L’astrazione del maschile che chiama a sé ogni competenza sulla vita
Spaventa diverse donne il vuoto sul tema con cui siamo entrati in questa campagna elettorale rispetto alla presenza femminile, alla sua qualità, al suo pensiero nella rappresentazione del potere – novella fenice – che gli uomini stanno di nuovo organizzando, una volta che le donne si sono incaricate di dare alla moratoria risposte importanti. Questa moratoria sull’aborto sembra contenere un’ idea di maternità e di paternità parallela e virtuale, estranea alla realtà per come si attua concretamente e sembra porre la maternità sempre più sul crinale dell’ ir – reale, nella relazione tra società e corpo femminile.C’è un’idea di paternità sostitutiva della maternità che tenta di unificare la genitorialità in uno solo dei due generi: quello paterno, immaginato in grado di assolvere da solo il compito. Sembra credere di poterlo fare perché ha strutturato dentro di sé un’ idea di maternità meccanica, in cui i due corpi non sono in stretta relazione fin dall’inizio del concepimento, in un rimescolamento emozionale e corporeo, ma sono sganciati e indipendenti.
_ Forse per il “semplice” fatto che il risultato finale è quello della messa al mondo di un altro corpo, diverso da quello che partorisce.
_ Questo sembra permetta di pensare che, se le donne possono ipotizzare l’aborto, allora non hanno capacità reali intorno alla nascita e hanno bisogno che qualcun’altro prenda in mano la questione anche per loro. Attribuendosi la capacità del paterno e del materno.
Chi propone la moratoria intuisce nel corpo femminile un mondo sconosciuto, a volte spaventevole per come questo universo altro si muove in maniera spiazzante, rispetto al volere e al desiderio del potere moratorio.
_ E sembra sentirsi così tanto estraneo al mondo femminile da far pensare che questo suo maschile sia stato partorito dal caso, dal vuoto o da un desiderio che non ha mai incontrato un corpo femminile per farlo nascere. E’ così forte questa distanza dal mistero femminile, da far pensare di poter avere perfino dimenticato il corpo da cui è nato.
_ Un corpo femminile la cui complessità nella relazione con la maternità risulta essere lontano anni luce dalla loro comprensione.
_ Un materno che mette al secondo posto se stesso per potersi compiere, unendosi in un indistinto gentile e delicato col futuro, che trasforma sé nel volere di due e mai più di una. Anzi l’una, il più delle volte, verrà sempre dopo.
Sapere del potere della maternità, la certezza che può accadere, l’incertezza delle capacità, la coscienza che intorno quasi nulla è pronto ad accogliere questo nuovo, fatto di carne indifesa con bisogni infiniti, rende complessa l’accoglienza del materno per le donne.
_ Non si potrebbe mai pensare di avere dentro qualcosa a cui non si vuole bene. Non si potrebbe mai pensare di avere dentro qualcosa che non sia altro, pur tra mille incertezze, che un progetto di felicità per entrambi. Almeno per loro due, visto che il resto intorno è così incerto.
Ma questa complessità femminile è così sconosciuta a questi signori da rinnegare insieme al materno anche il loro femminile. E’ così misconosciuta la loro relazione con l’altra da sé da continuare a proporre una visione del mondo che spinge le donne perfino all’aborto, nel mondo parallelo che hanno costruito.
_ Un mondo in cui la vita di cui parlano rappresenta più il frutto di un’astrazione mentale che non della realtà. Almeno di quella femminile. E’ un mondo che spaventa e inquieta perché nega lo spazio dell’amore nella scelta della maternità e impone l’obbligatorietà, la meccanicità.
Mi è capitato di pensare, tempo fa, che è più facile la maternità per le donne piuttosto che la paternità per gli uomini. Tutto nelle donne, corpo e testa, le porta a rimescolarsi di fronte alla gravidanza.
_ Il loro corpo sa trasformarsi all’improvviso e riprogrammarsi per accogliere nel modo più felice la maternità, mentre il corpo maschile non ha conoscenza di una simile complessità, la loro percezione della paternità è di testa e non di corpo.
Niente in loro li aiuta subito a capire, se non una relazione futura con il corpo nato che, però, non è scontata e potrebbe anche non accadere mai. E’ una lenta conquista culturale quella maschile molto più difficile da attuare di quella femminile, a volte impossibile. Difficile per chi padre lo è diventato. Molto più difficile per chi non lo è mai stato, anche se avrebbe voluto esserlo.
Questa astrazione del maschile che chiama a sé ogni competenza sulla vita, tanto da voler “sconfermare” la millenaria capacità femminile, parla della grande sconfitta di un maschio che ancora oggi non è riuscito a risolvere la sua relazione con la vita, tra lui e l’altra e lo fa fuggire in un mondo irreale che trova come unica soluzione l’imposizione della vita – anche quando fa solo sesso – e non trova mai dentro di sè la capacità dell’amore che inventa e crea la vita.
Basta guardare la società che ha costruito, così ottusa e violenta. Sempre in crisi. E’ questo e questa società che spaventa le donne: la violenza individuale e sociale. Anche quella mascherata da invisibile. Non c’è null’altro che le inquieti di più e le spinga nelle braccia dell’aborto per fuggire da questa visione astratta della vita che non contiene né loro né il loro materno.
_ E spaventa diverse donne anche il vuoto sul tema con cui siamo entrati in questa campagna elettorale rispetto alla presenza femminile, alla sua qualità, al suo pensiero nella rappresentazione del potere – novella fenice – che gli uomini stanno di nuovo organizzando, una volta che le donne si sono incaricate di dare alla moratoria risposte importanti.
Mentre le donne rispondono, nei partiti si fa in modo che chi tra i maschi non c’entra con la moratoria possa continuare a mantenere l’humus dell’astrazione in cui le moratorie nascono e affogano la maternità. Mettendo il genere dopo. Dopo la territorialità, le generazioni, le mansioni lavorative. Dopo! Ritornano a rimuovere la realtà del femminile per astrarla e non confrontarsi con la continuità del loro fallimento.
_ Magari non se ne accorgono, anche se non è credibile.
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