L’offensiva mai finita contro l’autodeterminazione
L’offensiva mai finita contro l’autodeterminazione delle donne e contro la legge 194, che compie 35 anni, ha messo in scena domenica scorsa, nelle strade di Roma, l’ennesima puntata, che ha trovato anche stavolta l’approvazione di un pontefice, papa Francesco, mentre, a livello europeo, si sta portando un nuovo attacco alla libertà femminile in materia di procreazione. Tutto ciò non può che preoccuparci e indignarci, a maggior ragione visto che la legge 194, una legge che ha funzionato e ha tutelato la salute delle donne sconfiggendo l’aborto clandestino, è oggi nel nostro paese pesantemente a rischio nel silenzio della politica.
A Milano, il 9 marzo, nel corso del convegno dal titolo ”Legge 194: cosa vogliono le donne”, promosso da Usciamo dal Silenzio, Libera Università delle Donne e i Consultori privati laici con il Comune di Milano, abbiamo presentato il [Manifesto per la piena applicazione della194->http://www.change.org/it/petizioni/manifesto-per-la-piena-attuazione-della-legge-194-78], perché forte è la preoccupazione per il massiccio ricorso all’obiezione di coscienza.
Secondo i dati ufficiali del Ministero della salute, i ginecologi obiettori di coscienza sono ormai il 65% al Nord, il 69% al centro, il 77% al Sud e il 71% nelle isole. La media in Italia sarebbe del 69%.
I dati raccolti sul campo che abbiamo presentato denunciano una situazione ancora più grave: un’indagine su un campione di province lombarde rileva che la percentuale degli obiettori di fatto è dell’83%, otto punti in più di quella ufficiale. Secondo la LAIGA (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194), in Lazio la forbice tra i ginecologi obiettori ufficiali (80%) ed effettivi (91%) è di undici punti. Risulta inoltre che i medici non obiettori si concentrino nella fascia di età tra i 35 e i 50 anni, mentre l’obiezione è diffusissima tra i più giovani e le più giovani.
Dietro questi numeri che raccontano della difficoltà di attuazione della legge, ci sono donne che hanno deciso di non potere o volere accogliere una nuova vita. Lo hanno fatto da soggetti morali, responsabili, consapevoli, cui tocca la prima parola e l’ultima, non in nome di una presuntuosa autosufficienza del femminile, ma perché l’esperienza della gravidanza come della sua interruzione è ineludibilmente asimmetrica tra i sessi.
Questa libertà di scelta da sempre spaventa e suscita necessità di controllo sul corpo delle donne: la questione è ancora una volta chi decide. Noi pensiamo – lo dice il nostro manifesto e lo vogliamo ribadire davanti alle aggressive immagini della cosiddetta Marcia per la vita – che occorra ripartire dall’essere le donne detentrici di questa esperienza e del suo racconto più fedele e che quel racconto e quel bisogno debba essere ascoltato dagli attori politici. E’ loro responsabilità infatti garantire che una buona legge venga applicata e che ciascuna donna, ovunque viva in questo paese, vi possa ricorrere senza che la sua responsabile scelta si trasformi in una corsa a ostacoli.
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