Lo stalking pagato in euro
Articolo di Maddalena Robustelli (Dalla rivista Noi Donne)
Fintanto che esista la possibilità di pagare denaro per non vedersi condannato per stalking, le donne molestate saranno doppiamente vittime di un uomo che le ha tormentate e di uno Stato che non ha garantito a loro giustizia.
— Innumerevoli furono nei mesi scorsi le critiche mosse alle conseguenze di una specifica norma inserita nella riforma del processo penale approvata nel luglio scorso, ossia l’art. 162-ter c.p. che avrebbe consentito la depenalizzazione anche del reato di stalking a querela di parte dietro la dazione di una somma di denaro, inflitta allo stalker, a mo’ di risarcimento per il comportamento vessatorio nei riguardi della sua vittima. Ad onore del vero, inizialmente le rimostranze erano state avanzate dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, da associazioni femministe e femminili, nonché da singole attiviste impegnate in tema di salvaguardia dei diritti delle donne. Nel prosieguo operatori forensi e magistrati focalizzarono l’attenzione sugli aspetti tecnici connotanti la depenalizzazione dello stalking per condotta riparatoria, il non rilievo della volontà della parte offesa, la rateizzazione del risarcimento che consentiva al reo di non incorrere nelle sanzioni penali. Tant’è che il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Eugenio Albamonte, sottolineò come fosse una preoccupazione sicuramente fondata “quanto sarebbe avvenuto nelle aule giudiziarie, rimarcando che “Non è la prima volta che sullo stalking il legislatore, diciamo così, inciampa”.
Di fronte ad una mole così rilevante di critiche il ministro della giustizia Orlando promise, in sede di interrogazione parlamentare, di rivedere la scelta operata alla luce dei precipui rilievi mossi. Parlò nello specifico di estendere la procedibilità d’ufficio anche al reato di stalking meno grave, così da evitare la depenalizzazione prevista per i reati a querela di parte, inserendo questa modifica in qualche testo normativo in via di approvazione, come il codice antimafia. Successivamente appalesò la volontà di sanare l’errore con un emendamento da includere in altra proposta legislativa da discutere nelle aule parlamentari, come la legge sugli orfani di femminicidio. E chi chiedeva al titolare del dicastero alla Giustizia, quale fosse il contenuto del provvedimento, si sentiva rispondere “I giuristi ci stanno lavorando in questo momento”.
Il momento è durato oltre il suo breve lasso temporale, dilungandosi per ben tre mesi. Nel frattempo è intervenuta quella che dovrebbe essere la prima sentenza applicativa della depenalizzazione dello stalking a querela di parte. Su richiesta dell’avvocato difensore di ricorrere alla condotta riparatoria del reato, lo stalker si è vista comminare la sanzione di 1500 euro. La vittima del reato ha cercato inutilmente di rifiutarla, ma la nuova normativa non consente di tenere nel debito conto la sua volontà imponendole il risarcimento. Il provvedimento promesso di modifica dell’inclusione dello stalking meno grave nell’art. 162-ter non è intervenuto ad evitare quanto accaduto al Tribunale di Torino e così oggi si raccolgono i frutti avvelenati di quanto incautamente seminato pochi mesi fa.
Un legislatore poco avveduto non ha dato il giusto rilievo alla circostanza che in Italia almeno una donna su cinque ha subito stalking, come rileva l’Istat, e che conseguentemente la sua ipotesi più lieve, quale le molestie configuranti la procedibilità a querela di parte, costituiscono il 70% delle denunce inoltrate all’autorità giudiziaria. Invece le minacce, perseguibili d’ufficio in quanto ipotesi criminose più rilevanti penalmente, corrispondono solo al 30% delle querele, e di queste solo il 15% è grave. Se solo si fosse tenuto nel debito conto anche critica mossa lo scorso 4 luglio al governo dalla Comitato internazionale Cedaw sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne, che aveva criticato la scelta delle condotte riparatorie come estintiva del reato di stalking alla luce delle espresse norme previste dalla Convenzione di Istanbul approvata in questa legislatura, non si piangerebbe oggi sul latte versato. Era stato difatti censurato che “Anche se le procedure non sono obbligatorie, i tribunali continuano a fare riferimento ad una risoluzione alternativa delle controversie per le vittime di violenza di genere, come la mediazione e la conciliazione, nonché all’uso emergente di meccanismi di giustizia restauratori per casi meno gravi di stalking”.
Altre sentenze ci saranno in tal senso e si è oramai fuori tempo massimo, perché non se ne sarebbe dovuta emanare nessuna. I sindacati Cgil, Cisl e Uil avevano nel mese di luglio avvertito sul pericolo che dal 3 agosto si sarebbe determinato con l’entrata in vigore della riforma del processo penale e sulla possibilità che alla ripresa dei processi dopo la pausa estiva si sarebbero avute le prime depenalizzazioni del reato pagando una “congrua” cifra, semmai anche in comode rate, e senza il consenso della persona offesa, così come è successo l’altro giorno a Torino. Di poche ore fa è il twitter del Sottosegretario alla Giustizia Migliore che, dopo avere definito a giugno notizia sbagliata la denuncia dei sindacati, bollandola come “allarme ingiustificato”, scrive “Mi sbagliavo e me ne scuso: Bisogna subito introdurre norma che escluda lo stalking dalla riparazione monetaria”. Quel “subito”, però, era stato richiesto mesi fa, non gli è stato dato il giusto rilievo ed ora si cerca in fretta una toppa al buco estivo, che potrebbe divenire nel prosieguo una voragine. Voragine che travolgerà nel concreto le donne perseguitate e che, fintanto che esista la possibilità di pagare denaro per non vedersi condannato per stalking, saranno doppiamente vittime. Di un uomo che le ha tormentate con le sue condotte persecutorie, togliendole tranquillità, serenità e dignità di vita, e di uno Stato che non ha voluto soddisfare la loro sete di giustizia.