L’esclusione delle associazioni come parte civile nel processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin. Per l’Udi una scelta “iniqua e cieca”
Di seguito il comunicato dell’Udi – Unione Donne in Italia che, con altre associazioni antiviolenza, è stata esclusa dalla partecipazione al processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin.
All’indomani della sua esclusione come parte civile nel processo Turetta per il femminicidio di Giulia Cecchettin l’Unione Donne in Italia rende noto di aver subito, unitamente alle altre associazioni antiviolenza escluse, un’ordinanza iniqua e cieca da parte della Corte d’Assise di Venezia. Tale provvedimento, oltre a segnare un arretramento culturale, ha denegato il “danno immediato e diretto” dell’UDI, disconoscendo altresì il suo impegno concreto, profuso in 80 anni di attività a favore delle donne. Sobbarcarsi di temi quali l’inviolabilità del corpo femminile, l’autodeterminazione e i diritti di cittadinanza, compreso il diritto assoluto all’incolumità psicofisica e alla vita stessa – in una parola per i diritti umani delle donne ormai riconosciuti e affermati da tempo sia in Europa che in Italia – è stato difatti l’imperativo categorico della nostra associazione.
Anche la presa di posizione della Procura della Repubblica di Venezia che, attraverso il suo pubblico ministero aveva richiesto la suddetta esclusione, però, è deprecabile. Parole come quelle pronunciate dal pm risultano fuorvianti: «Il processo serve ad accertare le responsabilità personali e non a fare i processi ai dati sociali. Questo non è il processo contro il femminicidio, ma nei confronti di un singolo soggetto che si chiama Filippo Turetta e che risponderà dei reati che gli sono stati contestati. Se si sposta questo quadro a obiettivi più alti si snatura il processo che non è uno studio sociologico che si fa in altre sedi». Operano peraltro una profonda discriminazione nei confronti delle associazioni femminili che sono protagoniste di uno strenuo lavoro trentennale sul disvelamento della violenza e che sono portatrici di quanto mai concreti diritti soggettivi e processuali ad essere parte dei processi per femminicidio.
Eppure la presenza delle associazioni femministe fuori e dentro al processo penale ha contribuito enormemente a fare luce sul fenomeno e sulle circostanze di fatto della violenza maschile contro le donne, evidenziandone gli aspetti invisibili, dando voce alle loro esperienze e contribuendo in maniera rilevante all’evoluzione e trasformazione culturale del Paese. Pur essendo più che noto come la violenza sulle donne sia un grave fenomeno sociale di natura strutturale, che impregna la società trasversalmente, cioè che la attraversa in tutti gli strati sociali – prima causa di letalità e di morbilità in Italia, più della violenza di mafia – né la Corte d’Assise né la Procura di Venezia hanno mostrato conoscenza di suddette connotazioni. Escludere da parte loro le associazioni antiviolenza come parte civile nel processo Turetta, a parere dell’UDI, vale inoltre a disconoscere la portata dei principi del diritto internazionale e del diritto interno con le legislazioni speciali in materia. Difatti dalla Convenzione di Istanbul fino al Codice Rosso e alle recentissime sue modifiche, tutte le normative approfondiscono il tema della complessiva tutela delle donne contro la violenza maschile,
In effetti quanto accaduto pare essere un pregiudizio derivante dalla mancanza di conoscenza e formazione sulle tematiche socio-giuridiche della violenza, che hanno invece arricchito l’evoluzione sociale e la cultura giuridica. Attraverso la trasformazione delle relazioni, delle norme, del linguaggio e delle interpretazioni all’interno del processo e delle sentenze, si è contribuito ad una comprensione più completa e profonda delle dinamiche criminali del femminicidio, inteso sia come violenza indiscriminata che come uccisione di una donna. Escludendo come parte civile l’UDI e le altre associazioni antiviolenza richiedenti è stata operata una profonda discriminazione nei loro confronti, perché è stato negato riconoscimento allo strenuo lavoro trentennale sul disvelamento della violenza. Con la conseguenza di delegittimarle come portatrici di concreti diritti soggettivi e processuali ad essere parte dei processi per femminicidio, data la lunga storia e l’attività a favore delle donne per favorire il riconoscimento dell’inviolabilità dei loro diritti umani.