Le conclusioni del “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria” approvato dalla commissione Femminicidio del Senato
Presso il Senato, nella Sala Zuccari, lo scorso venerdì 16 luglio è stato presentato il “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria”, approvato a giugno dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere presieduta dalla senatrice Valeria Valente.
Il rapporto è stato presentato nel corso di un convegno dal titolo: “Giustizia e violenza contro le donne: riconoscere per perseguire” al quale sono stati presenti tutti i vertici del sistema giudiziario italiano. L’obiettivo di questo lavoro, ha detto Valeria Valente nell’introdurre il convegno, è quello di comprendere quanto e come il nostro impianto legislativo sulla violenza maschile contro le donne trovi concreta applicazione e quale sia la percezione della violenza di genere all’interno dei tribunali.
La ricerca è stata coordinata da Linda Laura Sabbadini, direttora dell’Istat, ed è stata svolta somministrando appositi questionari a procure, tribunali ordinari, tribunali di sorveglianza, Consiglio superiore della magistratura, Scuola superiore della magistratura, Consiglio nazionale forense e ordini degli psicologi, focalizzando l’attenzione sul triennio 2016-2018. Nel corso del convegno sono state anticipate le criticità che sono emerse dal rapporto: molto è stato fatto e alcuni tribunali presentano best practice da diffondere, ma la Convenzione di Istanbul, che prescrive di rendere concreti il diritto delle vittime alla protezione, resta in larga parte ancora disattesa. Le consulenze tecniche d’ufficio, che spesso decidono sulle capacità genitoriali, vengono affidate anche a esperti non specializzati nella violenza di genere. Né viene riconosciuta la violenza domestica alla base di separazioni e divorzi, perché i procedimenti civili e quelli penali per maltrattamenti e violenza procedono la maggior parte delle volte in parallelo, senza alcuno scambio di informazioni. Questo quadro, per la commissione Femminicidio del Senato, rende urgente attivare percorsi di sensibilizzazione sulla violenza, formazione e aggiornamento professionale.
Le conclusioni del rapporto:
I RISULTATI DELL’INDAGINE: BEST PRACTICES, CRITICITÀ E PRO SPETTIVE DI RIFORMA
La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni
forma di violenza di genere, nella cornice sovranazionale dei princìpi della
Convenzione di Istanbul – più volte ricordati – ha ritenuto importante
verificare quanto il nostro Paese abbia aderito agli impegni rivolti agli stati
firmatari (articolo 4) ad « adottare le misure legislative e di altro tipo
necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e
segnatamente delle donne, di vivere libere dalla violenza, sia nella vita
pubblica che privata », e anche (articolo 5) ad essere diligenti nel «prevenire, indagare, punire i responsabili».
È proprio con riguardo a questo obbligo di « diligenza » nell’attività
preventiva e repressiva che la Commissione non poteva non considerare
l’importante monito dei giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo –
nella sentenza « Talpis c. Italia » del 2 marzo 2017- a operare affinché i
meccanismi di protezione previsti nel diritto interno funzionino in pratica
e non solo in teoria, e che soprattutto nelle cause in materia di violenza
domestica i diritti dell’aggressore non possano prevalere sui diritti alla vita
e alla integrità fisica e psichica delle vittime.
In un contesto così delineato, e nel difficile percorso intrapreso dal
nostro Paese di adeguamento alla normativa convenzionale, la Commissione
ha focalizzato alcuni aspetti più qualificanti, quali: la specializzazione degli
operatori, e in particolare dei magistrati, degli avvocati e degli psicologi,
nonché le formule organizzative adottate e ritenute idonee a garantire
immediatezza ed efficacia all’intervento giudiziario.
Ne è emersa una realtà multiforme e allo stesso tempo complessa.
Il contesto nel quale operano gli uffici giudiziari è obiettivamente
difficile, segno – anche ma non solo – di mancanza di investimenti che
hanno determinato gravi carenze anche strutturali, soprattutto di personale
e mezzi che ne hanno significativamente condizionato l’efficienza.
È parsa anche scarsa la consapevolezza, in chi opera nel settore, della
necessità di adeguare i propri standard operativi alle mutate condizioni,
nonché della esigenza di una effettiva cooperazione e collaborazione
interistituzionale, presupposti ineludibili perché il contrasto alla violenza
domestica e di genere sia effettivo ed efficace.
È doveroso sottolineare che, accanto a indubbi aspetti critici, si
registrano importanti progressi nel percorso indicato, come attesta lo sforzo
compiuto da una parte – purtroppo ancora minoritaria – della magistra
tura, più evidente per quella inquirente, la quale interpreta il proprio ruolo
con modalità organizzative più aderenti alle mutate esigenze investigative.
Tutto ciò avviene – comunque – in un quadro complessivo di evidenti
difficoltà e resistenze, anche di natura culturale.
Non ci si può certo ritenere soddisfatti della realtà così come rappresentata dalle indagini condotte, ma è anche innegabile che sia in atto un
grande sforzo messo in campo da alcuni uffici giudiziari più virtuosi che
possono – auspicabilmente – essere trainanti per tutti gli altri, purché
sostenuti, anche da adeguate iniziative di tipo organizzativo, e supportati nel
percorso di formazione e specializzazione da chi ha il compito di assicurare
in tutto il territorio nazionale uniformità e coerenza dell’azione giudiziaria.
Occorre anche sottolineare la mancanza di consapevolezza della
esigenza –ineludibile – di attuare forme di collaborazione e cooperazione
tra tutti gli organi e le figure istituzionali coinvolte, sempre in una
prospettiva comune: combattere la violenza, soprattutto in ambito dome stico.
Non vi è dubbio che le maggiori criticità siano state rilevate per quanto
riguarda la formazione specifica sui temi della violenza di genere e
domestica nell’ambito dell’attività forense e in quella dei consulenti tecnici,
psicologi in particolare: ciascuno nel proprio ambito e nell’esercizio delle
proprie competenze ha evidenziato mancanza di attenzione e di sensibilità
per il tema della violenza di genere e domestica, soprattutto nella forma zione e nell’aggiornamento professionale. Sia gli avvocati che gli psicologi
hanno soltanto avviato un percorso di sensibilizzazione alle tematiche
indicate e sono in grave ritardo nella specializzazione dei professionisti.
L’esito delle indagini svolte segnala, perciò, una sostanziale difficoltà,
anche di tipo culturale, nella conoscenza del fenomeno. Ciò comporta – da
parte di tutto il sistema – una sottovalutazione dei fenomeni di violenza di
genere e domestica, che non viene « letta » correttamente. Per queste
ragioni può affermarsi che vi è ancora molto da fare perché si possa ritenere
che il nostro « sistema Paese » sia davvero democratico in quanto garantisce
alle donne di essere libere da ogni forma di violenza.
Se è vero che la fotografia della realtà giudiziaria che emerge dai dati
dei questionari segnala che il percorso di adeguamento ai princìpi della
Convenzione di Istanbul appare solo avviato, sono anche molteplici le
buone prassi e le collaborazioni interistituzionali che hanno consentito un
decisivo passo in avanti nella tutela delle donne vittime di violenza di
genere.
Il legislatore, pertanto, in costante raccordo con tutte le istituzioni e gli
ordini professionali coinvolti, ha il dovere di rafforzare e mettere a sistema
i modelli positivi emersi, come pure di implementare le misure normative
vigenti al fine di garantire a tutti i soggetti coinvolti l’accesso agli strumenti
processuali e la formazione necessaria per una corretta lettura e un efficace
e tempestivo contrasto della violenza di genere e domestica.
Qui sotto si può scaricare il rapporto approvato dalla commissione del Senato il 17 giugno 2021