Lidia Menapace
Mi sento analfabeta, come una che non ha mai scritto, e che non sa come compensare una perdita così grave; penso solo a una società capitalista che ha inebetito i/le giovani facendogli credere che sono quel che hanno e che, come sempre, mi tocca sperimentare quanto non sappiano di lei, di ciò che Lidia ha fatto per tutte, insegnandoci a dissentire con forza; guardo ai guai prodotti da quelli che chiamo i tre fratelli – capitalismo, liberismo e sessismo – e mi chiedo quanto impari sia la nostra sfida; i miliardi della Next Europe Generation non basteranno mai a ricostruire le persone dal di dentro.
Nel vuoto che lascia la sua scomparsa fisica, ripenso alle due ultime occasioni in cui ho visto lei e il suo sguardo che continuava a essere gioioso nonostante l’età, le scelte e le lotte contro la massima delle distruzioni, la guerra.
Nel 2016, per i 70 anni dell’Unione Donne in Italia (Udi), durante la manifestazione Fare storia, custodire memoria, 1945-2015, grazie all’infaticabile Vittoria Tola, in una delle sale della Camera, guardavo, prima d’intervenire, le tre donne sedute al tavolo: Lidia Menapace, Marisa Ombra (da poco scomparsa) e Marisa Cinciari Rodano. Le guardavo sentendomi onorata della loro pervicacia e della loro eredità. E poiché avrei parlato di lì a breve del primo e secondo associazionismo: i corpi, la casa, la parola, osservavo appunto i corpi, concentrato di tante esperienze, corpi come libri, corpi come casseforti, corpi avari nel cedere sulle convinzioni ma terribilmente generosi.
Mi ero meravigliata che un corpo così minuto come quello di Lidia avesse affrontato la Resistenza senz’armi, il distacco dal suo primo partito, le lotte femministe, i dissensi rispetto alle parole che non lasciavano ombre dietro di loro. E pochi anni dopo, nel 2018, in un torrido clima estivo, di quelli che consigliano alle persone non più giovani di restare a casa, ecco scendere dal treno dal nord, la stessa figura minuta. Eravamo dirette al Castello dei Conti di Ceccano, nel basso Lazio, in occasione del I Festival di Filosofia in Ciociaria-Restiamo Umani, organizzato da Paola Bucciarelli; una sessione s’intitolava Sebben che siamo donne: storie di donne e della resistenza taciuta. Sono tornata a chiedermi se la coerenza, la convinzione degli ideali, la lotta per sé e per gli altri, desse felicità. E mi sono risposta che sì, certamente, nel caso di Lidia; durante l’incontro ci aveva appunto ricordato che bisogna essere gioiose e godere degli aspetti positivi come il buon vino, il buon cibo e l’allegria. E mi sono ricordata che, allora come ora, pochi parlano dell’aspetto festoso del movimento femminista, ricordano solo quello giustamente rabbioso, oppure lo occultano, come oggi, nel servizio della Rete La 7, in cui fra le poche cose ricordate di Lidia, l’impegno femminista neppure compariva e neanche che sia stata fra le candidate alla Presidenza alla Repubblica. Generosa inutilmente? Per noi tutte no, noi la ringraziamo.