“L’arte del silenzio” di Leona Epure
Ricoperto da un titolo enigmatico Il libro di poesie di Leona Epure permette di scoprire, silenziosamente, certe parole ed emozioni nascoste che svelano, nell’accoppiarsi incessante di ombre e chiarori, la perenne ricerca di sé stessi e di una via da percorrere insieme alle proprie paure e ai propri desideri.
L’arte del silenzio può essere chiassosa, piena di frastuoni, come l’arte del parlare può essere stonata, incomunicabile, dimenticanza. L’autrice, tra le grida ed il mutismo, sceglie l’a-b-c alfabetico, con versi simbolici ed intrecci di segni. È una “donna di parola” quindi che, pur facendo affiorare continuamente il buio che la abita, rincorre ed afferra la sua anima, diventa una guerriera della luce. “Nei nostri mondi sparsi rimane ancora un attimo di vita. Cuore dipinge il quadro delle rose che circondano il mondo con un profumo di tenera gioia”; con dolorosa allegria l’autrice in queste strofe rivela una zona luminosa nel dolore, ma ecco che la sua “mente inquieta”, tiolo anche di una silloge “distrugge ogni speranza che urla pietà e cambia i colori”. Oblio forse, lontananze, assenza di arcobaleni, sconcerti ed ansie ma tutti sinonimi di penombre ed atmosfere disumane, in cui l’essere vivente si immerge. La scrittrice si abbandona però ad ossimori continui in quasi tutti i versi: il suo cuore è decentrato, una condizione alienata invade l’anima nel suo intimo. Fili d’argento e d’oro sembra tessere e tirare, per uscire dal baratro; poi improvvisamente, ritrova coordinate, barlumi di vita che la chiamano. La vita diventa una inspiegabile presenza che pure c’è. La poesia per Leona è irrinunciabile come respirare, perché il suo scrivere non è un guardare attorno ma uno scavare dentro e, oltre l’involucro delle cose.
Si ravvisa nelle sue parole come una voglia di autoconsolazione, ma, subito dopo non si risparmia nella tendenza a volersi liberare da catene, “epura” le idee, i dubbi, donandogli un ritmo, un suono. Troppo cruda, spiazzante nel suo “darsi”; muore e rinasce, si copre e si svela, attraversando così ogni vicolo dell’animo umano. Vocali e consonanti si intersecano all’esperienza, il loro battito va all’unisono con quello cardiaco, dentro il solitario silenzio dei giorni e delle notti.
“Seguo i cerchi del buio e soffermo lo sguardo sul cuore palpitante…”, qui la poeta pur inseguendo il nero vortice dei dirupi del suo cuore, palpita aspettando “i canti di Aurora che scongelano i sogni della notte”, usando una lettera maiuscola per abbracciare l’alba.
Legati a doppia mandata, tutti i versi si susseguono in un una voce unica, in un unico zibaldone ininterrotto che non va a capo, che si fa parola viandante, traghettatrice di trepidante emotività. Talora la parola spesa sembra perdere il cammino, perché scoscese ed irte arrivano le malinconie e, Leona veste le carni della disperazione. Ecco allora che “Pandora” fa aprire tutto ed esplodere il vaso dove si annida il male, ma “Nel verde straordinario di un alieno pianeta voglio coltivarmi…e sperare nell’eterno blu” e ancora “Definita da una forte esplosione…io mi ritrovo in questa vita”. Vita che non si riesce a definire, con i suoi diritti e rovesci, ma che non si vuole definire, ma soltanto vivere, assaporandone gli odori, disegnandone i colori e le opacità, coprendo i rumori della mente che la attanagliano ma possono liberarla.
Il poetare di Leona appare un dialogo intimo che non si apparta e diventa arte di silenziarsi o di esprimersi.
Tutto il libro è un viaggio, come lei stessa afferma, verso la comprensione della sua vita e del mondo in cui vive.
Un viaggio infinito in un mare che ondeggia, calmo ed agitato, da cui ci si vorrebbe allontanare per raggiungere la terra ferma. “Un ausilio per meglio superare i disagi della propria condizione allora la scrittura, come dono di sé” come dice la scrittrice Mariella Bettarini o soltanto per Leona un rifugio ai mali esistenziali, quasi una terapia? Tutte le poesie non sono scritte di getto ma nella loro autenticità e carica emozionale, fanno risaltare anche un lavoro nella ricerca delle parole. Il segno è netto ma anche incerto, allusivo, problematico con tratti introversi, assorti e tratti solari. Non adopera punteggiatura se non punti e puntini di sospensione, alternando il suo essere sospesa al suo essere radicata. “Occhi giovani, lacrime piene di speranza e gioie infernali”. È un’arte sopraffina quella di riuscire a sopravvivere o vivere, tra paradisi, inferni e purgatori. Come lo è quella di legare i contrasti, sciogliere nodi, dipanare matasse ingarbugliate. Leona non vuole trovare il senso dell’esistenza ma un’esistenza che abbia senso per lei, dolce e profonda ma, che la faccia camminare con una leggerezza non superficiale, preservandola dai malanni, soprattutto quelli dell’anima.
Ecco il riempire la pagina bianca come scandaglio dell’anima e la poeta come una nuotatrice controvento, toccando i fondali degli abissi e la gioia delle risalite.
Leona si presenta:
“Mi chiamo Leona. Epure Leona. Un nome che mi descrive perfettamente. Un’anima guerriera, nonostante tutta la sua leggerezza. Forte e melanconico. Sono nata in Romania e da poco condivido i miei pensieri in italiano. Questa mia capacità di poliglotta mi ha permesso di aprirmi mentalmente e accendere la mia creatività. Questa raccolta è un viaggio alla scoperta di me stessa: capire le mie incertezze, diventare amica delle mie paure, accogliere le speranze. Inoltre, trasmette una dolce e profonda ansia provata da una giovane adolescente che sta per iniziare la sua strada molto desiderata verso la vita.”