Le stanze delle donne. Le cose che ci fanno stare bene
Curato da Focus Consulting, società di consulenza nel campo delle risorse umane, Le stanze delle donne. Le cose che ci fanno stare bene (Graus Edizioni, 2020) è una raccolta di interventi per “dare voce al vissuto di donne” che si sono raccontate e hanno condiviso le emozioni e il “sentire del cambiamento che stavano vivendo” durante il lockdown.
Un caleidoscopio di testimonianze su poche e semplici domande che indagano nel profondo della quotidianità che abbiamo vissuto con la pandemia, ma allo stesso tempo consentono di esplorare le innumerevoli risorse del femminile per fronteggiare questo evento epocale. Come racconta Giovanna D’Elia, della Focus Consulting, nelle conclusioni, “siamo partite da una condizione, essere chiuse in una stanza a lavorare da casa. Cosa ci fa vedere, quali sono i vantaggi di lavorare da remoto, cosa ci fa stare bene?”
Come stai vivendo questo tempo in modalità smart working nel ruolo di donna, professionista e/o madre? Quali sono, dal tuo punto di vista, le abilità necessarie che stai maggiormente tirando fuori come donna e che sono utili, ora? Quali sono le cose che ti fanno stare bene? Queste le domande poste a tutte le intervistate.
Il cuore di quasi tutti gli interventi è proprio il lavoro da casa e le complessità che ha creato: “sono venute fuori, più forti che mai, tutte le difficoltà dei ruoli familiari, ancora non per nulla risolte. Se qualcuno pensava che lavatrici, giochi con i figli e cucina potessero conciliarsi con call, riunioni virtuali e concentrazione necessaria per lavorare, ecco può togliersi quest’idea dalla testa” dice ancora D’Elia. Perché durante la pandemia, lo smart working – invece di realizzarsi come una nuova filosofia manageriale in grado di ridurre lo stress di chi lavora, ridurre il tempo di lavoro senza rinunciare alla retribuzione, come le donne hanno spesso dovuto fare ricorrendo al part-time – ha di fatto costretto tutte a lavorare di più.
Quasi tutti gli interventi – che sono di professioniste, lavoratrici dello spettacolo, dirigenti di amministrazioni pubbliche, quadri direttivi di aziende di credito, docenti superiori e universitarie ecc. – raccontano di una quotidianità “che presto si è trasformata in una tabella di marcia faticosissima” dove fondamentale è stato amare il proprio lavoro: ”Se non amassi profondamente quello che faccio non avrei trovato la forza per affrontare tanto lavoro e i momenti di cedimento nei quali preziosi sono stati i sostegni di amiche e compagne che mi hanno ricordato che, anche se difficilissimo, tra le priorità di cura ci sono anche io.” (Chiara Guida, consigliera comunale di Napoli).
Centrali, dunque, per le donne sono state le loro relazioni, quelle che sono continuate anche a distanza, anche se, come racconta Lucia Landi, responsabile delle risorse umane di una banca, “più doniamo e interagiamo con gli altri, più siamo pieni di messaggi da condividere, idee da scambiare, ecc.”. Un effetto faticoso di moltiplicazione delle comunicazioni nel tentativo di non perdersi nessun legame significativo.
Per tutte, il tempo si è dilatato, ma anche gli spazi, come racconta la giornalista del Corriere del Mezzogiorno Anna Paola Merone: “L’assenza di tanti colleghi ha reso ancora più grande l’open space del giornale, dove mi è capitato di restare ore da sola. E lavorare da remoto ha dato una destinazione d’uso ad angoli della casa che hanno preso nuova vita. Riflettere, dare rilievo a pensieri nuovi, imparare ad ascoltare le parole che si erano sempre nascoste dietro il clamore e il caos è stata una grande opportunità.”
E anche nell’intervento di Amalia Palma, insegnante di un istituto superiore, si ritrova come costante l’attenzione rivolta all’altra/o: “Ho parlato dal primo giorno con le mie alunne e i miei alunni, cercato modalità per arrivare a loro, oltre lo schermo delle video lezioni, ho cercato di leggere il loro smarrimento e di incoraggiarli ad una nuova e più alta consapevolezza dell’impegno civile e a cercare sempre un punto di partenza e di speranza.”
Il valore del testo sta nell’aver offerto un patrimonio di racconti “legati con un filo invisibile” come nota nella prefazione del regista Jesus Garces Lambert, “storie di resilienza, di felicità, di adattamento, di scoperta di certi affetti e di una nuova normalità” che le donne che parlano riescono a comunicare senza veli, senza sovrastrutture, senza soprattutto vittimismo.
Una coralità di narrazioni che si svolgono in una “stanza” che ancora una volta vuole essere simbolo di autonomia e di un parlare “a partire da sé” , come nel famoso testo di Virginia Woolf “Una stanza tutta per sé“, ma che ci richiama anche alle “ stanze “ che si aprono sulle piattaforme digitali che sempre più le donne hanno dovuto utilizzare ultimamente, e che riempiono di cura, di relazioni accoglienti, di ascolti di sé e delle altre/altri per riorientarsi in una nuova contemporaneità.
Le stanze delle donne, edizioni Graus, 2021