurativo per garantire i ricavi dei produttori proteggendoli dalle eccessive fluttuazioni di mercato. Un modello innovativo che è allo studio – sottolinea il Mipaaf – e che verrà presentato alla Commissione Ue per il via libera. «Al tavolo di filiera di oggi presentiamo azioni concrete e interventi strutturali — conclude il ministro – Allo stesso tempo vogliamo dare una risposta alla necessità di maggiore trasparenza nella formazione del prezzo. Per questo proponiamo l’istituzione di una Commissione unica nazionale per il grano duro che favorisca anche lo sviluppo di migliori rapporti interprofessionali».] Duemila agricoltori scesi in piazza a Roma minacciano di interrompere la semina. Martina: «Vogliamo tutelare il reddito di chi produce e valorizzare il grano italiano»