LE COSE CHE VERRANNO: un film da vedere e “ascoltare”
“E chi sono dunque”, chiesi io, “o Diotima, quelli che si mettono a fare filosofia, se non lo fanno i sapienti né gli ignoranti?”
“Questo”, mi rispose, “è chiaro ormai anche a un bambino, e sono quelli che si trovano in mezzo a questi due gruppi, tra i quali va posto anche Amore. La sapienza infatti, appartiene al novero delle cose più belle, e Amore è amore riguardo al bello, tanto che è necessario che Amore sia filosofo e, essendo anche filosofo se ne sta in mezzo al sapiente e all’ignorante” (Platone – Simposio)
Le cose che verranno (L’avenir) di Mia Hansen-Løve è un film da vedere e “ascoltare” sintonizzandosi sulla lunghezza d’onda di questa regista trentacinquenne che racconta storie della vita di tutti i giorni con poetica profondità e uno sguardo amorevole sui personaggi femminili. Le donne dei suoi film mostrano nelle intemperie della vita la forza dell’eros, una capacità di aprirsi alle emozioni e abbandonarsi al flusso riparatore del tempo.
Protagonista di Le cose che verranno è Nathalie, una bella donna sessantenne che insegna filosofia, pubblica libri e ha una vita affettiva adagiata sul comodo tappeto delle abitudini. La vediamo a tavola con il marito e i due figli che ironizzano sul suo rapporto con Fabien, lo studente ormai filosofo “il figlio che lei avrebbe voluto”; oppure con la madre, ex bella donna, ex modella, nevrotica ma nonostante ciò amata perché l’ha spinta verso gli studi filosofici. Nathalie lavora con passione e insegna ai suoi studenti a pensare con la propria testa privilegiando una dimensione autentica dell’esistenza.
All’improvviso, in questo mondo ordinato irrompe il cambiamento. È la figlia a iniziare la catastrofe pretendendo coerenza dal padre perché tradisce la madre. Forse, anche dalla madre che preferirebbe non guardare in faccia la “verità” del suo matrimonio. “Non potevi tenertelo per te?” dice, infatti, Nathalie di fronte alla confessione del marito di amare un’altra donna. Ma si riprende subito. “Pensavo che mi avresti amato per tutta la vita. Che cogliona!” esclama prendendo atto con razionale determinazione della scelta del marito di andare via di casa.
L’esplosione del lied Auf dem Wasser zu singen di Schubert (lirica di Friedrich Leopold zu Stolberg-Stolberg), dopo quarantasette minuti di voluto silenzio della sceneggiatura sulle emozioni di Nathalie, accompagna la sua corsa in macchina verso la stazione. Sta andando dalla madre che si rifiuta di mangiare perché si sente abbandonata in una casa per anziani che “odora di morte”. Il marito accanto a lei si comporta come sempre, come se non fosse accaduto l’irreparabile tra loro. Nathalie guarda fuori dalla macchina e piange in silenzio il tempo che vola via: il passato della coppia, quello della fioritura di un giardino curato con amore e di un mare che si allontana dalla terra ma poi ritorna seguendo il ritmo prevedibile delle maree. Sono lacrime di una donna sola, pudicamente fragile, quelle di Nathalie; eppure, grazie al meraviglioso lied, si “ascolta” sotto la struggente nostalgia, l’avenir, la possibilità di avere di nuovo speranza.
Il cambiamento di questo personaggio arriva nella seconda parte del film ed è quello della vita vera fatta di piccole cose e di leggerezza.
La raffinata sceneggiatura di Mia Hansen-Løve si avvale di spunti e domande che costruiscono per lo spettatore un percorso filosofico che chiarisce il senso degli avvenimenti e invita a pensare. Come un passo di La Nouvelle Heloise di Rousseau che Nathalie legge ai suoi studenti quando ri-trova il desiderio.
“Finché si desidera si può fare a meno di essere felici: perché si aspetta di esserlo. Se la felicità non arriva, la speranza si prolunga, e l’incanto dell’ illusione dura quanto la passione che lo provoca. Così, questo stato, è sufficiente a se stesso. E l’ inquietudine che esso procura è una specie di godimento che supplisce alla realtà. E forse è migliore. Guai a chi non desidera più niente. Perde, per così dire, tutto quanto possiede. Si gode meno di ciò che si ottiene che di ciò che si spera. Non si è felici che prima di essere felici”.
È ancora un “ascolto” – Unchained Melody, canto propiziatorio di The Fleetwoods – a chiudere il film suggerendo allo spettatore tutte le cose che verranno.
Isabelle Huppert è bravissima nel difficile ruolo di Nathalie; anche André Marcon nei panni del marito. Ricordiamo i precedenti film della regista, tutti da vedere: Tout est pardonné, Il padre dei miei figli, Un amore di gioventù e Eden.