Libera-Libere. Pensieri e pratiche femministe su tratta, violenza, sfruttamento
Ines Rielli et All., Libera libere. Pensieri e pratiche femministe su tratta, violenza, sfruttamento, Radici future, Bari, 2019.
PREMIO REDAZIONE per opere di particolare attinenza giornalistica “Marina Pivetta” del XXI° Premio di scrittura femminile “Il Paese delle Donne” & “Donne e Poesia”
Libera Libere traccia la storia dell’esperienza del Progetto Libera che, in Puglia, fino al 2016, ha rappresentato una buona pratica di intervento a favore delle vittime – donne e uomini – di violenza, sfruttamento, schiavismo. Un ingorgo politico-istituzionale, dopo la Legge Delrio che sopprimeva le Province, ne determina la fine: il mancato passaggio di personale, funzioni e strutture alla Regione Puglia e, poi, una tardiva legge regionale di sostanziale privatizzazione.
Il libro è il racconto della resistenza delle operatrici alla chiusura. Nell’ultimo volantino, il 31 agosto del 2016, che annuncia la chiusura, c’è la consapevolezza di essere state sconfitte ma anche la riaffermazione “resistente” della loro utopia: aver creduto possibile “che bellezza, democrazia, femminismo potessero stare all’interno di servizi pubblici liberi e autonomi e cambiarli”. Le donne protagoniste del progetto hanno avuto la capacità di trasformare la sconfitta in risorsa, e il racconto finisce per diventare un “Vademecum di resistenza e sopravvivenza femminista, utile a chiunque pensi e sogni servizi pubblici e privati a orientamento di genere.”
In nove capitoli di testimonianze, frammenti di vita e anche poesia, non c’è “lutto” ma un sentimento di sfida e di forza. Nell’immagine di copertina – “Lèone à l’atterrissage des avions” (foto di Michel François, 1999) – una bambina, ai bordi di una pista di aeroporto, grida sorpresa e felice: ripresa dal basso, comunica gioia e forza.
Nell’introduzione, Laura Gagliardi dice, del modello teorico e metodologico adottato, che “mette al centro la pratica della relazione tra donne, una relazione nutriente che aiuta a prendere coscienza di sé.” È la sapienza del femminismo che dice: “Le donne con vissuti di violenza e sopraffazione non sono da salvare, da recuperare, da curare, da vittimizzare, da redimere, da gestire, ma sono da riconoscere, in un rapporto di reciprocità e responsabilità”.
Per aiutare qualcuna che è in difficoltà a liberarsi, bisogna mettersi in relazione. In questi anni, le istituzioni pubbliche, in particolare gli enti locali, con l’intento di garantire ai centri antiviolenza una dimensione manageriale hanno finito per espellere la dimensione “politica” del femminismo, li hanno snaturati, alla fine ridotti a “assistenza”. Un salto indietro di secoli, insomma.
Un sapore di antico lo rilascia anche il racconto di Ines Rielli: “Quando il responsabile del Centro Regina Pacis, don Cesare Lodeserto, fu arrestato e tutta la classe politica partecipò alla veglia in duomo, e deputati lo visitarono in carcere, nessuno fece un gesto di vicinanza per le donne vittime dei reati per i quali Lodeserto era stato arrestato e che tutte erano nella struttura di Libera”. Ma quelle donne, testimoniando contro di lui, “hanno avuto più forza e coraggio di tutti i nostri politici.” L’alto esponente della Curia di Lecce è stato condannato in via definitiva a cinque anni e quattro mesi di reclusione per sequestro di persona, estorsione e calunnia.