Sono quelle pronunciate fingendo di voler rassicurare le donne e il femminismo, che a dispetto di molti continua ad esserci, e in buona salute. Sono invece messaggi indirizzati a chi non ha mai smesso di agire per cancellare la storia e le conquiste femminili, se non la differenza di cui sono portatrici le donne.

La contesa sulla legge 194 (per l’interruzione volontaria di gravidanza e la scelta autodeterminata delle donne), inopinatamente sollevata da alcuni esponenti politici in campagna elettorale, dimostra ancora una volta che una legge dello stato viene attaccata in modo aperto se riguarda un interesse specifico delle cittadine.

Chiediamo a chi legge di pronunciarsi in modo inequivocabile sull’interesse prioritario delle donne a veder garantito un diritto, così come lo definisce la Corte costituzionale, di interrompere una gravidanza indesiderata, e di compiere la scelta al riparo di interferenze e pretese che affermano diritti di soggetti del tutto estranei alla realizzazione del fine primario della legge “garantire la libertà di scelta delle donne”.

La prevenzione, nella legge, è specificamente prevista con la libertà di accesso ai contraccettivi, anche questa contestata in nome di un’obiezione che già una circolare del ministero (Ministra Turco) aveva dichiarato illegittima.

Tanto l’interruzione quanto la prevenzione sono vessate da continue azioni ostative di soggetti che, nel tempo, hanno fatto pesare la facoltà dei medici di sollevare obiezione di coscienza (prevista ma non accessoria del diritto alla salute femminile che è l’oggetto principale ed esclusivo della legge stessa), come se fosse un principio paritetico rispetto alla facoltà materna che la legge libera da e pressioni e intimidazioni.

È prevista dalla 194 anche la possibilità di recere o di rimandare la decisione da parte delle donne, restando ferma la segretezza dell’intervento e la riservatezza assoluta dei dati, in rapporto esclusivamente affidato alla relazione tra operatore sanitario addetto al servizio e utente. Ne discende che il diritto ad abortire non può essere in alcun modo apparentato ad un obbligo da parte della donna a sottoporsi all’intervento, in quanto basta il semplice recesso che può effettuarsi in qualsiasi momento.

La legge non fa alcun accenno al fatto che nel processo decisionale, precedente l’intervento, sia prevista la presenza di soggetti portatori di interessi altri rispetto all’irrinunciabile autodeterminazione femminile, anzi nel caso si delineerebbe una illegittima violazione delle privacy.

La gamma delle motivazioni che spingono una donna a rinunciare momentaneamente, o definitivamente, alla possibilità di avere un figlio, possono essere di varia natura e nessuna può essere ricondotta ad interesse superiore a quello a realizzare la piena libertà delle cittadine. Ridurre questi motivi alla sfera economica, insieme alla sottostima della posizione umana e sociale delle donne, è tipico di una ideologia che mette in relazione la maternità con un unico dato riferito alle risorse materiali per il procacciamento dei beni materiali. Così come ci si riferisce, come a un vulnus, alla dimensione di single delle donne come a una minorità bisognevole di supporto maschile.

Le donne di Napoli, in sintonia con quelle presenti nelle Istituzioni e nella sanità, hanno riaffermato il diritto alla riservatezza e il rigetto della monetizzazione della scelta nell’approccio alla scelta nell’interruzione della gravidanza, determinando l’uscita, dalle strutture preposte, di soggetti religiosi che si opponevano a quella scelta, con la conferma di una sentenza del tribunale Regionale.

Se è vero che l’esercizio dell’autonomia economica da parte delle donne è seriamente e annosamente compromesso da scelte che ancora considerano il lavoro delle donne un bene accessorio per l’economia tutta, e se è vero che socialmente ancora il valore sociale della maternità resta affidato per gran parte alla precarietà dei servizi, se non in buona percentuale affidata ad opere benefiche che non esitano a riesumare le odiose e stigmatizzanti definizioni “ragazza madre” o “madre nubile”, ormai uscite dal lessico giuridico ma perpetuate nell’immaginario patriarcale.

Tra i politici che da tempo mirano ad un “ampliamento” della 194 è convenuta la strategia di attaccare l’autodeterminazione delle donne e non le pratiche abortive in sé, che come si è spesso verificato rispondono all’esigenza maschile di non incorrere in paternità indesiderate in quanto esterne allo stile di vita praticato. La via scelta dai crociati della così detta “Libertà di non abortire” è quella di attaccare la libertà femminile, lasciando intatta quella maschile.

Non si è escluso in questi anni nessun richiamo ad una dimensione etica del diritto, fino ad arrivare a campagne di affissione dove l’aborto è nuovamente criminalizzato, tornando al clima intimidatorio degli anni precedenti al 1978, nonché agli oscurantismi che hanno preceduto le conquiste, tutte, del movimento femminista.

“Ampliare la 194”, così come considerare la legge un luogo dove il diritto delle donne va controbilanciato con quello della morale pubblica incarnata dall’obiezione di coscienza, è la rappresentazione politica dell’antiabortismo, ed è parte della cieca cancellazione della differenza sessuale che l’autorevolezza delle cittadine ha introdotto nelle realtà politiche e istituzionali del paese. Come sta succedendo nella violenza sessuata, anche nell’aborto si vuole obliterare la dovuta specificità nel diritto, che deve rispondere a esigenze e facoltà che non possono essere ridotte a criteri buoni per tutti. Infatti, la legge sull’aborto è inapplicabile a qualsiasi soggetto che non sia donna, e ben per questo è un complesso normativo insostituibile che tutela bisogni che nessun altro testo aveva previsto.

La libertà femminile sarà sempre desiderata e affermata, la libertà nella sfera materna che ne fa parte è la condizione della convivenza civile: la proposta di sottoporre la scelta femminile ad esami esterni, equivale a una spinta verso la clandestinità.

Le donne si aspettano parità salariale e di accesso al lavoro, libertà dai ricatti sessuali ed economici, servizi e non l’ultima trovata di una politica incapace di affrontarle a viso aperto.