L’Italexit è un fantasma che si aggira per l’Europa e che spaventa molto i mercati e i governi.
Non sappiamo come finirà la partita sul terreno della legge di bilancio e il braccio di ferro del governo italiano con l’Europa. Quello che sta accadendo però, nel frattempo e nell’indifferenza dell’Europa, è una lenta “Italexit” sul terreno dei diritti. Il governo gialloverde, infatti, non è solo quello sovranista che rifiuta i paletti imposti dall’Europa sulle politiche economiche, ma anche quello che ha messo l’Italia su una macchina del tempo che va all’indietro per quanto riguarda i diritti civili, e i diritti delle donne in particolare. Una “deriva polacca”, che è sotto gli occhi di tutti e che dovrebbe preoccupare almeno quanto i conti pubblici.
Anche in Italia, infatti, la destra cattolica più fondamentalista rialza la testa, con ottimi appoggi direttamente al governo. I segnali di preoccupazione sono molti, proviamo a metterne in fila alcuni. Le prime avvisaglie si sono avute già con la composizione dell’esecutivo: via il ministero per le Pari opportunità, arriva il ministero per la Famiglia e per le Disabilità, segnalando già dalla scelta del cambio di nome un preciso orizzonte culturale e politico: quello che ha a cuore questo governo non sono le pari opportunità fra i suoi cittadini – e in particolare fra uomini e donne – ma il sostegno a un preciso modello di famiglia cosiddetta tradizionale, nella quale possibilmente le donne tornino a curare il focolare. Una impostazione culturale confermata nella legge di bilancio in discussione in queste settimane, nella quale, invece di serie politiche a sostegno del lavoro femminile e del welfare, si prevede fra le altre cose la possibilità per le famiglie che avranno il terzo figlio nel triennio 2019-2021 di avere in concessione un terreno pubblico o abbandonato con accesso a mutui agevolati per acquistare immobili nei pressi dei suddetti terreni: date figli alla patria e la patria vi ripagherà con la terra!
Al vertice del ministero per la Famiglia è stato collocato Lorenzo Fontana. Sostenitore dell’esistenza della fantomatica “teoria gender” che starebbe mettendo a soqquadro la famiglia tradizionale, oppositore delle unioni civili, vicino all’estrema destra veronese, Fontana è soprattutto uno strenuo oppositore del diritto delle donne a interrompere la gravidanza. È infatti iscritto al ComitatoNo194 (sostenuto anche dai fascisti di Forza Nuova), che non solo chiede l’abolizione della 194/1978 – la legge che in Italia regola l’interruzione volontaria di gravidanza – ma propone addirittura di introdurre il carcere (tra gli 8 e i 12 anni) per donne e medici che praticano aborti.
In questo clima creato dal governo centrale, non stupiscono dunque le diverse mozioni che in molte città italiane sono state presentate – e in alcuni casi approvate – a sostegno delle associazioni antiabortiste. Capofila Verona, non a caso la città di Fontana, dove nell’ottobre scorso il consiglio comunale ha approvato, con 21 voti favorevoli (tra cui anche quello della capogruppo del Partito democratico) e 6 contrari, una mozione che impegna il Comune a finanziare associazioni ultracattoliche sedicenti “prolife” e che dichiara “Verona città della vita”. L’approvazione di questa mozione ha provocato una fortissima reazione delle donne del movimento “Non una di meno”, che si sono presentate nell’aula del Consiglio comunale indossando le vesti delle ancelle come nel film Handmaid’s Tale.
Vale forse la pena ricordare che la legge 194 è già oggi di difficile attuazione grazie a un ricorso generalizzato e pretestuoso alla cosiddetta obiezione di coscienza: la media in Italia è del 70 per cento di medici obiettori, con punte del 98 per cento in alcune aree del paese dove di fatto il servizio non viene garantito. È molto recente il caso di un medico obiettore licenziato in tronco dall’ospedale nel quale lavorava perché si era rifiutato di prestare soccorso a una donna alla 18ma settimana che aveva avuto un aborto spontaneo ma che aveva urgente bisogno di cure. La donna sarebbe probabilmente morta se non fosse intervenuto un medico non obiettore, che non era in turno e che è stato allertato proprio perché il collega si rifiutava di intervenire. La legge 194 prevede l’obiezione di coscienza esclusivamente per gli atti finalizzati all’interruzione volontaria di gravidanza, ma non esonera affatto il personale medico dall’assistenza in caso di emergenza. Ma se persino il papa si permette di paragonare chi pratica gli aborti a chi “ricorre a un sicario per risolvere un problema”, è comprensibile che il ricorso all’obiezione di coscienza è destinato ad aumentare: chi vuole sentirsi un sicario? Si tratta in verità di una norma che aveva un senso quando la legge è entrata in vigore nel 1978, ma che oggi si presta esclusivamente ad abusi.
Se le donne italiane sono ormai abituate ai periodici attacchi alla 194, del tutto inedito è invece quello alla legge sul divorzio che si sta conducendo grazie a un vero e proprio Cavallo di Troia: il disegno di legge sull’affido condiviso a firma del senatore leghista Simone Pillon. Il ddl intende introdurre una serie di modifiche all’attuale legislazione con un sostanziale effetto dissuasivo nei confronti del divorzio in presenza di figli. Tra le proposte più controverse ci sono la mediazione obbligatoria (a pagamento, a carico dei coniugi) e la divisione perfettamente paritaria dei tempi di affido dei bambini fra i due genitori. Questo ddl rovescia il principio cardine su cui si fonda l’attuale legislazione italiana in materia, ossia il prevalente interesse del minore. Con questo principio ben saldo in testa, i giudici oggi valutano di caso in caso la situazione della famiglia e decidono, per esempio, di individuare un “domicilio prevalente” a tutela della stabilità e dell’equilibrio dei bambini. Oggi sono dunque i genitori a doversi adeguare alle esigenze dei figli, se dovesse passare il ddl Pillon saranno questi ultimi a essere trattati come semplici pacchi postali, oggetto di scambio fra i genitori. La proposta del senatore Pillon non tutela poi i bambini nei casi di violenza domestica, introducendo il ricorso alla cosiddetta PAS – Parental Alienation Syndrome, una “sindrome” che tutte le associazioni psichiatriche del mondo hanno stabilito non esistere e secondo la quale, in sostanza, le affermazioni di un bambino che denuncia un abuso da parte di un genitore non vanno prese in considerazione perché sarebbero quasi sempre frutto di un lavaggio del cervello da parte dell’altro genitore. Con la conseguenza che bambini abusati si vedono costretti a frequentare (se non addirittura a convivere con) il genitore abusante.
Ma chi è Simone Pillon? Bresciano, fervente cattolico e membro del Cammino neocatecumenale, è tra gli organizzatori di alcuni “Family Days”. Anche lui convinto che esista un complotto della “teoria gender” per minare la famiglia tradizionale, è soprattutto un avvocato esperto in mediazione familiare, che il suo ddl vuole rendere obbligatoria: un gigantesco conflitto di interessi.
Contro il ddl Pillon si è creata una vasta mobilitazione, promossa da Non una di meno e altre associazioni femministe, che ha portato in oltre 50 piazze italiane decine di migliaia di donne lo scorso 10 novembre.
Insomma, i segnali di un ritorno della destra religiosa che intende limitare i diritti civili, e i diritti delle donne in particolare, ci sono tutti, sono molto preoccupanti e dovrebbero allarmare l’Europa almeno quanto l’aumento dello spread e del deficit. A mettere in seria discussione i diritti che a fatica abbiamo conquistato negli anni (e a prevenire un ampliamento di questi diritti) è una rete molto capillare di associazioni ultrareligiose di destra, diffuse in molti paesi dall’Ungheria alla Spagna, dalla Polonia agli Stati Uniti, con forti legami fra loro e finanziate anche con ingenti flussi di denaro provenienti da Russia e Azerbaijan, come ha recentemente rivelato un’inchiesta dell’Espresso. Associazioni che si incontreranno proprio a Verona il prossimo marzo per il World Congress of Families. Un appuntamento dunque anche per tutti coloro che si rifiutano di far tornare l’Italia indietro di sessant’anni.
Questo articolo è uscito in tedesco sulla Taz dell’8-9 dicembre 2018
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