‘Privati di Venezia’ della docente e ricercatrice indipendente Paola Somma, edito nel settembre 2021 da Castelvecchi nella collana Antipatrimonio, prende per mano e accompagna chi legge in uno spazio tempo veneziano che dagli anni Ottanta del secolo scorso arriva ad oggi, indicando le meccaniche di svendita del patrimonio immobiliare e del progressivo, concomitante e conseguente svuotamento della città, deprivata di grandi risorse altrimenti utilizzabili.

Da qui il doppio senso del titolo del libro, dove da una parte vengono nominate una per una le società – cioè i privati – che hanno acquisito i gioielli della Serenissima per farne alberghi e resort con il benestare dell’amministrazione pubblica e con l’ausilio del credito attribuito alle operazioni immobiliari da soggetti di natura culturale quali Università veneziane e Biennale e d’altra parte indica la deprivazione subita dalla cittadinanza con la trasformazione del tessuto urbano ad uso unicamente turistico a partire dal cuore cittadino – Rialto, Arsenale, San Marco – fino alle isole lontane dal centro storico.

Tuttavia, nonostante la serietà dell’argomento, il libro è in primo luogo DIVERTENTE. L’autrice espone solo i fatti, non cedendo mai al vittimismo di campanile né ad una desueta e non risolutiva indignazione morale (in ciò il devertere, volgere in altra direzione), creando invece un interessantissimo corto circuito comico di stile direi anglosassone nel far commentare i diversi passaggi di proprietà, sempre vantaggiosi per i soggetti privati, dagli stessi protagonisti della svendita di Venezia, attraverso un’accuratissima selezione dei loro pronunciamenti in documenti, articoli e atti amministrativi.

L’esempio Venezia evidenzia una meccanica che in laguna è stata applicata parossisticamente, ma che va interessando sempre più grandi e piccoli centri storici nazionali. “Quarant’anni fa i seguaci del credo neoliberista decisero che le città valevano troppo per essere lasciate alle comunità che vi abitavano e lavoravano e che bisognava trasformarle in portafoglio di occasioni di investimento. – scrive nell’introduzione Paola Somma – Da allora la riconversione dei luoghi più ricchi di giacimenti d’arte in fabbriche di eventi e in condensatori di rendita immobiliare e fondiaria ha proceduto parallelamente su tre fonti: alterazione irreversibile del tessuto demografico in termini quantitativi e, soprattutto, qualitativi; interventi sulla struttura fisica per facilitare l’arrivo e il soggiorno di quantità sempre crescenti di turisti; modifiche del ruolo dello Stato che, a tutti i livelli di governo, è diventato l’esecutore delle direttive del mercato”.

Un libro che ho avuto la fortuna di leggere, dico fortuna perché, pur nella sua eccezionalità, non ha finora avuto l’onore di essere portato all’attenzione del grande pubblico attraverso le recensioni che ben altri prodotti reclamizzano. Tuttavia, vuoi perché parte della città è a vario titolo correa degli avvenimenti e con ansia sta scorrendo riga per riga ‘Privati di Venezia’, vuoi perché lettrici e lettori di Venezia e fuori Venezia interessati al bene comune vengono raggiunti dal passaparola, il libro sta andando letteralmente a ruba nelle librerie veneziane. Plauso all’autrice per la formula espressiva scelta unitamente alla possibile diversa etica di governo che le sue pagine suggeriscono.

Paola Somma, Privati di Venezia. La città di tutti per il profitto di pochi, Castelvecchi, Roma, 2021, pp.160, euro 17,50

UNA RIFLESSIONE A LATERE: PER UNA LETTURA DI GENERE DELL’APPORTO FEMMINILE ALLA POLITICA

Ho il dubbio che quando – anche tra le ‘donne di genere femminile’, per dirla con Bibi Tomasi nella testata satirica Aspirina – circola la parola ‘governo della città’ non si sappia bene cosa si debba intendere per governo e non si abbiano ben presenti gli ostacoli che si frappongono alla retta amministrazione di una comunità cittadina, ostacoli tali da far accondiscendere alla svendita dei beni della comunità e da azzerare l’idea stessa di cittadinanza. Non basta che individui anagraficamente femminili occupino posti di rilievo o di vertice, se questi soggetti si accodano a carrozzoni che, con il loro contributo, sviliscono e defemminilizzano (con riferimento alla decantata funzione di cura che ancora, temo anacronisticamente, attribuiamo al nostro sesso) la gestione del patrimonio pubblico. Se l’associazionismo femminile si riduce a essere sacca di voti spendibile in periodo pre-elettorale, non può osare parlare di ‘governo della città’ qualora poi si contenti di una superficialissima attenzione istituzionale e mediatica ai temi della violenza di genere e resti acquiescente o ignaro circa la gestione della res publica in cambio di pochi spazi e di qualche elemosina in termini di (peraltro modesta) visibilità. Se la politica di (vera) sorellanza che ha caratterizzato il (vero) femminismo degli anni Settanta e la politica della differenza basata sulla relazione non si porranno, come predico da decenni, una base etica condivisa, assisteremo al terminale svuotamento di senso della parola ‘donna’, target di facciata su cui ora puntano, tra l’altro, le grandi mafie per la maggior manovrabilità di soggetti che, per pregressa emarginazione e/o per fame di partecipazione, non esercitano coscienza gnoseologica del pubblico amministrare. Per non diventare ‘donne di paglia’ facilmente manovrabili, peggio ancora se su base consensuale, va quindi ripensato l’apporto che il femminile può dare a se stesso in termini di governabilità dell’esistente, ampliando il raggio di portata ed elevando sensibilmente il livello di rischio, anche in termini personali. Dove in nome del profitto di pochi si pensa ‘in grande’, bisogna cominciare a pensare in grandissimamente grande. (A.B.)


Nel video l’intervento di Paola Somma al convegno “Che Piano strategico per il Lido?”