«Lampedusa» di Maylis de Kerangal
Forse sono i grandi occhi di Favour che da giorni lacerano le nostre coscienze, o l’ennesimo aufragio nel canale di Sicilia costato la vita a quaranta bambini, ma leggere «Lampedusa» di Maylis de Kerangal sull’onda di queste notizie lascia ancora più scossi.
Si tratta di un piccolo libro, da leggere tutto d’un fiato, scritto da un’autrice di culto in Francia già nota per romanzi come «Nascita di un ponte» e «Riparare i viventi», vero e proprio caso letterario del 2015.
Il titolo originale dell’opera, in italiano «a questo punto della notte», ci dice subito che tutto il monologo dell’autrice si snoda nel corso di un’unica notte, la notte tragica che segue il naufragio del 3 ottobre 2013, quando Lampedusa entra nelle cronache internazionali per essere stata lo scenario dell’annegamento di oltre 300 persone.
Mentre la radio diffonde a più riprese i dettagli del naufragio – e vengono riportate in lingua originale nel testo le parole «vergogna,vergogna!» ascoltate in sottofondo nei notiziari – inizia una personale rielaborazione di Lampedusa, «sola al mondo», «sasso inalterabile emerso contro lo spazio liquido».
I ricordi letterari e cinematografici dell’autrice – Tomasi di Lampedusa, Visconti e Burt Lancaster, il mondo de «Il Gattopardo», ma anche le songline di Chatwin, e il ricordo di altri viaggi in Sicilia – si intrecciano con la tragedia dei migranti in corso e ci suggeriscono che i luoghi hanno un’anima, che scrivere è come fondare un paesaggio, che le isole sono da questo punto di vista «materiali nobili» perché, per la loro forma, contengono in sé un racconto.
Qual è il racconto di Lampedusa? Quale la sua sorte ora che è lontana dall’immaginario di un tempo, ora che è l’epicentro della più grande tragedia umana dei nostri giorni? de Kerangal ci suggerisce di riflettere su come gli uomini depositano i propri nomi sulla Terra, come vengono accolti dalla terraferma alla fine delle tante migrazioni che la storia ci ha narrato: «ho pensato ai fantasmi che abitavano i nomi, e mi sono chiesta come ascoltarli, come percepirli» e, nel caso di Lampedusa, ha pensato che i suoi abitanti hanno rielaborato il racconto, raccogliendo «quegli stranieri, più poveri dei poveri, quegli esseri che non avevano più nulla e non potevano più pronunciare il proprio nome; avevano risollevato loro e con loro l’umanità intere. Ospitalità»
Maylis de Kerangal, Lampedusa, Feltrinelli, 2016, pp.74